Archivi del mese: gennaio 2015

Il Capitano

Il Capitano era sereno

(Venne in cielo la luna)

Era alto e mai non si chinava.

(Andava su una nube)

Nessuno lo vide cadere,
Nessuno l’udì rantolare,
Riapparve adagiato in un solco,
Teneva le mani sul petto.

Gli chiusi gli occhi.

(La luna è un velo)

Parve di piume.

G. Ungaretti, da Il Capitano

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Senza brividi

Non esistevano per lui più fede, sincerità, tragicità; tutto attraverso la sua noia gli appariva pietoso, ridicolo, falso; ma capiva la difficoltà e i pericoli della sua situazione; bisognava appassionarsi, agire, soffrire, vincere quella debolezza, quella pietà, quella falsità, quel senso del ridicolo; bisognava essere tragici e sinceri.

A. Moravia, gli indifferenti, 194

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In mare aperto

Come aspirai quell’aria frizzante! come sdegnai la terra limitata — quella strada comune tutta segnata dalle impronte di tacchi e di zoccoli servili — e mi volsi ad ammirare la magnanimità del mare che non lascia ricordi!

H. Melville, Moby Dick, 87

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Rimedio per la depressione… di un vecchio medico indiano

Gli chiesi però se aveva qualche suggerimento contro la depressione, e quella domanda provocò qualcosa di strano che ancora oggi non so spiegarmi. Choe-drak rispose che la depressione è una malattia soprattutto occidentale. «E la ragione », aggiunse, «è che voi occidentali siete troppo attaccati alle cose. Siete fissati sulle cose. Uno perde, ad esempio, la sua penna e da allora non fa che pensare alla penna persa, senza dirsi che la penna non ha alcun valore, che si può scrivere anche con un lapis. In Occidente vi preoccupate troppo delle cose materiali.»
Lo ascoltavo e automaticamente prendevo appunti con la mia vecchia Montblanc nera. Parlammo ancora della sua prigionia, delle pillole preziose, dei mantra, le formule magiche, che debbono essere recitate durante la loro preparazione, e io continuavo a prendere appunti con la mia Montblanc. Alla fine ringraziammo, passammo dalla farmacia a ritirare le pillole, tornammo al Kashmir Cottage e li mi accorsi che… non avevo più la mia penna! Rimandai immediatamente l’interprete dal medico, chiesi al fratello del Dalai Lama di telefonare all’Istituto. Niente da fare. La penna era scomparsa. E io non feci che pensarci. Non tanto perché c’ero affezionato, ma perché m’era venuto il sospetto che il vecchio medico, sentendo nelle mie domande un fondo di scetticismo, avene voluto dimostrarmi i suoi « poteri » e darmi una lezione.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 211

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Haik ni chohn!

Il pubblico restava silenzioso quando il proprio beniamino assestava un buon colpo, quasi come a dire «è proprio quello che ci aspettavamo». I sostenitori dell’antagonista, di fronte alla stessa prodezza, potevano esclamare «Haik ni chohn! » («È un uomo! »), intendendo che siccome il loro campione era forte, l’altro doveva essere davvero formidabile per averlo atterrato.

E. L. Bridges, Ultimo confine del mondo, XXXIV

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La buona educazione

È meglio allora procurare al bambino una « buona » educazione capace innanzi tutto di permettergli una rispettabile « carriera » professionale. Gli insegnano a « servire », in altri termini gli insegnano la servitù nei confronti delle strutture gerarchiche di dominanza. Gli fanno credere che agisce per il bene della comunità, una comunità istituzionalizzata gerarchicamente che lo ricompensa di ogni sforzo compiuto verso la servitù all’istituzione. La servitù diventa allora gratificante. L’individuo è convinto della propria dedizione, del proprio altruismo mentre agisce solo per il proprio appagamento, un appagamento però deformato dal fatto di aver assimilato i dettami della sociocultura.

H. Laborit, Elogio della fuga, 58

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Collera senza sangue

Guardò la madre: “Davvero mascalzone” ripeté, e si sentì agghiacciare dalla propria voce, che era fredda e banale come se avesse voluto dire “buon giorno” oppure “che ore sono.” Allora batté il pugno sulla tavola: “Ma io” gridò con una stridula ed esteriore veemenza “sono anche capace di andare a casa sua e prenderlo a schiaffi.” Alzò gli occhi e si vide nello specchio di Venezia appeso alla parete di faccia: era sua o di qualchedun altro quell’immagine dagli occhi ipocriti, che lo guardava di sotto in su come per dirgli ” No… non sei capace”?

A. Moravia, Gli indifferenti, 207

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Tropici

Gli alberi crescevano in tutti i sensi, i fiori sbocciavano attravverso le cascate; non si sapeva più se il fiume serviva a irrigare quel prodigioso giardino o se invece sarebbe stato presto soverchiato dalla moltiplicazione delle piante e delle liane alle quali tutte le dimensioni dello spazio e non più soltanto la verticale sembravano diventate accessibili, dato l’annullamento di ogni distinzione abituale fra la terra e l’acqua. Non c’era più fiume, non c’erano più rive, ma un dedalo di aiuole lambite dalla corrente, mentre il terreno affiorava tra la schiuma. Questa amicizia fra gli elementi si estendeva anche fra gli esseri viventi; Le tribù indigene hanno bisogno di enormi estensioni per vivere.vivere. Ma qui, una sovrabbondanza di vita animale testimoniava che da decenni l’uomo era stato impotente a turbare l’ordine naturale. Gli alberi fremevano di scimmie quasi più che di foglie? Si sarebbe detto che frutti di 20 denunziassero fra i loro rami. Sulle rocce a fior d’acqua, bastava stendere la mano per sfiorare le piume lucide e nere dei grandi matum dal becco d’ambra o di corallo e i jacamin marezzati di blu come il Labrador. Questi uccelli non ci sfuggivano: gioielli viventi che erravano fra le liane grondanti e i torrenti fronzuti, contribuivano a ricostruire davanti ai miei occhi stupefatti certi quadri della bottega dei Brueghel in cui il paradiso, raffigurato come una tenera intimità fra le piante, le bestie e gli uomini, riconduce all’epoca in cui l’universo degli esseri non aveva ancora compiuto la sua scissione.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 279

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Ambizione

Poiché tutti gli uomini tragicamente grandi sono tali attraverso qualcosa di morboso. Sta’ sicura di questo, o ambizione giovanile: qualsiasi grandezza mortale è soltanto malattia.

H. Melville, Moby Dick, 101

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Chi è là? Rispondete alla svelta.

Qualcun altro, tuttavia, era stato altrettanto vigile e silenzioso, perché dopo un attimo nella foresta risuonò una voce arrochita dall’agitazione, che gridò in ona. – Chi è là? Rispondete alla svelta.
Il giovane Ahnikin riconobbe la voce. Apparteneva a un suo parente del gruppo di Najmishk con cui all’epoca era in buoni rapporti. Rispose subito e disse che con lui c’era anche Lanushwaiwa. Ahnikin mi fece segno di seguirlo e ci facemmo avanti insieme. Vicinissimi a noi, poco piú in là di un boschetto di giovani faggi, c’erano dieci o undici ona sparpagliati. Si erano nascosti dietro ai tronchi più grossi e quando arrivammo tra loro stavano reinfilandosi i mantelli e riponendo le frecce nelle faretre.

E. L. Bridges, Ultimo confine del mondo, XXVII

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