Archivi del mese: febbraio 2015

Inquietudine

Dio, guarda la nostra debolezza.
Vorremmo una certezza. 
Di noi nemmeno più ridi? 
E compiangici dunque, crudeltà.
Non ne posso più di stare murato
Nel desiderio senza amore. 
Una traccia mostraci di giustizia. 
La tua legge qual è? 
Fulmina le mie povere emozioni,
Liberami dall’inquietudine. 

Sono stanco di urlare senza voce. 

G. Ungaretti, da La pietà

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Soldati

Si sta come
d’autunno
sugli alberi
le foglie

G. Ungaretti, Soldati

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Cooperative di Nantucket

Seduto sul cassettone c’era un tipo che mi parve fuori del comune e sorprendente. Si chiari poi per il capitano Bildad, che insieme a Peleg era uno dei più grossi proprietari della nave: le altre azioni, com’è sovente il caso in questi porti, erano possedute in annualità da una folla di vedove, orfani e uscieri, e ciascuno era padrone del valore di una testa di trave, di un piede di tavola, o di un chiodo o due, della nave. La gente a Nantucket investe i denari in baleniere, nello stesso modo che voi i vostri in titoli dello Stato, che vi rendono un buon interesse.

H. Melville, Moby Dick, 101

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La santerellina e il ragazzo

— Allora, era la prima volta che camminava su un ponte galleggiante?
Lei disse di sí.
Le prese la mano e gliela fece ondeggiare come se volesse lanciarla in aria.
— E per me è la prima volta che bacio una donna sposata.
— Probabilmente ne bacerai parecchie, —disse lei, — prima di dire basta.
Lui sospirò. – Eh già, – disse. Era stupito e serio all’idea di tutto ciò che lo aspettava. – Si, è probabile.
All’improvviso Jinny si ricordò di Neal, là sulla terra ferma. Neal, frastornato e dubbioso, nell’atto di aprire la mano e mostrarla alla donna coi capelli striati, la chiaroveggente. Neal, in bilico sul suo destino.
Non importava.
Quello che provava era una specie di leggerezza indulgente, quasi una voglia di ridere. Un fremito di affettuosa ilarità, che ebbe la meglio su tutto il dolore e il senso di vuoto, per il momento.

A. Munro, Nemico, amico, amante.. , 83

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Il potere della poesia

Allora, la poesia è puro piacere? Solo stupore e sorpresa? Assolutamente no. La poesia sublime, come la sublime letteratura, è una lente attraverso cui vedere noi stessi, la nostra vita, il nostro mondo. Essa ci mostra la verità.

Stuart Kauffman, Reinventare il sacro, pag. 261.

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Capanne

abitazioni maestose malgrado la loro fragilità, che si valgono di materiali e di tecniche da noi usate solo in caso di piccole dimensioni, più che costruite sono annodate, intrecciate, tessute, ricamate e patinate dall’uso; invece di schiacciare l’abitante sotto la massa indifferente delle pietre, reagiscono morbidamente alla sua presenza e ai suoi movimenti; al contrario di quel che avviene da noi, restano sempre assoggettate all’uomo. Il villaggio racchiude i suoi abitanti come una leggera ed elastica armatura; più simili ai cappelli delle nostre donne che alle nostre città: insieme monumentale che conserva un po’ della vita della vegetazione, volte e fogliami la cui linea naturale è stata conciliata dall’abilità dei costruttori con le esigenze e necessità dei loro piani.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 22

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Festa nella foresta

Questi straccioni, sperduti in fondo alla loro palude, offrivano uno spettacolo ben triste; ma il loro stesso abbrutimento rendeva più impressionante la tenacia con la quale avevano preservato certi aspetti del passato.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 19

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Amare ammirare

Nell’amore è il desiderio dell’Altro che ci trascina, è il suo modo di toccare, di sentire, di guardare, di vivere il mondo che ci tocca e ci mette in movimento. L’amore è, in questo senso, quando c’è, ammirazione pura per il desiderio dell’Altro. Per questo amare significa lasciare che l’Altro viva sino in fondo — con la massima libertà — il proprio desiderio. Non c’è amore — se non patologico e narcisistico — disgiunto dalla stima. Ammirare l’Altro resta la condizione più propria dell’amore, irriducibile alle strategie immaginarie e proiettive dell’identificazione.

M. Recalcati, Non è più come prima, 121

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Il cannibale Quiqueg

Egli chiese soltanto dell’acqua, acqua dolce, qualcosa per detergersi la salsedine; il che fatto, si vestì di abiti asciutti, accese la pipa e piegandosi sulle murate e sbirciando con calma quelli intorno, parve dire a se stesso: «Questo mondo è un gran mutuo ad azioni, sotto tutti i meridiani. Noi cannibali dobbiamo aiutarli questi cristiani».

H. Melville, Moby Dick, 89

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Cultura

L’uomo aveva la cultura della pietra scheggiata che lo univa, oscuramente ma completamente, al cosmo. L’operaio di oggi non ha neppure la cultura del cuscinetto a sfera che costruisce con gesti automatici, tramite una macchina. E per ritrovare il cosmo, per sentirsi parte della natura deve avvicinarsi alle finestrine che l’ideologia dominante accetta di aprire qua e là, nella sua prigione sociale, per fargli arrivare l’aria fresca. È un’aria avvelenata dai gas di scappamento della società industriale, eppure quest’aria viene chiamata Cultura.

H. Laborit, Elogio della fuga, 52

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