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E t’amo, e t’amo, ed è continuo schianto!…

G. Ungaretti, da Giorno per giorno

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Perdonare

Il lavoro del perdono può diventare — come talvolta diventa — un’occasione per provare a fare un passo al di fuori delle sabbie mobili del narcisismo. L’orgoglio dell’Io tenderebbe a rendere impossibile questo lavoro, a respingere la violenza dell’offesa, ma proprio per questo nulla come l’esperienza del perdono — quando davvero avviene — mostra il limite della visione freudiana dell’amore come accecamento e come pura illusione immaginaria. L’Altro non è qui lo specchio buono che riflette le parti migliori di me stesso offrendo un rifornimento libidico che arricchisce il mio narcisismo, né è ridotto, come quando se ne va, a uno specchio infranto che non restituisce più nulla e che diviene oggetto d’odio e di ripulsa. L’innamoramento come “concupiscenza mentale”, secondo una definizione di Lacan, che ci lega alle virtù illusionistiche e persecutorie dello specchio, lascia il posto a un altro amore. Il lavoro del perdono non si nutre dell’infatuazione narcisistica della propria immagine ideale, ma viene dall’abisso del trauma dell’abbandono; non confronta il soggetto con l’immagine ideale dell’Altro, ma con la sua alterità più spigolosa, con il reale più reale dell’Altro. Se l’innamoramento si soddisfa del potenziamento dell’Io, il perdono conduce al di là dell’Io, ci accosta al mistero della totale ingovernabilità dell’Altro, del suo essere irriducibilmente straniero, eteros.

M. Recalcati, Non è più come prima, 100

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Abbandoni

La promessa degli amanti non ha alcun fondamento se non quello del patto di parola. Nessun Dio, nessun padre, nessun grande Altro potrà garantire l’indissolubilità di questo patto. Lo abbiamo visto: è il mistero e il dramma dell’amore. Questo assoluto — questa sospensione del tempo storico che si traduce nell'”ancora” infinito della domanda d’amore — può spegnersi, può non esistere più, può conoscere la sua fine. L’esperienza traumatica dell’abbandono è l’esperienza di questo cataclisma reale. Il tempo fa la sua riapparizione sulle ceneri di quello che non è più come prima, inesorabile, infrangendo la promessa del “per sempre”. Adesso l’Altro non è più colui che ci salva, non ha più il volto dell’Altro-soccorritore, ma è colui che ci affonda spietatamente.

M. Recalcati, Non è più come prima, 74

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L’abbandono

Il traumatismo dell’abbandono, come la clinica psicoanalitica mostra, riaccende traumatismi più antichi, primari, riporta il soggetto alle sue ferite più lontane nel tempo. Il trauma non invade solo il corpo ma innanzitutto la vita psichica. È un evento che coinvolge la rottura degli argini della nostra identità, che infrange la certezza sulla quale poggia la nostra vita.

M. Recalcati, Non è più come prima, 3

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Sii coraggiosa, amore.

I boschi di pini sulla collina,
e la fattoria lontana miglia e miglia,
apparivano nitidi come dietro una lente
sotto il cielo di un azzurro pavone!
Ma una coperta di nuvole nel pomeriggio
avvolse la terra. E tu camminavi la strada
e il campo dei trifogli, dove l’unica voce
era il tremolo vivo del grillo.
Poi il sole tramontò fra grandi cumuli
di lontane burrasche. Si levò un vento
e spazzò il cielo che attizzava le fiamme
delle stelle scoperte;
e faceva oscillare la luna rossiccia,
che pendeva fra l’orlo del colle
e i rami scintillanti del frutteto.
Tu camminavi soprappensiero sulla riva
dove le gole delle onde erano come civette
che cantassero sotto l’acqua e piangessero
allo sciacquio del vento in mezzo ai cedri.
Finché tu ti fermasti, troppo commossa per piangere,
e vicino alla casa, in alto, vedesti Giove,
che sfiorava la vetta del pino gigante,
e in basso vedesti la mia sedia vuota,
cullata dal vento nel portico solitario —
sii coraggiosa, Amore!

E. Lee-Masters, Charles Webster

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Precipitare nel non-senso

La promessa degli amanti non ha alcun fondamento se non quello del patto di parola. Nessun Dio, nessun padre, nessun grande Altro potrà garantire l’indissolubilità di questo patto. Lo abbiamo visto: è il mistero e il dramma dell’amore. Questo assoluto — questa sospensione del tempo storico che si traduce nell’«ancora» infinito della domanda d’amore — può spegnersi, può non esistere più, può conoscere la sua fine. L’esperienza traumatica dell’abbandono è l’esperienza di questo cataclisma reale. Il tempo fa la sua riapparizione sulle ceneri di quello che non è più come prima, inesorabile, infrangendo la promessa del “per sempre”. Adesso l’Altro non è più colui che ci salva, non ha più il volto dell’Altro-soccorritore, ma è colui che ci affonda spietatamente.

M. Recalcati, Non è più come prima, 74

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La sconfitta del dolore

E poi: eliminando la sofferenza al suo primo insorgere, l’uomo moderno si nega la possibilità di prendere coscienza del dolore e della straordinaria bellezza del suo contrario: il non-dolore. Perché in tutte le grandi tradizioni religiose il dolore è visto come una cosa naturale, come una parte della vita? C’è forse nel dolore un qualche significato che ci sfugge? che abbiamo dimenticato? Se anche ci fosse, non vogliamo saperne. Siamo condizionati a pensare che il bene deve eliminare il male, che nel mondo deve regnare il positivo, e che l’esistenza non è l’armonia degli opposti. In questa visione non c’è posto né per la morte, né tanto meno per il dolore. La morte la neghiamo non pensandoci, togliendola dalla nostra quotidianità, relegandola, anche fisicamente, là dove è meno visibile. Col dolore abbiamo fatto anche di meglio: lo abbiamo sconfitto. Abbiamo trovato rimedi per ogni male e abbiamo eliminato dall’esperienza umana anche il più naturale, il più antico dei dolori: quello del parto, sul quale da che mondo è mondo si è fondato l’orgoglio della maternità e l’unicità di quel rapporto forse saldato proprio dalla sofferenza. Ma questa è la nostra civiltà. Ci abituiamo sempre più a risolvere con mezzi esterni i nostri problemi e con ciò perdiamo sempre più i nostri poteri naturali. Ricorriamo alla memoria del computer e perdiamo la nostra. Ingurgitiamo sempre più medicine e con ciò riduciamo la capacità del corpo a produrre le sue.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 102

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Il paese delle lacrime

Non sapevo bene che cosa dirgli. Mi sentivo molto maldestro. Non sapevo come toccarlo, come raggiungerlo… Il paese delle lacrime è così misterioso.

A. De Saint-Exupéry, Il piccolo principe, VII

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Doc Hill

Andavo su e giù per le strade
qua e là, giorno e notte,
curando in tutte le ore della notte i malati poveri.
E sapete perché?
Mia moglie mi odiava, mio figlio andò in rovina;
e io mi volsi alla gente e riversai su questa il mio amore.
Fu dolce vedere la folla, nei prati, il giorno del mio funerale,
e udirla mormorare il suo amore e il suo dolore.
Ma, Dio mio, mi tremò l’anima — a stento
capace di reggersi davanti alla nuova vita
quando vidi Em Stanton dietro la quercia
della tomba,
che nascondeva se stessa e il suo dolore!

E. Lee-Masters, Antologia di Spoon River

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Il lutto di un padre

Non dovete chiedermi perdono, signore. Io me ne ricordo tutto il tempo, voi non mi avete ricordato niente. La cosa più intollerabile è che si trasformi in passato chi si ricorda come futuro. Ma l’unica soluzione a quel che dite, signore, è che tutto finisca e non rimanga più nulla.

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 112

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