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Prima della civiltà

Gettando lo sguardo sulle interminabili file di colline boscose che si susseguivano lungo i sessantacinque chilometri di estensione del lago Kami, io e Talimeoat contemplammo per molto tempo e in silenzio un tramonto maestoso. Sapevo che il mio compagno stava frugando l’orizzonte alla ricerca di qualsiasi segnale di fumo da accampamenti amici o nemici. Dopo un po’ abbassò la guardia e, sdraiatosi accanto a me, parve dimenticare la mia presenza. Punto dal freddo della sera, stavo per proporgli di muoverci quando lo udii emettere un profondo sospiro e mormorare tra sé e sé, in quel modo sommesso con cui gli ona potevano pronunciare qualsiasi frase: – Yak haruin («La mia terra»).

E. L. Bridges, Ultimo confine del mondo, XXXV

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Terra

Qualunque sia la valutazione che finiamo per fare d’una distesa di terra, per quanto profonda e accurata, la troveremo tuttavia inadeguata. La terra conserva una sua identità, più profonda e più sottile di quella che possiamo pervenire a conoscere. Il nostro dovere nei suoi confronti diviene allora semplice: accostarci con una mentalità priva di calcolo, con un atteggiamento di riguardo. Cercare di percepire la portata e la varietà della sua espressione… il suo clima, i suoi colori, i suoi animali. Essere decisi fin dall’inizio a preservare in essa una parte di mistero come una sorta di saggezza che non deve essere posta in discussione e di cui si deve fare l’esperienza. E attendere vigili le sue aperture, attendere quel momento in cui qualcosa di sacro si rivela in ciò che vi è di terreno, e allora avrete la certezza che la terra sa della vostra presenza.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 230.

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Grandi esploratori occidentali

Quale è il punto in cui la tragica solitudine di un individuo che lo spinge alla conquista finisce per fuorviare il benessere della società? E quale sarà la sorte del paesaggio? Verrà sempre usato come vorremo noi, oppure un giorno gli sarà riconosciuta una sua dignità? E infine, che cosa diventa la natura dell’eroismo, quando il paesaggio è minacciato?

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 374.

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Paesaggi primitivi

Noi tendiamo a considerare primitivi luoghi come l’Artide, l’Antartide, il Gobi, il Sahara, il Mojave, ma in realtà non esistono paesaggi primitivi e neppure primordiali. Non esistono neppure paesaggi permanenti. E la terra non è mai vuota o sottosviluppata. Non può essere migliorata con l’assistenza tecnologica. La terra, un animale che contiene tutti gli altri animali, è vigorosa e viva.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 392.

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Movimenti

La percezione spaziale e la natura del movimento, la forma e la direzione che qualcosa assume nel tempo, sono argomenti di cui si sono occupati con impegno personalità come Werner Heisenberg, Paul Dirac e David Bohm nei loro scritti sui fenomeni subatomici. Io credo che pensieri molto simili, potenzialmente altrettanto belli nella loro complessità, insorgano con la considerazione del modo in cui gli animali si muovono nei loro paesaggi: il volo d’un corvo che risale direttamente una valle, il girovagare dei caribù al pascolo, i movimenti invernali di un orso bianco sul ghiaccio marino. Sappiamo ben poco di ciò che causa per reazione tali movimenti; noi scegliamo le dimensioni dello spazio e la durata di tempo che riteniamo appropriate per descriverli, ma non abbiamo nessuna sicurezza che siano pertinenti. Osservare un girifalco e una civetta delle nevi che si incrociano nello stesso cielo significa chiedersi in che modo la vita dell’uno influisce sulla vita dell’altra. Sedersi sul fianco della collina per guardare la lenta intermescolanza di due branchi di buoi muschiati che pascolano in un prato di carici e cercare di discernervi una logica significa affrontare l’indeterminazione. Guardare uno stormo di oche delle nevi che deviano tutte insieme dal vento significa chiedersi dove incomincia un animale e dove finisce l’altro. Gli animali ci confondono non già perché sono ingannevolmente semplici, ma perché in ultima analisi sono inseparabili dalle complessità della vita. Sono appunto queste sottigliezze della realtà e della concettualità a costituire la fisica delle particelle, che passa per la filosofia naturale del nostro tempo. Gli animali si muovono più lentamente delle particelle beta, e in uno spazio enormemente più vasto di quello battuto dalla nuvola di elettroni; tuttavia, se li lasciamo fare, ci sospingono verso una considerazione degli stessi interrogativi circa la natura fondamentale della vita e le relazioni che legano le forme di energia in schemi riconoscibili.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 183.

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Ecologica saggezza

Quando camminavo nella tundra e incontravo lo sguardo di un lemming oppure scoprivo le tracce di un ghiottone, mi sentivo confuso per la fragilità della nostra saggezza. Il modello del nostro sfruttamento dell’Artide, la crescente utilizzazione delle sue risorse naturali, lo stesso desiderio di “farne uso” sono molto chiari. Che cosa manca in noi, mi chiedevo, per farmi sentire tanto a disagio in una regione di uccelli cinguettanti, di caribù lontani e di lemming bellicosi? E’ il senso della misura. Poichè l’umanità è in grado di aggirare le leggi dell’evoluzione, dicono i biologi evoluzionisti, ha il dovere di darsi un’altra legge se vuole sopravvivere, se non vuole depredare la propria base alimentare. Deve imparare questo senso della misura, deve trovare un modo diverso e più saggio di comportarsi nei confronti del territorio. Deve prestare maggiore attenzione agli imperativi biologici del sistema del protoplasma messo in moto dal sole, e dal quale dipende l’umanità stessa. Non perchè debba farlo o perchè sia priva d’inventiva, ma perchè vi è in questo il culmine della saggezza cui aspira da secoli. Dopo aver preso in mano il proprio destino, ora l’uomo deve pensare con intelligenza critica ai campi in cui deve cedere.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 56.

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Verso casa

È una convenzione del pensiero occidentale credere che tutte le culture siano spinte a esplorare, che gli esseri umani cerchino terre nuove perché le loro economie li spronano a farlo. Smarrita in questa osservazione valida e tuttavia impersonale c’è la nozione di un’aspirazione più semplice, d’un desiderio umano d’una vita meno complicata, d’una fresca intimità, d’un rinnovamento. Anche questi ci chiamano verso paesaggi nuovi.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 254.

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Dicono gli indios

Ha forse un padrone la terra? Com’è possibile? Come si può venderla? Come si può comprarla? Se non ci appartiene, ebbene, noi siamo suoi. Suoi figli siamo. E così sempre, sempre. Terra viva. Come genera i vermi, così ci genera. Ha ossa e sangue. Ha latte, e ci dà da poppare. Ha capelli, erba, paglia, alberi. Sa partorire patate. Fa nascere case. Fa nascere gente. Lei ha cura di noi e noi la curiamo. Lei beve chicha, accetta il nostro invito. Siamo figli suoi. Come si può venderla? Come si può comprarla?

E. Galeano, Memoria del fuoco, 280

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Vita. E Tenebra.

Nessuna cultura ha ancora risolto il dilemma che ha dovuto affrontare con l’evolversi d’una mente conscia: come vivere un’esistenza morale e ricca di compassione quando si è pienamente consci del sangue, dell’orrore inerente il tutto ciò che è vita, quando si trova la tenebra non soltanto nella propria cultura ma anche in se stessi. Se vi è una fase in cui una vita individuale diviene veramente adulta, deve essere quando si afferra l’ironia e si accetta la responsabilità d’una vita vissuta in tale paradosso.
È necessario vivere in mezzo alla contraddizione, perché se tutte le contraddizioni venissero eliminate simultaneamente la vita crollerrebbe. Non esistono risposte ad alcuni dei grandi interrogativi pressanti. Si continua a viverli facendo della propria vita una degna espressione della tendenza verso la luce.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 394.

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Con occhi yanomami

La terra-foresta può morire solo se distrutta dai bianchi. Se accadrà, i ruscelli scompariranno, la terra diventerà friabile, gli alberi seccheranno, le rocce delle montagne si spaccheranno per il calore. Gli spiriti xapiripë che vivono nelle montagne e giocano nella selva, fuggiranno. I loro padri, gli sciamani, non potranno più richiamarli a proteggerci. La terra-foresta diventerà secca e deserta. Gli sciamani non potranno più trattenere i vapori-epidemie e gli esseri magici che ci fanno ammalare. È così che moriranno tutti gli uomini. […] I bianchi sono ingegnosi, hanno molte macchine e molte merci, ma nessuna saggezza. […] All’inizio, erano come noi, ma hanno dimenticato tutte le loro antiche parole. […] Quando viaggiai lontano, vidi la terra dei bianchi. Visitai la terra che loro chiamano Europa. Era la loro foresta, ma l’hanno denudata tagliando gli alberi per fare le loro case. Fecero molti figli, non smettevano di aumentare, e non c’era più foresta. Smisero di cacciare, perché non c’erano più neanche animali. I loro figli si misero a fabbricare merci e il loro spirito cominciò a oscurarsi a causa di tutti quei beni sui quali si fissarono col loro pensiero. Costruirono case di pietra, perché non si rovinassero. Continuarono a distruggere la foresta, dicendosi: ‘Diventeremo il popolo delle merci! Ne fabbricheremo molte, e anche molto denaro!’ […] Fu con questa idea che fecero piazza pulita della loro foresta e sporcarono i loro fiumi. Oggi bevono solo acqua ‘impacchettata’, e devono comprarla. L’acqua vera, quella che corre nei fiumi, non è più buona da bere. Nei tempi antichi, i bianchi vivevano come noi nella foresta e i loro antenati erano poco numerosi. Omama trasmise anche a loro le sue parole, ma non lo ascoltarono. Pensarono che erano bugie, e si misero a cercare minerali e petrolio ovunque, tutte le cose pericolose che Omama aveva deciso di nascondere sotto la terra e le acque perché il loro calore è pericoloso. Ma i bianchi le trovarono e pensarono di fare con quelle strumenti, macchine, automobili, aerei. […] Quando conobbi la terra dei bianchi, mi sentii inquieto. Alcune città sono belle, ma il loro rumore non si ferma mai. Loro corrono nelle città con le macchine: nelle strade e persino con treni che corrono sotto terra. C’è molto rumore, e gente in ogni angolino.
Lo spirito diventa oscuro e aggrovigliato, non si riesce più a pensare bene. È per questo chi il pensiero dei bianchi è pieno di vertigine, e loro non capiscono le nostre
parole. […] Non hanno paura di cadere nel mondo sotterraneo. Eppure, è ciò che accadrà. […] Noi vogliamo che la foresta resti com’è, per sempre. Vogliamo viverci in salute e vogliamo che continuino a viverci gli spiriti xapiripë, la selvaggina e i pesci. Coltiviamo soltanto le piante che ci servono per mangiare, non vogliamo fabbriche né buchi nella terra, né fiumi sporchi. Vogliamo che la foresta resti silenziosa, che il cielo continui chiaro, che l’oscurità della notte scenda davvero e che si possano vedere le stelle. Le terre dei bianchi sono ricoperte dal fumo-epidemia-xawara, che è arrivato molto alto, nel petto del cielo. È un fumo che viene verso di noi, ma ancora non arriva, perché lo spirito celeste Hutukarari lo respinge ancora senza sosta. In un futuro lontano, quando io sarò morto, forse questo fumo aumenterà al punto di estendere l’oscurità sulla terra e spegnere il sole. I bianchi non pensano mai a queste cose che gli sciamani conoscono, per questo non hanno paura. Il loro pensare è colmo di oblio. Continuano a fissare senza sosta le loro merci, come se fossero le loro fidanzate.

Y. Castelfranchi, Amazzonia – cita lo sciamano yanomami Davi Kopenawa in un discorso del 1998 – cap. 3

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