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Sera

Mentre infiammandosi s’avvede ch’è nuda, il florido carnato nel mare fattosi verde bottiglia, non è più che madreperla.
Quel moto di vergogna delle cose svela per un momento, dando ragione dell’umana malinconia, il consumarsi senza fine di tutto.

G. Ungaretti, da Paesaggio

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Una lunga scia

Primavera ed estate, autunno e inverno e primavera,
a uno a uno passando, davanti alla mia finestra passando,
per tanti anni giacqui guardandoli passare e contando
gli anni, finché un terrore mi strinse il cuore sovente, l’idea che fossi diventata eterna: infine
raggiunsi i cent’anni! E giacevo tuttora
ascoltando il ticchettio del pendolo e il muggito del bestiame
e lo stridio di una ghiandaia in volo attraverso foglie cadenti!
Un giorno dopo l’altro, sola nella stanza
di una nuora afferrata dagli anni e canuta.
E di notte, o guardando dalla finestra il giorno,
il mio pensiero ritornava, pareva, per un tempo infinito,
alla Carolina del Nord e ai miei anni di ragazza,
e a John, al mio John che era in guerra contro gli Inglesi,
e tutti i bimbi, tutte le morti, e i dolori.
E quella distesa di tempi come una prateria dell’Illinois
su cui grandi figure passavano come precipiti cavalieri,
Washington, Jefferson, Jackson, Webster e Clay.
O bella repubblica giovane per cui John e io
demmo tutta la nostra forza e il nostro amore!
e o mio John!
perché, quando giacqui inchiodata in un letto per anni,
pregando che tu venissi, la tua venuta tardò?
Visto che con un grido d’amore, come quello in cui ruppi
quando tu mi trovasti nella vecchia Virginia dopo la guerra,
piansi quando ti vidi nel letto,
mentre il sole a occidente sempre più indeboliva e scendeva
nel tuo viso di luce!

E. Lee-Masters, Rebecca Wasson

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Tramonto IX

Così, allo spettacolo degli ori e delle porpore, la notte comincia a sostituire il suo negativo, dove i toni caldi prendono il posto dei bianchi e dei grigi. La lastra notturna rivelò lentamente un paesaggio marino al di sopra del mare, immenso scenario di nubi che si sfilacciavano contro un cielo oceanico, quasi in isole parallele, come una costa piatta e sabbiosa vista da un aeroplano a bassa quota, inclinato su un’ala, che lanci le sue frecce sul mare. L’illusione era accresciuta dalle ultime luci del giorno le quali, radendo obliquamente quelle creste nuvolose, le faceva sembrare solide rocce – in altre ore, anch’esse, scolpite in ombre e luci – come se l’astro non potesse più usare il suo bulino scintillante sui porfidi e sui graniti, ma solo su sostanze labili e vaporose, pur conservando nel suo declino lo stesso stile. Su questo sfondo di nuvole che tanto somigliava a un paesaggio costiero, sgombratosi il cielo, si videro apparire spiagge, lagune, moltitudini di isolotti e di banchi di sabbia invasi da quell’oceano inerte che intagliava di fiordi e di laghi interni il planisfero in corso di dissociazione. E poiché il cielo a sfondo di quelle guglie simulava un oceano, e poiché il mare riflette di solito il colore del cielo, questo quadro celeste riproduceva un paesaggio lontano sul quale il sole tramonterebbe di nuovo. Bastava del resto considerare il vero mare, al di sotto, per sfuggire al miraggio: non era più la lastra ardente del mezzogiorno, né la superficie increspata del pomeriggio. l raggi, quasi orizzontali, non illuminavano più che un solo lato delle piccole onde; e l’acqua prendeva così un rilievo dalle ombre nette, scolpite come in un metallo. Ogni trasparenza era scomparsa.

C. Lévi-Strauss, 7

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Tramonto VIII

Niente è più misterioso dell’insieme di processi sempre identici, ma imprevedibili, per i quali la notte subentra al giorno. Il suo segno appare improvviso nel cielo, accompagnato da incertezza e angoscia. Nessuno saprebbe prevedere la forma che adotterà, questa volta, unica fra tutte le altre, il sorgere della notte. Mediante un’alchimia impenetrabile, ogni colore si trasforma nel suo complementare, mentre si sa che, sulla tavolozza, per ottenere lo stesso risultato, bisognerebbe usare altre tinte. Ma, per la notte, i miscugli non hanno limiti poiché il suo è uno spettacolo illusorio: il cielo passa dal rosa al verde; non ho tenuto conto però che certe nuvole sono diventate rosso vivo e fanno così, per contrasto, apparire verde un cielo che era rosa, d’una sfumatura, però, così pallida da non poter sostenere il valore superacuto della nuova tinta che peraltro non avevo neppure notato, essendo il passaggio dall’oro al rosso meno sensibile di quello dal rosa al verde. La notte si introduce di prepotenza.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 7

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Tramonto VII

Adesso i raggi diretti del sole erano completamente spariti. Il cielo non aveva ormai che colorazioni rosa e gialle: gambero, salmone, lino, paglia; ma anche questa ricchezza più modesta parve svanire. Il paesaggio celeste rinasceva in una gamma di bianchi, di azzurri e di verdi, mentre piccole parti dell’orizzonte godevano ancora di una vita effimera e indipendente. A sinistra, un velo impercettibile si rivelò improvviso come uno svolazzo di verdi misteriosi e confusi; progressivamente pas-sarono ai rossi, dapprima intensi, poi violetti, poi bruni, e non fu più che la traccia irregolare di un pastello leggero su una carta granulosa. Dietro, il cielo era di un gialloverde alpestre mentre il banco orizzontale restava opaco e a contorni decisi. A ovest, piccole striature d’oro scintillarono ancora un istante, ma verso nord era già quasi notte: il bastione mammelluto si era ridotto a qualche rotondità biancastra sotto un cielo di calce.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 7

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Tramonto X – la notte

Allora, con un passaggio del tutto abituale ma, come sempre, impercettibile e istantaneo, la sera cedette il posto alla notte. Tutto fu diverso. Nel cielo opaco all’orizzonte, e poi più in alto, d’un livido giallo che verso lo zenit trascolorava in blu, si sparpagliarono le ultime nuvole, messe in scena dal morire del giorno. Poco dopo non furono più che ombre, attenuate e scolorite come gli ultimi elementi di uno scenario che, dopo lo spettacolo e spente le luci, appare in tutta la sua povertà e fragilità, e in tutto il suo carattere provvisorio; e subito ci si rende conto che la realtà di cui avevano creato l’illusione non apparteneva alla loro natura, ma a qualche trucco di illuminazione o di prospettiva. Tanto, quelle nuvole, un momento prima erano vive e si trasformavano a ogni istante, tanto sembravano ora fisse in una forma immutabile e dolorosa, in mezzo al cielo che le avrebbe presto assorbite nella sua crescente oscurità.

C. Lévi-Strauss, 7

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Tramonto VI

Dopo, divenne molto difficile seguire uno spettacolo che sembrava ripetersi con uno scarto di minuti e a volte di secondi, in punti molto distanti nel cielo. Verso est, dopo che il disco solare ebbe intaccato l’orizzonte opposto, si videro materializzarsi a un tratto, molto in alto e in tonalità viola acido, nuvole fino allora invisibili. L’apparizione si sviluppò rapidamente, si arricchì di dettagli e di sfumature, poi tutto cominciò a cancellarsi, da destra verso sinistra, come sotto l’azione di uno straccio spostato con un movimento lento e sicuro. In pochi secondi non restò che l’ardesia pulita del cielo, al di sopra del bastione di nuvole. Ma questo scolorava in bianco e grigiastro, mentre il cielo diveniva rosato.
A occidente, un nuovo banco si innalzava dietro il primo, ora simile al cemento uniforme e confuso. Era l’altro, adesso, che fiammeggiava. Quando le sue rosse radiazioni si affievolirono, le screziature allo zenit, non ancora entrate in scena, acquistarono lentamente volume. L’orlo inferiore risponde come oro, la sommità prima scintillante passò ai marroni, e ai violetti. Nello stesso tempo la loro trama apparve come al microscopio, fatta di mille piccoli filamenti che sostenevano come uno scheletro le loro forme tondeggianti.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, cap. 7

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Tramonto V

A poco a poco le profonde costruzioni della sera si contrassero. La massa che durante il giorno aveva occupato il cielo occidentale sembrò laminarsi come un foglio metallico illuminato da tergo da un fuoco prima dorato, poi vermiglio, poi cremisi. E già questo fuoco fondeva, superava e sollevava in un turbinio di faville nuvole contorte che progressivamente svanirono.
Innumerevoli intrecci vaporosi si disegnarono in cielo; sembravano tesi in tutti i sensi: orizzontali, obliqui, perpendicolari e perfino a spirale. I raggi del sole in declino, come l’archetto che si piega o si raddrizza nello sfiorare corde diverse, ne facevano brillare successivamente uno, poi l’altro, in una gamma di colori, proprietà esclusiva e arbitraria di ciascuno. Nel momento della sua manifestazione, ogni intreccio offriva la nettezza, la precisione e la fragile rigidità del vetro filato, e pian piano si dissolveva come se, surriscaldato da un cielo pieno di fiamme, intensificando il colore e perdendo la sua individualità, si stendesse in strati sempre più sottili fino a sparire dalla scena, subito sostituito da un nuovo intreccio appena tessuto. Alla fine non ci furono che tinte confuse mescolantesi le une con le altre; così, in una coppa, liquidi di colore e densità diversi prima sovrapposti cominciano lentamente a confondersi malgrado la loro apparente stabilità.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, cap. 7

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Tramonto IV

Alle 17.45 precise si era delineata la prima fase. Il sole era già basso ma non toccava ancora l’orizzonte. Quando comparve al di sotto dell’edificio di nuvole, sembrò spaccarsi come un giallo d’uovo e macchiare di luce le forme che ancora raggiungeva. Questa effusione di luce fu presto seguita da un oscuramento; i contorni divennero opachi, e, nel vuoto fra il limite superiore dell’oceano e quello inferiore delle nuvole, apparve una cordigliera di vapori, fin allora abbagliante e inguardabile, adesso dentellata e oscura. Nello stesso tempo, da piatta in origine, divenne voluminosa, e cominciò a muoversi in pigra migrazione, attraverso una larga zona rosseggiante che – rinnovando la fase dei colori – risaliva lentamente dall’orizzonte verso il cielo.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, cap. 7

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Tramonto III

Seguendo l’orizzonte verso nord, si vedeva il motivo principale assottigliarsi, elevarsi in nuvole sgranate dietro le quali, molto lontano, una sbarra più alta si delineava, spumante alla sommità; dalla parte più vicina al sole – tuttora invisibile – la luce bordava quei rilievi di un orlo d’oro. Più a nord i rilievi sparivano e non c’era più che la sbarra, opaca e piatta, che si è eclissava nel mare.
A sud la stessa sbarra risorgeva, ma sormontata da grandi lastre di nuvole ferme, come dolmen cosmologici, sulle creste fumose della base.
Volgendo decisamente le spalle al sole e guardando verso est, si scorgevano due gruppi sovrapposti di nuvole, tirati nel senso della lunghezza e stagliati controluce per l’incidenza dei raggi solari sullo sfondo di un bastione mammelluto e panciuto, eppure aereo e madreperlaceo a riflessi rosa, violetti e argentati.
Intanto, dietro le celesti scogliere che concludevano l’Occidente, il sole proseguiva la sua lenta evoluzione; a ogni progresso della sua discesa, alcuni raggi fendevano la massa opaca e si aprivano un passaggio il cui tracciato, mentre il raggio sprizzava, tagliava l’ostacolo in mille settori circolari, diversi per grandezza e intensità luminosa. Ogni tanto la luce si riassorbiva come un pugno che si chiude e il manicotto nebbioso non lasciava più sfuggire che una o due dita scintillanti e irrigidite. Oppure un polpo incandescente usciva dalle grotte nebulose, per ritrarsi subito dopo.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, cap. 7

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