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Sui nostri talenti

La nostra più grande paura non è nel sentirci inadeguati. La nostra più profonda paura è nel sentirci potenti oltre ogni limite. È la nostra luce, non la nostra oscurità, che ci spaventa. Ognuno di noi si chiede: “Chi sono io per essere brillante, affascinante, ricco di talenti, meraviglioso?”. In realtà, cosa sei tu per non esserlo? Siamo figli di Dio, il nostro schermirci non serve al mondo. Non c’è nulla di illuminante nello sminuire se stessi: facciamo semmai sentire gli altri insicuri al nostro fianco. Siamo nati per splendere e manifestare la gloria di Dio che è dentro di noi, non solo in alcuni di noi, è in ognuno di noi e quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsapevolmente regaliamo agli altri la possibilità di fare altrettanto. Quando ci liberiamo dalla nostra paura, la nostra presenza libera chi ci sta accanto. 

N. Mandela, da un discorso del 1994.

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Senza più peso

Per un Iddio che rida come un bimbo, 
Tanti gridi di passeri, 
Tante danze nei rami, 
Un’anima si fa senza più peso, 
I prati hanno una tale tenerezza, 
Tale pudore negli occhi rivive, 
Le mani come foglie 
S’incantano nell’aria… 
Chi teme più, chi giudica? 

G. Ungaretti, Senza più peso

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Mistico

Perché lui, Vidme, un uomo sui trent’anni, ma con già qualche capello grigio, ritiene di avere scoperto qualcosa d’importante che gli cambierà la vita, ha capito che si è addentrato in qualcosa d’importante attraverso la sua attività di scrittore, qualcosa con cui deve fare i conti se vuole continuare con la sua vita, e per questo Vidme cammina nella pioggia e nel vento pensando che già molti anni di lavoro come scrittore gli hanno man mano insegnato qualcosa di importante, qualcosa di cui pochi sono a conoscenza, lui ha visto qualcosa che non così tanti hanno visto, pensa Vidme, mentre cammina nella pioggia e nel vento, infatti, se uno si concentra abbastanza, lavora con sufficiente profondità e concentrazione, a capofitto in qualcosa, se uno vuole, se solo arriva dentro abbastanza, se s’immerge abbastanza, arriva a vedere qualcosa che gli altri non hanno visto e quello che lui lì ha visto, pensa Vidme, mentre cammina nella pioggia e nel vento, è la cosa più importante che ha ricavato dai tanti anni in cui praticamente ogni santo giorno ha scritto. Vidme crede che il suo lavoro di scrittore lo abbia condotto nelle profondità più recondite di qualcosa che lui in momenti improvvisi, istanti felici di lucidità, è arrivato a considerare come un lampo di divino, ma sia il lampo sia il divino sono espressioni che a Vidme non possono piacere, se non avesse disprezzato così tanto queste espressioni avrebbe potuto dire che in singoli istanti illuminati ha avuto un’esperienza che non può negare, un’esperienza che può anche sembrare ridicola, è ridicola, sia per Vidme, sia per la maggioranza della gente, però in alcuni istanti di grazia, se solo potesse fare uso di questa espressione, Vidme, uno scrittore fallito quanto basta, invecchiato presto, si è reso conto di essere stato in prossimità di ciò che con un’espressione che non si sarebbe mai immaginato di utilizzare non può chiamare altro che il divino.

J. Fosse, Melancholia, 252

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Il cielo, il vento, il senso

Ora, lui, Vidme, per parecchi anni è andato per il mondo convinto che è blasfemo parlare del divino e di Dio. Espressioni di questo tipo non le usa lui. O comunque se uno usa espressioni come il divino o Dio, allora non deve voler dire niente di più. E una volta formulato questo pensiero, Vidme si è immaginato tutte quelle persone confuse che hanno cercato un senso alla propria vita dicendo che è il volere di Dio e che succederà questo e quello, perché il buio è stato pesante, il vento forte, l’amore è stato, come sempre, a metà tra uccidere l’altro e preoccuparsi per l’altro, il mare è stato troppo duro, i parti ancora più duri e sopra tutto quanto c’era un enorme cielo. Il mare blu e il cielo blu. Il buio fitto e il vento sibilante. E poi una chiesa, una casa di preghiera sulle montagne. Un cimitero sotto la pioggia nell’oscurità. E ci deve pur essere un senso in tutto questo.

J. Fosse, Melancholia, 266

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L’immortale si manifesta in gioia

Fra gli affanni e le pene della vita
questo messaggio dei saggi brilla lucente
nel mio cuore:
«L’immortale si manifesta in gioia».
Mostrar l’inverso è solo ingegno vano,
cercando di sminuire il Grande.
Colui che vede la Verità Suprema
oltre il Tempo e lo Spazio, nella sua interezza –
sol per lui la vita ha un senso.

R. Tagore, da Ali della morte

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Lettere da Dio

Perché dovrei desiderare di veder Dio meglio di oggi?
Vedo qualcosa di Dio in ogni ora delle ventiquattro, in ogni loro istante,
Vedo Dio in ogni volto umano e nel mio allo specchio,
Trovo lettere inviate da Dio per le strade, ciascuna firmata col suo nome,
E le lascio dove si trovano, perché io so che dovunque mi diriga
Altre verranno puntualmente, sempre e per sempre.

W. Whitman, da Canto di me stesso, 48

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Intelligenza emergente

Le ricerche hanno portato alla conclusione che l’uomo, al di sotto di un preciso sublivello o metalivello, non è più in grado di riconoscere l’intelligenza come tale. Concepisce come intelligenza solo ciò che si muove nella cornice del suo stesso comportamento. Oltre quella cornice, nel microcosmo, appunto, semplicemente non la può vedere. La stessa cosa accadrebbe con un’intelligenza di grandi dimensioni, uno spirito molto esteso: l’uomo vedrebbe solo il caos, perché non riuscirebbe a districare quelle complesse connessioni. Le decisioni di una simile intelligenza gli rimarrebbero del tutto incomprensibili, giacchè i parametri su cui essa si fonda supererebbero la sua capacità di elaborazione. Anche un cane vede nell’uomo solo il potere cui si sottopone, non lo spirito. I comportamenti umani gli sembrano privi di senso, perché noi agiamo sui fondamenti della riflessione, i quali superano le capacità percettive del cane. Allo stesso modo non potremmo percepire Dio – ammesso che esista – in quanto intelligenza, dato che il suo pensiero deve poggiare su una riflessione totale, la cui complessità ci è completamente preclusa. Come conseguenza, Dio ai nostri occhi appare caotico e quindi serve soltanto a far vincere la locale squadra di calcio o a sventare una guerra. Un essere simile si trova ben oltre i confini estremi della capacità di comprensione umana.

Frank Schatzing, Il quinto giorno, pag. 925.

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Preghiera II

Sono legato agli uomini e alle cose;
eppure sai che solo Te desidero.
Tu sei testimone della mia coscienza,
o Signore, Tu mi conosci meglio di me,
in tutti i dolori, le gioie, gli errori,
Tu sai che solo Te desidero.

Non ho potuto lasciare il mio orgoglio;
l’egoismo mi fa morire:
se potessi liberarmene sarei salvo.
Tu sai che solo Te desidero.

Quando Tu con le tue mani
prenderai ciò che è mio,
lasciando tutto, tutto ritrovo in Te.
Tu sai che solo Te desidero.

R. Tagore, da Gitanjali

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Non tace

C’è un poeta
nel cuore dell’universo!
Descrive sempre
la bellezza dei fiori,
cancella spesso
le insoddisfazioni dell’animo;
ma non riesce a far tacere mai
il grido del dolore.

R. Tagore, da Sfulingo

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Fede

Signore, il mio occhio Ti cerca,
io non Ti vedo;
cerco la via:
eppure mi sento contento.
Il mio cuore è nella polvere,
elemosina alla tua porta,
Ti chiede compassione,
non ricevo grazia,
aspetto soltanto.
Eppure mi sento contento.

Da questa terra
chi in gioia e chi in pianto
tutti se ne sono andati.
Non trovo un compagno,
voglio Te.
Eppure mi sento contento.

Il verde mondo,
pieno di delizie, agitato,
fa piangere di passione.
Io non Ti vedo,
sono afflitto;
eppure mi sento contento.

R. Tagore, da Gitanjali

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