Il creatore deve essere motivato a creare. Per far questo deve, in generale, non trovare sufficiente gratificazione nella società a cui appartiene. Deve aver difficoltà a inserirsi in una scala gerarchica basata sulla produzione di beni di consumo. Poiché questa esige, da parte di chi vuole garantirsi la promozione sociale, una certa facoltà di adattamento all’astrazione fisica e matematica, molti, a cui manca questa facoltà di adattamento, disgustati però anche dalla forma « insignificante » che ha preso il lavoro manuale nella nostra epoca, si orientano verso le scienze umane e verso le attività artistiche, « culturali ». Ma queste scelte sono meno « remunerative » in una società definita produttiva, e offrono meno numerosi sbocchi. In compenso essendo praticamente impossibile giudicare il valore dell’opera, poiché il criterio di valutazione è mobile, affettivo, non logico, l’artista dispone di un vasto territorio in cui agire e soprattutto di una possibilità di consolazione narcisistica. Se non è stimato, non esistendo alcun criterio oggettivo valido che dimostri che hanno ragione gli altri, può sempre considerarsi incompreso. Vista sotto questo aspetto la creazione è una vera e propria fuga dalla vita quotidiana, una fuga dalle realtà sociali, dalle scale gerarchiche, una fuga nell’immaginazione.
H. Laborit, Elogio della fuga, 46