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Epistemologia

Finché gli uomini ignoreranno che niente nell’umana aderenza al mondo, niente di ciò che si accumula nel loro sistema nervoso è isolato, separato dal resto, che tutto si collega, si organizza, si informa in lui, obbedendo a leggi rigorose, la maggior parte delle quali non sono ancora state scoperte, accetteranno la distinzione tra uomo che produce e uomo di cultura. Anche questa divisione è un fenomeno culturale, come credere nello spirito e nella materia, nel bene e nel male, nel bello e nel brutto, ecc. E tuttavia le cose si limitano a essere. È l’uomo che le analizza, le separa, le suddivide, e mai disinteressatamente. All’inizio, di fronte all’apparente caos del mondo, ha classificato, costruito i cassetti, i capitoli, gli scaffali. Ha introdotto il suo ordine nella natura per agire. E dopo ha creduto che quello fosse l’ordine della natura, senza accorgersi che era il suo, che era stato stabilito secondo suoi criteri e che quei criteri provenivano dall’attività funzionale del sistema che gli permetteva di entrare in contatto col mondo: il sistema nervoso.

H. Laborit, Elogio della fuga, 51

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Fallacia ludica

Noi esseri umani amiamo il tangibile, la conferma, il palpabile, il reale, il visibile, il concreto, il conosciuto, il visto, il vivido, il visuale, il sociale, il radicato, l’emotivamente carico, il saliente, lo stereotipato, il toccante, il teatrale, il romanzato, ciò che è di facciata, l’ufficiale, la verbosità che sembra erudizione (le stronzate), il pomposo economista gaussiano, le scemenze matematizzate, il fasto, l’Académie francaise, la Harvard Business School, il premio Nobel, i completi scuri con le camicie bianche e le cravatte di Ferragamo, il sermone toccante e il sensazionale. Ma soprattutto preferiamo il narrato.
Purtroppo l’attuale versione della razza umana non comprende le questioni astratte perchè le serve un contesto, e il caso e l’incertezza sono astrazioni. Rispettiamo ciò che è accaduto, ma ignoriamo ciò che sarebbe potuto accadere. In altre parole, per natura siamo poco profondi e superficiali, e non lo sappiamo. Questo problema non è di natura psicologica, ma deriva dalla principale caratteristica dell’informazione. Il lato oscuro della luna è più difficile da vedere, e illuminarlo con raggi di luce richiede molta energia. Illuminare il non visto richiede molto sforzo, da un punto di vista sia computazionale che mentale.

Nassim N. Taleb, Il cigno nero, pag. 146

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La storia del tacchino

Pensate a un tacchino a cui venga dato da mangiare tutti i giorni. A ogni pasto si consolida la sua convinzione che una regola generale della vita sia quella di essere sfamati quotidianamente da membri amichevoli della razza umana che “pensano solo al suo interesse”, come direbbe un politico. Poi però, il pomeriggio del mercoledì che precede il giorno del Ringraziamento, al tacchino succede una cosa imprevista, che lo spinge a rivedere le sue idee.

Nassim Nicholas Taleb, Il Cigno Nero, pag. 61.

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La storia nel presente

Con tutte quelle prove materiali, per un momento si ha la sensazione di poter possedere il passato, di poterlo avere, ma il presente prende dal passato solo quello che vuole, allore è sempre del presente che si tratta, perchè ogni periodo interpreta la storia in modo diverso. Anche noi un giorno faremo parte di questa curiosa astrazione. Ciò che pensavamo di noi stessi sarà travisato a seconda degli umori di un’epoca successiva.

Cees Nooteboom, Verso Santiago, pag. 33.

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La scienza del Mullah Nasruddin

Guardare la realtà solo attraverso la lente della scienza è fare come l’ubriaco di Mullah Nasruddin, il mistico, mitico protagonista di tante belle, ironiche storie, originariamente mediorientali, ma ormai entrate a far parte della cultura popolare asiatica. L’uomo, dopo aver passato la serata a bere con gli amici, si accorge rientrando di aver perso la chiave di casa e si mette a cercarla nel fascio di luce dell’unico lampione lungo la strada. «Perché proprio lì? » gli chiede un passante. «Perché è l’unico posto in cui riesco a vedere qualcosa », risponde l’ubriaco.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, cap. 3

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Incertezze: in sè, intorno a sè

Si ricorda che tutti viviamo, in maniera parziale ma permanente, subendo l’inganno oppure praticandolo, raccontando soltanto una parte, nascondendo un’altra parte e mai le stesse parti alle diverse persone che ci circondano. E tuttavia, a quel che sembra, non siamo del tutto capaci di abituarci a ciò. E quando scopriamo che qualcosa non era come l’abbiamo vissuto – un amore o un’amicizia, una situazione politica o un’aspettativa comune e addirittura nazionale – ci si presenta nella vita reale quel dilemma che può tormentarci così tanto e che in grande misura è il terreno della finzione: non sappiamo più com’è stato per davvero ciò che ci sembrava certo, non sappiamo più come abbiamo vissuto ciò che abbiamo vissuto, se è stato quello che abbiamo creduto fino a quando siamo stati ingannati o se dobbiamo gettare tutto quanto nel sacco senza fondo dell’immaginario e tentare di ricostruire i nostri passi alla luce della rivelazione presente e del disinganno. La più completa delle biografie non è fatta d’altro che di frammenti irregolari e di scampoli scoloriti, anche la propria biografia. Crediamo di poter raccontare le nostre vite in maniera più o meno ragionata e precisa, e quando cominciamo ci rendiamo conto che sono affollate di zone d’ombra, di episodi non spiegati e forse inesplicabili, di scelte non compiute, di opportunità mancate, di elementi che ignoriamo perché riguardano gli altri, di cui è ancora più arduo sapere tutto o sapere qualcosa. L’inganno e la sua scoperta ci fanno vedere che anche il passato è instabile e malsicuro, che neppure ciò che in esso sembra ormai fermo e assodato lo è per una volta e non per sempre, che ciò che è stato è composto anche da ciò che non è stato, e che ciò che non è stato può ancora essere.

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, Epilogo.

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Crede la madre che avrebbe dovuto essere madre

O sono le scorciatoie e i contorti cammini del nostro sforzo quelli che ci modificano e finiamo per credere che sia il destino, finiamo per vedere tutta la nostra vita alla luce di ciò che è accaduto per ultimo o di ciò che è più recente, come se il passato fosse stato soltanto preparativi e lo stessimo capendo man mano che si allontana da noi, e lo capissimo del tutto alla fine. Crede la madre che avrebbe dovuto essere madre e la zitella nubile, l’assassino assassino e la vittima vittima, come crede il governante che le sue azioni lo condussero sin dall’inizio ad disporre di altre volontà e si indaga l’infanzia del genio quando si sa che è un genio; il re si convince che gli toccava essere re se regna e che gli toccava ergersi a martire del proprio lignaggio se non ci riesce, e quello che arriva alla vecchiaia finisce per ricordare se stesso per tutto il tempo come un lento progetto di anziano

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 115

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Il racconto delle cose accadute

Colui che racconta di solito sa spiegare bene le cose e si sa spiegare, raccontare è come convincere o farsi capire o far vedere e così tutto può essere compreso, anche le cose più infami; tutto perdonato quando c’è qualcosa da perdonare, tutto tralasciato o assimilato e anche compatito, questo è avvenuto e bisogna conviverci quando sappiamo che è stato, trovargli un posto nella nostra coscienza e nella nostra memoria che non ci impedisca di continuare a vivere perché è accaduto e perché lo sappiamo. L’accaduto è perciò sempre molto meno grave dei timori e delle ipotesi, delle congetture e delle supposizioni e dei brutti sogni, che in realtà non introduciamo nella nostra conoscenza ma che mettiamo da parte dopo averli sofferti o dopo averli considerati momentaneamente e perciò continuano a suscitare orrore a differenza degli eventi, che diventano più lievi per la loro stessa natura, cioè, appunto perché sono dei fatti: dato che ciò è successo e lo so ed è irreversibile, ci diciamo rispetto a quelli, devo spiegarmelo e farlo mio o fare sì che me lo spieghi qualcuno, e la cosa migliore sarebbe che me lo raccontasse esattamente chi si è incaricato di farlo, perché è lui che sa.

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 210

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Crede la madre che avrebbe dovuto essere madre

finiamo con il vedere tutta la nostra vita alla luce di ciò che è ultimo o di ciò che è più recente, crede la madre che avrebbe dovuto essere madre e la zitella nubile, l’assassino assassino e la vittima vittima, e l’adultera adultera se sapesse di morire nel pieno del proprio adulterio e se quella parola non fosse caduta in disuso.

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 204

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