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la conquista della scrittura

Se si vuol mettere in relazione l’apparire della scrittura con certi tratti caratteristici della civiltà, bisogna cercare in un’altra direzione. Il solo fenomeno che l’abbia fedelmente accompagnata è la formazione delle città e degli imperi, cioè l’integrazione in un sistema politico di un numero considerevole di individui e la loro gerarchizzazione in caste e in classi. Tale è, in ogni caso, l’evoluzione tipica alla quale si assiste, dall’Egitto fino alla Cina, nel momento in cui la scrittura fa la sua apparizione: essa sembra favorire lo sfruttamento degli uomini prima di illuminarli. Questo sfruttamento, che permetteva di raccogliere migliaia di lavoratori per costringerli a compiti estenuanti, meglio della relazione diretta considerata testé. Se la mia ipotesi è esatta, bisogna ammettere che la funzione primaria della comunicazione scritta è di facilitare l’asservimento. L’impiego della scrittura a fini disinteressati, in vista di trarne soddisfazioni intellettuali ed estetiche, è un risultato secondario, se pure non si riduce più spesso a un mezzo per rafforzare, giustificare e dissimulare l’altro.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 252

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Uomini primitivi

Non è soltanto per ingannare i nostri bambini che vogliamo che continuino a credere a Babbo Natale: il loro fervore ci riscalda, ci aiuta a ingannare noi stessi e a credere, poiché essi ci credono, che un mondo di generosità senza contropartita è compatibile con la realtà.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 23

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Una storia sconosciuta

Ci rimane forse da correggere un secondo errore, che consiste nel pensare che l’America sia rimasta per ventimila anni tagliata fuori dal mondo intero, come lo era stata dall’Europa occidentale. Tutto fa pensare piuttosto che al silenzio atlantico rispondesse, su tutto il contorno del Pacifico, un ronzio di alveare.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 213

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Come un ronzio di alveare

È difficile capire le origini delle civiltà americane senza ammettere l’ipotesi di una attività intensa, su tutte le coste del Pacifico — asiatico o americano — che si propagava di zona in zona, grazie alla navigazione costiera; e tutto ciò per diversi millenni. Noi rifiutavamo un tempo la dimensione storica all’America precolombiana, perché l’America postcolombiana ne era stata privata. Ci rimane forse da correggere un secondo errore, che consiste nel pensare che l’America sia rimasta per ventimila anni tagliata fuori dal mondo intero, come lo era stata dall’Europa occidentale. Tutto fa pensare piuttosto che al grande silenzio atlantico rispondesse, su tutto il contorno del Pacifico, un ronzio di alveare.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 213

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Evoluzioni morali

Il nostro ragionamento morale, come il nostro diritto, cambia incessantemente e con indefessa creatività. Ma, come il diritto, alcune nostre considerazioni morali risalgono alla notte dei tempi e presumibilmente non sono cambiate per buone ragioni: in parte per gli effetti della selezione di gruppo durante l’evoluzione e in parte per una consapevolezza lungamente acquisita della loro saggezza. Affermare che il nostro senso morale si evolve non significa invocare un cieco relativismo morale. E’ invece l’invito a rispettare la saggezza morale del passato; è una titubanza a modificare un antico patrimonio morale, ma con la flessibilità sufficiente per adattarsi a fatti nuovi.

Stuart Kauffman, Reinventare il sacro, pag. 284.

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I nostri tempi

A un semaforo, aspettando il verde, mi colpì la scena al mezzanino dell’edificio che avevo dinanzi: decine di uomini e donne nel riquadro di grandi finestre correvano, correvano, restando però lì dov’erano, sudati e paonazzi, rivolti verso la strada. Non era la prima volta che vedevo una palestra, ma l’immagine di tutti quei giovani che, finito l’orario d’ufficio, erano corsi a smaltire frustrazioni e grasso mi pareva riassumere tutto il senso di quella civiltà: correre per correre, andare per non arrivare da nessuna parte.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 147

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La scomparsa dei miti

Il folletto Yohsi era di una pasta meno eterea. Somigliava a un uomo e in casa sua teneva donne e bambini. Era trasparente ma non invisibile e passando sulla neve più soffice poteva lasciare – ma non sempre – una qualche sorta di impronta. Spezzava e raccoglieva rami secchi e pezzi di legna da ardere a cui non sapeva dare fuoco. Il più delle volte appariva ai cacciatori solitari che passavano la notte accanto al falò. Quando il cacciatore dormiva, Yohsi arrivava per agitare le fiamme con il suo lungo dito medio. Quando i ciocchi ardenti si smorzavano, il cacciatore si destava di soprassalto, per trovarsi Yohsi seduto di fronte. Il folletto poteva volar via o svanire all’istante, ma anche restare li a lungo, seminando il terrore in chi gli sedeva dirimpetto. Circolavano storie di nomadi solitari trovati morti e orribilmente mutilati, evidentemente da Yohsi, nel posto che avevano scelto per passare la notte. Una volta mi trovavo in viaggio con due ona. Dopo essere scesi dai monti sul finire del giorno, ci eravamo accampati nella boscaglia vicino al livello superiore della vegetazione, quando un secco spezzarsi di rami nell’aria gelida avvisò i miei compagni della presenza di Yohsi. Erano evidentemente agitati e quando commisi la sciocchezza di farmi beffe della loro superstizione, uno dei due mi rimproverò dicendo che se fossi stato da solo e mi fossi trovato con Yohsi seduto davanti dall’altra parte del fuoco, non sarei stato cosi coraggioso. Per qualche ignota ragione il numero degli yohsi aveva subito un forte calo prima ancora dell’arrivo dell’uomo bianco, e ora si trovavano solo nelle zone piú squallide e inaccessibili del paese.

E. L. Bridges, Ultimo confine del mondo, XLII

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Di città in città

Dopo quattro o cinquemila anni di storia ci piace immaginare che un ciclo si sia concluso; che la civiltà urbana, industriale e borghese, inaugurata dalle città dell’Indo, non fosse così diversa nella sua ispirazione profonda da quella che, dopo una lunga involuzione nella crisalide europea, avrebbe raggiunto la pienezza dall’altro lato dell’Atlantico. Quando era ancora giovane, il mondo antico abbozzava già il volto del Nuovo.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 14

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Riflessi di epoche

Noi ci rendiamo conto che i movimenti migratori che ho tentato di tracciare or ora sono del tutto superficiali e che le grandi civiltà del Messico o delle Ande sono state precedute da qualcosa d’altro Già nel Perù e in diverse regioni dell’America del Nord, sono venuti alla luce resti dei primi occupanti: tribù senza agricoltura seguite da società contadine e giardiniere, ma che non conoscevano ancora né il granturco né le stoviglie; i raggruppamenti che si formarono poi praticavano la scultura su pietra e la lavorazione dei metalli preziosi, in uno stile più libero e più ispirato di tutto ciò che verrà dopo. Gli incas del Perù, gli aztechi del Messico, che credevamo espressione e riassunto di tutta la storia americana, sono tanto lontani da quelle vive sorgenti quanto il nostro stile impero lo è dall’Egitto e da Roma a cui si è tanto ispirato.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 212

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Cacciatori – raccoglitori

L’esistenza di queste società ci allarma. In parte è una preoccupazione che incontriamo quando scriviamo la nostra storia. La modifichiamo per elevarci nel creato che ci circonda, per isolarci dagli antenati cacciatori che ci mettono a disagio. Ci sembrano troppo simili ad animali predatori, insolenti e violenti. Le culture dei cacciatori sono troppo barbariche per noi. Condannandole, giudichiamo inevitabile il fatto che le loro consuetudini vengano eclissate.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 391.

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