E d’un tratto accade, vuoi scendere dall’automobile, vuoi camminare, hai sbagliato fin dall’inizio, non puoi stare all’ombra degli altri, dei veri pellegrini, quelli che hanno percorso tutto il tratto a piedi, gli unici che sanno veramente che cosa significhi. “Una volta lo farò”, pensi tra te, e speri che sia vero, per vedere com’è lasci ferma l’automobile per un giorno e prosegui a piedi. Senza bastone e senza bagagli, senza conchiglia, perché a quella non hai diritto, ma cammini, e poiché cammini sei diventato una persona diversa. Soltanto adesso ti rendi conto della reale portata dell’impresa, a un tratto sei costretto a misurarti esclusivamente con te stesso, con i tuoi pensieri nei quali cerchi di comprendere quelli degli altri, dei pellegrini di un tempo. Poiché a volte mancano i cartelli, spesso non sai dove ti trovi, ti resta solamente il ritmo dei tuoi passi. Ora sei tu che conti le ore, che osservi la lentezza del paesaggio che ti circonda, camminando su una superficie polverosa, solo in lontananza la sagoma di un’unica casa, o, più tardi, un altro giorno, un’altra volta, lungo un fiume un bosco, là dove il terreno torna a essere più selvaggio e ondulato.
Le immagini di tutte quelle chiese si sono già da tempo mescolate in un nastro incredibilmente lungo che da Haarlem o Parigi o Cluny sale e scende seguendo il paesaggio, ora a parlare sono altre voci, gazze e civette, altri rumori, i passi di un altro, acqua tumultuosa contro un ponte, animali notturni invisibili, una voce che canta in una casa.
Cees Nooteboom, Verso Santiago, pag. 296.