Archivi del mese: agosto 2014

Precipitare nel non-senso

La promessa degli amanti non ha alcun fondamento se non quello del patto di parola. Nessun Dio, nessun padre, nessun grande Altro potrà garantire l’indissolubilità di questo patto. Lo abbiamo visto: è il mistero e il dramma dell’amore. Questo assoluto — questa sospensione del tempo storico che si traduce nell’«ancora» infinito della domanda d’amore — può spegnersi, può non esistere più, può conoscere la sua fine. L’esperienza traumatica dell’abbandono è l’esperienza di questo cataclisma reale. Il tempo fa la sua riapparizione sulle ceneri di quello che non è più come prima, inesorabile, infrangendo la promessa del “per sempre”. Adesso l’Altro non è più colui che ci salva, non ha più il volto dell’Altro-soccorritore, ma è colui che ci affonda spietatamente.

M. Recalcati, Non è più come prima, 74

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Il bisogno di fuggire

Il mattino seguente, mentre da una collina guardavo in lontananza il fumo degli accampamenti indiani sollevarsi al di sopra del bosco, provai l’intenso desiderio di fuggire dalla mia vita monotona e di unirmi agli ona nelle loro cacce senza fine. Non sapevo nulla dei loro tradimenti e delle loro cruente lotte intestine, e nel mio cuore di ragazzo avrei voluto raggiungerli con una buona scorta di fucili per condividere la battaglia contro l’avanzare della cosiddetta civiltà, nella romantica terra di cui erano i signori. Cosi sono i giovani!

E. L. Bridges, Ultimo confine del mondo, XXI

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Franchezza

Non ero amato dagli abitanti del villaggio,
tutto perché dicevo il mio pensiero,
e affrontavo quelli che mancavano verso di me
con chiara protesta, non nascondendo né nutrendo
segreti affanni o rancori.
È assai lodato l’atto del ragazzo spartano,
che si nascose il lupo sotto il mantello,
lasciandosi divorare, senza lamentarsi.
È più coraggioso, io penso, strapparsi il lupo dal corpo
e lottare con lui all’aperto, magari per strada,
tra polvere e ululi di dolore.
La lingua è magari un membro indisciplinato —
ma il silenzio avvelena l’anima.
Mi biasimi chi vuole — io son contento.

E. Lee-Masters, Dorcas Gustine

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L’arte per l’anima

Per questo l’arte, quella vera, quella che viene dall’anima, è così importante nella nostra vita. L’arte ci consola, ci solleva, l’arte ci orienta. L’arte ci cura. Noi non siamo solo quel che mangiamo e l’aria che respiriamo. Siamo anche le storie che abbiamo sentito, le favole con cui ci hanno addormentati da bambini, i libri che abbiamo letto, la musica che abbiamo ascoltato e le emozioni che un quadro, una statua, una poesia ci hanno dato.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 138

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Cosa è una promessa

L’esperienza del grande amore mostra che la promessa può legare gli amanti nel tempo e al di là del tempo. È l’ostinazione del desiderio che vuole lo Stesso ogni volta Nuovo. È l'”ancora” della domanda d’amore, il suo infinito in atto. La parola che dichiara la promessa — “sarà per sempre” — non ha certamente altre garanzie se non la verità che essa riesce a testimoniare. Il fondamento della promessa può essere solo nel fondamento infondato della propria parola data all’Altro. Nessun Dio, nessun Altro, può sostenere la verità di questa parola, nessuno può garantire la durata dell’amore. Eppure, sappiamo bene, la parola trasforma sempre chi la accoglie. “Tu sei la mia donna! — come ha mostrato bene Lacan — è un enunciato che tocca, trasformandolo integralmente, il mio essere, rendendomi “marito”, vincolandomi a un patto simbolico che mi trascende, modificando la struttura stessa della mia esistenza.

M. Recalcati, Non è più come prima, 3

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I vecchi

quella falsa ingenuità così comune nei vecchi, la usano per fare e dire quello che gli passa per la testa senza che nessuno possa rimproverarli né prenderli troppo in considerazione, si fingono premorti per far sembrare che non costituiscono un pericolo e non hanno desideri e non sperano niente, mentre nessuno smette mai di stare nella vita finché ha coscienza e rimescola ricordi, anzi, sono i ricordi che rendono ogni vivo pericoloso e sempre in attesa, è impossibile non collocare e ridurre i ricordi al futuro, vale a dire, non individuarli soltanto nell’avere perduto ma anche nel dare e in quello che sta per venire, vi sono cose che non si riesce a credere che non debbano ripetersi, quello che è stato una volta non si può escludere che torni a essere, se si avesse la certezza di aver fatto l’amore per l’ultima volta si porrebbe fine alla propria coscienza e al proprio ricordo e ci si suiciderebbe.

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 133

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Amore narcisistico

Quando invece l’illusione agisce rende impossibile l’incontro con l’Altro proiettando su di esso il fantasma della nostra immagine narcisistica. L’incontro non è allora incontro con l’Altro, ma è reso impossibile dalla riproduzione inconscia dell’ombra dello Stesso. Di fronte all’esaltazione narcisistica dell’immagine dell’altro come versione idealizzata di quella dell’Io, il tempo agisce fatalmente come una erosione (lenta o brusca) che provoca delusione. Lo insegna spietatamente l’esperienza dell’analisi: l’amore deluso è spesso l’amore più idealizzato. Freud ha messo in rilievo come la dimensione illusoria dell’innamoramento si consumi di fronte agli inganni dello specchio. Lo abbiamo già visto: l’Io ama e ricerca nell’Altro solo la propria immagine idealizzata. Per questo, alla minima sbavatura di questa immagine, l’enfasi amorosa potrà facilmente evaporare lasciando il passo a un odio più o meno rancoroso. Basta poco perché questo avvenga: un colpo di tosse imprevisto, il colore sbagliato di un calzino, la scoperta della misura eccessiva dei piedi, la carenza nella cura dell’igiene orale, un naso troppo pronunciato o troppo piccolo… Basta poco, pochissimo, perché l’altro cada dalla sua posizione di Ideale e si riveli nudo nel suo reale. In questi casi non si dà incontro con l’Altro, ma solo con l’imperfezione della nostra immagine che l’Altro avrebbe invece il compito di restituirci la più integra possibile e che invece, deludendoci, ci rinvia come slabbrata, inadeguata e difettosa.

M. Recalcati, Non è più come prima, 2

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Mistico

Perché lui, Vidme, un uomo sui trent’anni, ma con già qualche capello grigio, ritiene di avere scoperto qualcosa d’importante che gli cambierà la vita, ha capito che si è addentrato in qualcosa d’importante attraverso la sua attività di scrittore, qualcosa con cui deve fare i conti se vuole continuare con la sua vita, e per questo Vidme cammina nella pioggia e nel vento pensando che già molti anni di lavoro come scrittore gli hanno man mano insegnato qualcosa di importante, qualcosa di cui pochi sono a conoscenza, lui ha visto qualcosa che non così tanti hanno visto, pensa Vidme, mentre cammina nella pioggia e nel vento, infatti, se uno si concentra abbastanza, lavora con sufficiente profondità e concentrazione, a capofitto in qualcosa, se uno vuole, se solo arriva dentro abbastanza, se s’immerge abbastanza, arriva a vedere qualcosa che gli altri non hanno visto e quello che lui lì ha visto, pensa Vidme, mentre cammina nella pioggia e nel vento, è la cosa più importante che ha ricavato dai tanti anni in cui praticamente ogni santo giorno ha scritto. Vidme crede che il suo lavoro di scrittore lo abbia condotto nelle profondità più recondite di qualcosa che lui in momenti improvvisi, istanti felici di lucidità, è arrivato a considerare come un lampo di divino, ma sia il lampo sia il divino sono espressioni che a Vidme non possono piacere, se non avesse disprezzato così tanto queste espressioni avrebbe potuto dire che in singoli istanti illuminati ha avuto un’esperienza che non può negare, un’esperienza che può anche sembrare ridicola, è ridicola, sia per Vidme, sia per la maggioranza della gente, però in alcuni istanti di grazia, se solo potesse fare uso di questa espressione, Vidme, uno scrittore fallito quanto basta, invecchiato presto, si è reso conto di essere stato in prossimità di ciò che con un’espressione che non si sarebbe mai immaginato di utilizzare non può chiamare altro che il divino.

J. Fosse, Melancholia, 252

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Senza nemmeno un rimpianto

La terra ti suscita
vibrazioni nel cuore: sei tu.
E se la gente sa che sai suonare,
suonare ti tocca, per tutta la vita.
Che cosa vedi, una messe di trifoglio?
O un largo prato tra te e il fiume?
Nella meliga è il vento: ti freghi le mani
perché i buoi saran pronti al mercato;
o ti accade di udire un fruscio di gonnelle
come al Boschetto quando ballano le ragazze.
Per Cooney Potter una pila di polvere
o un vortice di foglie volevan dire siccità;
a me pareva fosse Sammv Testa-rossa
quando fa il passo sul motivo di Toor-a-Loor.
Come potevo coltivare le mie terre,
— non parliamo di ingrandirle —
con la ridda di corni, fagotti e ottavini
che cornacchie e pettirossi mi muovevano in testa,
e il cigolio di un molino a vento — solo questo?
Mai una volta diedi mani all’aratro,
che qualcuno non si fermasse nella strada
e mi chiamasse per un ballo o una merenda.
Finii con le stesse terre,
finii con un violino spaccato —
e un ridere rauco e ricordi,
e nemmeno un rimpianto.

E. Lee-Masters, Il suonatore Jones

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Mente aborigena

La mente che conosciamo nel sogno, la comprensione non razionale e non lineare degli eventi in cui sono normali gli slittamenti nel tempo e nello spazio, è secondo la mia opinione la mente conscia e attiva di un cacciatore aborigeno. È uno stato che ridefinisce la pazienza, la costanza, l’attesa.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 204.

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