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Lo specchio di CLS

Avrei rivissuto dunque l’esperienza degli antichi esploratori, e attraverso di essa, quel momento cruciale del pensiero moderno in cui, grazie alle grandi scoperte, una umanità che si credeva completa e perfezionata riceve all’improvviso, come una controrivelazione, l’annuncio che non era l’unica; che era soltanto una parte di un più vasto sistema e che, per conoscersi, doveva prima contemplare la sua irriconoscibile immagine in quello specchio una particella del quale, dimenticata per secoli, stava per dare a me solo il suo primo e ultimo riflesso.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 275

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Come un ronzio di alveare

È difficile capire le origini delle civiltà americane senza ammettere l’ipotesi di una attività intensa, su tutte le coste del Pacifico — asiatico o americano — che si propagava di zona in zona, grazie alla navigazione costiera; e tutto ciò per diversi millenni. Noi rifiutavamo un tempo la dimensione storica all’America precolombiana, perché l’America postcolombiana ne era stata privata. Ci rimane forse da correggere un secondo errore, che consiste nel pensare che l’America sia rimasta per ventimila anni tagliata fuori dal mondo intero, come lo era stata dall’Europa occidentale. Tutto fa pensare piuttosto che al grande silenzio atlantico rispondesse, su tutto il contorno del Pacifico, un ronzio di alveare.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 213

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La buona educazione

È meglio allora procurare al bambino una « buona » educazione capace innanzi tutto di permettergli una rispettabile « carriera » professionale. Gli insegnano a « servire », in altri termini gli insegnano la servitù nei confronti delle strutture gerarchiche di dominanza. Gli fanno credere che agisce per il bene della comunità, una comunità istituzionalizzata gerarchicamente che lo ricompensa di ogni sforzo compiuto verso la servitù all’istituzione. La servitù diventa allora gratificante. L’individuo è convinto della propria dedizione, del proprio altruismo mentre agisce solo per il proprio appagamento, un appagamento però deformato dal fatto di aver assimilato i dettami della sociocultura.

H. Laborit, Elogio della fuga, 58

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La cultura ed il Borghese Gentiluomo

Ricordiamoci del Borghese Gentiluomo e dei suoi sforzi per acquisire l’infarinatura culturale legata alle caratteristiche della classe alla quale tenta di accedere. Il Borghese Gentiluomo fa parte di una razza prolifica che si è moltiplicata abbondantemente. Ma nella contestazione di classe, ormai dilagante, essendo interesse della borghesia conservare prima di tutto le prerogative gerarchiche di dominanza e non essendo più queste ultime basate esclusivamente sulla nascita e sul comportamento, ma sulla proprietà delle merci, essa accetta di buon grado di diffondere una cultura, soprattutto se vendibile. Pensa così di calmare il rancore suscitato dalle differenze, pur conservando quelle che le sembrano essenziali, il potere, la dominanza gerarchica. Così si sforza, assecondata dalle masse lavoratrici, di valorizzare la cultura, la sua cultura, sempre tenendola ostinatamente separata dall’attività professionale produttiva in cui il suo sistema gerarchico continua a essere intransigente.

H. Laborit, Elogio della fuga, 49

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Che cultura

In una società commerciale, esser colti significa appartenere a quella parte privilegiata della società che può permettersi di diventarlo. Concedere a coloro che non hanno questa fortuna di partecipare alla cultura è in qualche modo permettergli un’ascesa sociale. È un modo di gratificarli narcisisticamente, di migliorare il loro livello di vita, di arricchire l’immagine che di sé possono dare agli altri. È probabile che questo processo derivi direttamente dal rammarico del borghese di non appartenere a un’aristocrazia inutile, non produttiva e colta.

H. Laborit, Elogio della fuga, 48

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Ritratto dello snob

Del resto il comportamento dello snob è molto chiaro. Di per sé sterile, può affermare la sua singolarità solo dimostrando di partecipare a ciò che è singolare. Fa sua la singolarità degli altri e finge di capirla e apprezzarla. Fa così parte di un’accorta élite, in mezzo alla calca volgare e omogenea. Se poi dall’accoppiamento del non conformista con Io snob, può nascere un sistema commerciale, potranno abbinarsi il successo sociale, temporaneo per fortuna, e l’inserimento dell’artista, o supposto tale, nella scala consumatrice e gerarchica. Questo sarà tanto più facile, in quanto l’esperienza storica dimostra che l’innovatore è quasi sempre incompreso dalla maggior parte dei suoi contemporanei. Di qui a pensare che ogni artista incompreso è un genio creatore, il passo è breve.

H. Laborit, Elogio della fuga, 47

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Riflessi di epoche

Noi ci rendiamo conto che i movimenti migratori che ho tentato di tracciare or ora sono del tutto superficiali e che le grandi civiltà del Messico o delle Ande sono state precedute da qualcosa d’altro Già nel Perù e in diverse regioni dell’America del Nord, sono venuti alla luce resti dei primi occupanti: tribù senza agricoltura seguite da società contadine e giardiniere, ma che non conoscevano ancora né il granturco né le stoviglie; i raggruppamenti che si formarono poi praticavano la scultura su pietra e la lavorazione dei metalli preziosi, in uno stile più libero e più ispirato di tutto ciò che verrà dopo. Gli incas del Perù, gli aztechi del Messico, che credevamo espressione e riassunto di tutta la storia americana, sono tanto lontani da quelle vive sorgenti quanto il nostro stile impero lo è dall’Egitto e da Roma a cui si è tanto ispirato.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 212

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Dotte esibizioni

Ma in realtà la ragione principale, secondo me, del sedicente liberalismo culturale dei paesi occidentali deriva dal fatto che la cultura autorizzata, o addirittura favorita, è un groviglio indescrivibile che permette di infiorare la conversazione con citazioni latine o straniere e di issare sulle drizze le bandiere di riconoscimento della società borghese. É una cultura per uso esterno, come il bottoncino di metallo che adorna l’occhiello dei membri di un rotary. Facilita, come i gradi, il comportamento altrui nei confronti del livello gerarchico che abbiamo raggiunto, oppure permette, se la vita non ci è stata propizia, di mantenere la nostra appartenenza, pur senza avere un’attività produttiva ricompensata dalla promozione sociale.

H. Laborit, Elogio della fuga, 51

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Con lo sguardo al futuro

La prospettiva freddamente oggettiva da assumere nei confronti del nostro futuro è che noi siamo diretti verso l’estinzione in un universo retto da impersonali leggi chimiche, fisiche e biologiche. Una concezione più produttiva e senza dubbio più allettante è che noi possediamo l’intelligenza per comprendere ciò che sta accadendo, la compostezza per non lasciarci intimidire dalla sua complessità e il coraggio di prendere misure che forse non daranno frutto durante la nostra esistenza.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 68.

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Protetti contro la vita?

La nostra civiltà ci fa ritenere che sia essenziale la gioia continua. Non conosco altre culture altrettanto votate al piacere. Ci perdiamo nella ricerca continua del piacere, e dimentichiamo che ci sono altre cose. Non appena ci sentiamo un pochino infelici, inghiottiamo una pillola o beviamo qualche euforizzante. Chi ha voglia di soffrire? La nostra è una cultura che aborrisce e teme la sofferenza. Non voglio certo dirvi, santo cielo, «crogioliamoci nella sofferenza››. Non fraintendetemi! Io preferisco di gran lunga insegnare e imparare nella gioia. La gioia è una grande maestra. Ma lo è anche la disperazione. La chiarezza è una grande maestra, ma lo è anche la confusione! La speranza è una grande maestra, ma lo è anche la disillusione! E la vita è una grande maestra, ma lo è anche la morte. Se negate a voi stessi uno qualunque di questi aspetti, non farete un’esperienza totale della vita. Non conosco un’altra cultura al mondo nella quale siano tanto numerosi coloro che attraversano la vita senza farne l’esperienza. Molti di noi non lo sanno neppure che cosa sia! Noi siamo protetti contro la vita.

L. Buscaglia, Vivere amare capirsi, cap. 3

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