Archivi del mese: gennaio 2013

L’inganno della flessibilità.

La famosa “flessibilità” caratterizza tutti i tipi di legame sociale che solo fino a poche decine di anni fa si coagulavano in una duratura, affidabile cornice entro la quale era possibile tessere con sicurezza una rete di interazioni umane.

Z. Bauman, Amore Liquido, Editori Laterza 2012, pag 126

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di | gennaio 28, 2013 · 10:50 PM

Espressioni

Lui guardò prima l’una poi l’altra, e le espressioni sui loro volti avrebbero potuto far da reggilibri all’enciclopedia completa dell’esperienza umana.

Pete Dexter, Spooner.

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Cause di un fallimento.

Ci sono cinque pericolosi errori che possono influenzare un generale:
a) Imprudenza, che porta al disastro.
b) Codardia, che conduce alla cattura.
c) Un temperamento irascibile, che può essere provocato dagli insulti.
d) Un eccessivo senso dell’onore, che può rendere sensibili alla vergogna.
e) Un eccesso di sollecitudine verso i propri uomini che espone alle preoccupazioni e ai guai.
Questi sono i cinque inequivocabili peccati di un generale che portano alla rovina nella conduzione di una guerra. Quando un’armata è sconfitta e il suo comandante ucciso, la causa sarà sicuramente trovata tra questi cinque pericolosi errori. Occorre fare in modo che diventino oggetto di meditazione.

Sun Tzu, L’arte della Guerra, edizioni Feltrinelli Milano 2006, pag. 66

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I giurati.

Felici quei giurati davanti a cui tali imputati comparvero (chè più d’una volta la moltitudine eseguì da sè la sua propria sentenza); felici que’ giurati, se entrarono nella loro sala ben persuasi che non sapevano ancora nulla, se non rimase loro nella mente alcun rimbombo di quel rumore di fuori, se pensarono, non che essi erano il paese, come si dice spesso con un traslato di quelli che fanno perdere di vista il carattere proprio e essenziale della cosa, con una traslato sinistro e crudele nei casi in cui il paese si sia già formato un giudizio senza averne i mezzi; ma che eran uomini esclusivamente investiti della sacra, necessaria, terribile autorità di decidere se altri uomini siano colpevoli o innocenti.

A. Manzoni, Storia della colonna infame.

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Dialogo sulla Libertà

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– Giudica dunque Tu stesso chi fosse nel giusto: Tu, o colui (satana) che allora Ti interrogò. Rammenta la prima domanda: seppure non proprio alla lettera, il suo significato è questo: “Tu vuoi andare nel mondo. e ci vai con le mani vuote, con non so quale promessa di libertà, che quelli, nella loro semplicità e nella loro ingenita sregolatezza, non possono neppur concepire, e ne hanno timore e spavento-giacché nulla fu mai per l’uomo e per la società umana più insopportabile della libertà! me vedi codeste pietre, per questo nudo e rovente deserto? Convertile in pani, e dietro a Te l’umanità correrà come un branco di pecore, dignitosa e obbediente, se anche in continua trepidazione che Tu ritragga la mano Tua e vengan sospesi loro i Tuoi pani”. Ma tu non hai voluto privare l’uomo della libertà, e hai rifiutato la proposta: giacchè dove sarebbe la libertà (hai ragionato tu), se il consenso fosse comperato col pane? Tu hai ribattuto che non di solo pane vive l’uomo:ma sai che in nome appunto di questo pane terreno insorgerà contro Te lo spirito della terra e verrà a guerra con Te, e Ti vincerà, e tutti lo seguiranno(…)accettando i “pani”; Tu avresti risposto a quella universale e perpetua angoscia umana, sia d’ogni uomo in particolare, sia dell’umanità nel suo insieme, che si esprime nella domanda:”A chi genufletterci?”. Non c’è preoccupazione più assillante e più tormentosa per l’uomo, non appena rimanga libero, che quella di cercarsi al più presto qualcuno innanzi al quale genuflettersi. Ma l’uomo pretende di genuflettersi dinnanzi a ciò ch’è ormai indiscutibile, talmente indiscutibile che innanzi ad esso tutti gli uomini in coro acconsentono a una generale genuflessione. Giacchè la preoccupazione di queste misere creature non consiste solamente nel cercare qualche cosa di fronte alla quale io o un altro qualunque possiamo genufletterci, ma nel cercare una cosa tale, che anche tutti gli altri credano in essa e vi si genuflettano, e anzi, più precisamente, tutti quanti insieme. Appunto questa genuflessione in comune è il più gran tormento di ogni uomo preso a se e dell’umanità nel suo insieme fin dal principio dei secoli.

F. Dostoevskij – I fratelli Karamazov – Edizione Einaudi 2005, pag  337

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L’assassino, la peccatrice, la resurrezione di Lazzaro.

Sònja non lesse oltre, nè avrebbe potuto farlo; chiuse il libro e si alzò bruscamente dalla sedia.
“Questo è tutto sulla resurrezione di Lazzaro,” mormorò in tono neutro e severo, e rimase immobile, voltata da una parte, senza osare e come vergognandosi di alzare gli occhi su di lui. Aveva ancora quel tremito febbrile. Il mozzicone di candela già da un pezzo si stava spegnendo nel candeliere storto, e illuminava con la sua luce fioca, in quella misera stanza, l’assassino e la peccatrice, stranamente riuniti nella lettura del libro eterno. Trascorsero forse cinque minuti, o anche più.

F.M. Dostoevskij, Delitto e Castigo, cap. V.

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La vergogna di Sònja.

“Ma forse Dio non esiste affatto,” ribattè Raskòlnikov con una specie di gioia maligna, dopo di che si mise a ridere e la guardò.
Il viso di Sònja si alterò spaventosamente, percorso da un tremito convulso. Gli gettò uno sguardo di indicibile rimprovero, voleva dire qualcosa ma non poté, e all’improvviso scoppiò in amari singhiozzi, coprendosi il viso con le mani.
“Voi dite che a Katerìna Ivànovna si confondono le idee, ma anche voi avete la mente sconvolta,” diss’egli dopo qualche istante di silenzio.
Trascorsero cinque minuti. Raskòlnikov camminava sempre su e giù per la stanza, tacendo e senza guardarla. Finalmente le si avvicinò; gli lampeggiavano gli occhi. La prese per le spalle con tutte e due le mani e fissò il suo volto lacrimoso. Era uno sguardo arido, infiammato, pungente; e gli tremavano forte le labbra… A un tratto si chinò rapidamente e, inginocchiatosi a terra, le baciò il piede. Sònja arretrò vacillando, scostandosi da lui come da un pazzo. In effetti, aveva l’aria di un pazzo.
“Che fate, che fate? Davanti a me!” Mormorò Sònja tutta pallida, sentendo una fitta dolorosa al cuore.
Egli si rialzò subito.
“Non è davanti a te che mi sono inginocchiato, ma a tutta la sofferenza umana,” disse con voce strana, e si accostò alla finestra. “Ascolta,” aggiunse, ritornandole vicino dopo un minuto, “poco fa ho detto, a un tale che mi ha offeso, che egli non valeva il tuo dito mignolo… e che oggi avevo fatto a mia sorella l’onore di metterla a sedere accanto te.”
“Ah, che cosa gli avete mai detto! E davanti a lei?” Esclamò Sònja spaventata. “Sedere accanto a me! Un onore! Ma se io… sono una disonorata, una grande, grandissima peccatrice! Come avete potuto dire una cosa simile!”
“Non è per il tuo peccato che gli ho detto questo di te, ma per la tua grande sofferenza. Che tu poi sia una grande peccatrice, è vero,” aggiunse con un tono quasi esaltato, “e sei una peccatrice soprattutto perché hai ucciso e venduto te stessa inutilmente. Certo, è un orrore! Certo che è un orrore vivere, come fai tu, in questo fango che odii, e sapendo tu stessa (basta solo aprire gli occhi) … che con questo non aiuta nessuno, non salvi nessuno da niente! Ma dimmi, insomma,” esclamò, ormai quasi completamente fuori di sé, “come mai tanta vergogna tanta bassezza possono trovare posto, in te, accanto ad altri sentimenti così diversi e sacri? Sarebbe più giusto, mille, mille volte più giusto e più ragionevole, che tu ti gettassi a capofitto nell’acqua e la facessi finita una volta per sempre!”
“E che ne sarebbe di loro?” Domandò Sònja con un filo di voce, fissandolo con uno sguardo pieno di sofferenza ma, nello stesso tempo, senza mostrare la minima meraviglia per la sua proposta. Raskòlnikov la guardò in modo strano.
In quel solo sguardo aveva letto tutto. Anche lei, dunque, ci aveva già pensato. Nella sua disperazione aveva già pensato, e forse molte volte seriamente, a come farla finita una volta per sempre; tanto seriamente che ora non si dimostrava quasi sorpresa del suo consiglio. Non aveva notato nemmeno la durezza delle sue parole (così come, naturalmente, non aveva capito il significato dei suoi rimproveri) e nemmeno quel suo modo particolare di considerare la sua condizione ignominiosa. Ma egli aveva capito benissimo fino a qual punto di inumano dolore l’avesse straziata, e già da un pezzo, il pensiero della sua condizione di disonorante e vergognosa. Che cosa, che cosa dunque, egli pensò, aveva potuto trattenerla fino a quel momento dalla decisione di farla finita una volta per sempre? È solo allora capì fino in fondo che cosa significassero per lei quei poveri, piccoli orfanelli, è quella misera semifolle di Katerìna Ivànovna, con la sua tubercolosi ed il suo picchiar la testa contro il muro.

F.M- Dostoevkij, Delitto e Castigo, cap. IV.

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