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Il desiderio del padre

Cosa sarebbe successo se. Una domanda assolutamente superflua e rivolta sempre anche a chi la fa, in che misura le cose gli sembrano mutabili, esposte all’intervento dell’agire razionale. Anche se mia madre non ha mai mosso un rimprovero a mio padre. Vale a dire che si era davvero arruolato volontariamente, non l’aveva convinto il padre. Ma non ce n’era stato bisogno. Era stata solo la realizzazione silenziosa di quel che il padre desiderava, in sintonia con la società.

U. Timm, Come mio fratello, 53

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L’istruzione obbligatoria

Guardiamo più vicino a noi: l’azione sistematica degli stati europei a favore dell’istruzione obbligatoria, che si svolge durante il XIX a secolo, va di pari passo con l’estensione del servizio militare e la proletarizzazione. La lotta contro l’analfabetismo si confonde così con l’intensificazione del controllo dei cittadini da parte del potere. Bisogna che tutti sappiano leggere perché il potere possa dire: a nessuno è permesso ignorare la legge.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 252

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La buona educazione

È meglio allora procurare al bambino una « buona » educazione capace innanzi tutto di permettergli una rispettabile « carriera » professionale. Gli insegnano a « servire », in altri termini gli insegnano la servitù nei confronti delle strutture gerarchiche di dominanza. Gli fanno credere che agisce per il bene della comunità, una comunità istituzionalizzata gerarchicamente che lo ricompensa di ogni sforzo compiuto verso la servitù all’istituzione. La servitù diventa allora gratificante. L’individuo è convinto della propria dedizione, del proprio altruismo mentre agisce solo per il proprio appagamento, un appagamento però deformato dal fatto di aver assimilato i dettami della sociocultura.

H. Laborit, Elogio della fuga, 58

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A galla in un mare di condizionamenti

La nozione di relatività dei giudizi porta all’angoscia, è vero. È più semplice avere a nostra disposizione, quando si deve agire, una strategia già pronta, o le istruzioni per l’uso. Le nostre società che esaltano tanto spesso, almeno a parole, la responsabilità, si industriano di non lasciarne affatto all’individuo, per paura che agisca in modo non conforme alla struttura gerarchica di dominanza. E il bambino, per sfuggire all’angoscia, per rassicurarsi, cerca l’autorità delle regole imposte dai genitori. Da adulto farà lo stesso con l’autorità imposta dalla sociocultura in cui è inserito. Si aggrapperà ai giudizi di valore di un gruppo sociale, come un naufrago si aggrappa disperatamente alla ciambella di salvataggio.

H. Laborit, Elogio della fuga, 57

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Educazione alla creatività

L’educazione alla creatività esige innanzi tutto l’ammissione che non vi sono certezze o almeno che esse sono sempre temporanee, efficaci a un dato istante dell’evoluzione, ma che si devono continuamente riscoprire col solo scopo di abbandonarle appena si sia potuto dimostrare il loro valore operativo. L’educazione che ho chiamato « relativista » mi sembra l’unica degna del cucciolo dell’Uomo. Certo non è «proficua» sul piano della promozione sociale, ma Rimbaud, Van Gogh o Einstein, per citare solo alcuni che oggi vengono riconosciuti geniali, hanno mai mirato alla promozione sociale? Questa educazione favorirebbe lo sviluppo dell’individualità, e ciò andrebbe a tutto vantaggio della collettività che sarebbe così formata da individui senza uniforme. Penso anche che solo questa educazione potrebbe portare alla tolleranza, perché intolleranza e settarismo sono sempre dovuti all’ignoranza e alla sottomissione incondizionata agli automatismi più primitivi, elevati al rango di etiche, di valori eterni e indiscutibili.

H. Laborit, Elogio della fuga, 56

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Emily Sparks

Dov’è il mio ragazzo, il mio ragazzo —
in quale parte del mondo?
il ragazzo che amavo più di tutti nella scuola? –
io, la maestra, la vecchia zitella, il vergine cuore,
che di tutti avevo fatto miei figli.
Giudicai bene il mio ragazzo,
ritenendolo uno spirito ardente,
smanioso, instancabile?
Oh, ragazzo ragazzo, per cui pregai e pregai
in tante ore di veglia la notte,
ricordi la lettera che ti scrissi
sulla bellezza dell’amore del Cristo?
E che tu l’abbia ricevuta o no,
ragazzo mio, dovunque tu sia,
fa’ qualcosa per la salvezza della tua anima
perché tutto il tuo fango, tutta la tua scoria
possa soccombere al fuoco,
finché il fuoco non diventi che luce!…
Non diventi che luce!

E. Lee-Masters, Emily Sparks

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Il filo della vendetta

Raggiunsi la piú alta carica in Spoon River
ma attraverso quanta amarezza di spirito!
Il volto di mio padre, che sedeva impotente,
come un bambino, osservando le canarine
e guardando la finestra
del giudice di contea in tribunale,
e i suoi ammonimenti di cercare
ciò che mi spettava nella vita, e di punire Spoon River
per vendicare il torto che gli avevano fatto,
mi riempirono di una furiosa energia
per ottenere ricchezza e potere.
Ma che cosa fece, se non incamminarmi
sul sentiero che conduce al boschetto delle Furie?
Io seguii quel sentiero e vi dico: sulla strada del boschetto, incontrerete i Fati,
dagli occhi foschi, curvi sul loro telaio.
Fermatevi un momento, e se vedete
il filo della vendetta spuntare dalla spola,
strappate via presto ad Atropo
le forbici, e tagliatelo, per timore che i vostri figli,
e i loro figli e i figli di questi
indossino l’abito avvelenato.

E. Lee-Masters, Heney C. Calhoun

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Segnata

«Povera bambina!» disse guardando l’angolo della panchina. «Tornerà in sé, piangerà un poco, poi sua madre verrà a saperlo… Prima la picchierà, poi la frusterà, provocandole dolore e vergogna; e poi, forse, la butterà fuori di casa… E se anche non lo farà, le Dàrje Fràncovne verranno a saperlo ugualmente, e la mia bambina comincerà ad andare e venire da un posto all’altro… Poi, dopo un po’, l’ospedale: accade sempre così a quelle che vivono con madri molto oneste, e fanno le loro scappatelle di nascosto… E poi… poi di nuovo l’ospedale. Il vino… le bettole… e ancora l’ospedale… Dopo due, tre anni sarà un rudere, e in tutto avrà avuto diciotto o diciannove anni da vivere… Non ne ho forse viste altre? E come avevano fatto a diventare così? Tutte né più né meno che in questa maniera… Puah! E sia! Così dev’essere, dicono. Una certa percentuale, dicono, deve andarsene ogni anno… chissà dove, poi… al diavolo, probabilmente, per dar sollievo a quelli che restano e non esser loro d’impaccio. Una percentuale! Graziose, davvero, queste loro parolette: cos riposanti, così scientifiche. Una percentuale, si è detto
dunque non è il caso di preoccuparsi. Se fosse un’altra parola, be’, allora… magari sarebbe più inquietante.. E se anche Dùnecka, un giorno o l’altro, finisse nella percentuale?… Se non in questa, in un’altra?…

F. M. Dostoevskij, Delitto e castigo, parte I,4

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Il naufrago, la servitù gratificante e l’evoluzione sociale.

La nozione di relatività dei giudizi porta all’angoscia, è vero. È più semplice avere a nostra disposizione, quando si deve agire, una strategia già pronta, o le istruzioni per l’uso. Le nostra società che esaltano tanto spesso, almeno a parole, la responsabilità, si industriano di non lasciarne affatto all’individuo, per paura che agisca in modo non conforme alla struttura gerarchica di dominanza. E il bambino, per sfuggire all’angoscia, per rassicurarsi, cerca l’autorità delle regole imposte dai genitori. Da adulto farà lo stesso con l’autorità imposta dalla sociocultura in cui è inserito. Si aggrapperà ai giudizi di valore di un gruppo sociale, come un naufrago si aggrappa disperatamente alla ciambella di salvataggio.
Un’educazione relativista non cercherebbe di eludere la sociocultura, ma le restituirebbe la sua giusta dimensione: quella di uno modo imperfetto, temporaneo, di vivere in società. Lascerebbe all’immaginazione la possibilità di trovare altri modi, e nella combinatoria concettuale che potrebbe risultarne l’evoluzione delle strutture sociali potrebbe forse accelerarsi, come la combinatoria genetica rende possibile l’evoluzione di una specie. Ma questa evoluzione sociale è appunto il terrore del conservatorismo, perché è il fermento capace di rimettere in discussione i vantaggi acquisiti. È meglio allora procurare al bambino una “buona” educazione capace innanzitutto di permettergli una rispettabile “carriera” professionale. Gli insegnano a “servire”, in altri termini gli insegnano la servitù nei confronti delle strutture gerarchiche di dominanza. Gli fanno credere che agisce per il bene della comunità, una comunità istituzionalizzata gerarchicamente che lo ricompensa di ogni sforzo compiuto verso la servitù all’istituzione. La servitù diventa allora gratificante. L’individuo è convinto della propria dedizione, del proprio altruismo mentre agisce solo per il proprio appagamento, un appagamento però deformato dal fatto di aver assimilato i dettami della sociocultura.

H. Laborit, Elogio della fuga – pag. 57

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Educazione alla creatività.

L’educazione alla creatività esige innanzitutto l’ammissione che non vi sono certezze o almeno che esse sono sempre temporanee, efficaci a un dato istante dell’evoluzione, ma che si devono continuamente riscoprire col solo scopo di abbandonarle appena si sia potuto dimostrare il loro valore operativo. L’educazione che ho chiamato “relativista” mi sembra l’unica degna del cucciolo dell’Uomo. Certo, non è “proficua” sul piano della promozione sociale, ma Rimbaud, Van Gogh o Einstein, per citare solo alcuni che oggi vengono riconosciuti geniali, hanno mai mirato alla promozione sociale? Questa educazione favorirebbe lo sviluppo dell’individualità, e ciò andrebbe a tutto vantaggio della collettività che sarebbe così formata da individui senza uniforme. Penso anche che solo quest’educazione potrebbe portare alla tolleranza, perché l’intolleranza e il settarismo sono sempre dovuti all’ignoranza e alla sottomissione incondizionata agli automatismi più primitivi, elevati al rango di etiche, di valori eterni e indiscutibili.

H. Laborit, Elogio della fuga – pag. 56

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