Archivi del mese: luglio 2013

Svezzamento

Siedi un momento, caro figlio,
Qui c’è biscotto per mangiare e c’è latte per bere,
Ma non appena avrai dormito e indossato morbidi
indumenti, ti darò un bacio d’addio e ti aprirò il cancello per andartene.

Per troppo tempo hai fatto sogni spregevoli,
Ora io ti detergo la cispa dagli occhi, Devi assuefarti al fulgore della luce e di ogni momento della vita.

Per troppo tempo hai sguazzato vicino alla riva timidamente reggendoti a una tavola,
Ora voglio che tu sia un nuotatore spavaldo,
Che ti tuffi nel bel mezzo del mare, e torni a galla, e mi fai un cenno, e gridi, e ridendo ti scrolli i capelli.

W. Whitman, da Canto di me stesso, 46

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Amore a distanza

Quando sono vicino,
dimenticami;
quando sono lontano,
ricordami.

R. Tagore, da Sfulingo

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Le parole.

Le parole pure e semplici da noi usate saranno vuote e senza valore. Esse prenderanno vita e significato solo se cercheremo di afferrare la loro numinosità, cioè il loro rapporto specifico con l’individuo vivente. Solo allora cominceremo a capire che i termini in sé significano ben poco e che ciò che più conta è il modo in cui essi sono in rapporto con noi.

 

C. G. Jung, L’uomo e i suoi simboli, Cortina editore, pag 98

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Il topo

Penso
che forse non mi leggi più. Ma ora
tu sai tutto di me
della mia prigionia e del mio dopo;
ora sai che non può nascere l’aquila
dal topo.

E. Montale, Il Tu, da Satura.

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Il pensiero di te

Il pensiero di te m’accompagna senza tregua, amore,
potresti, tornando, non pensare solo a me,
avendo possibilità di scelta.
La mia vita trascorre aspettandoti,
quando ricorderai, potresti non venire solo da me!

Nel mio letto, da solo, resto intere notti in attesa.
La luce della mia lampada scompare soltanto all’alba,
quando i miei occhi sono stanchi d’aver molto tempo vegliato.

Piena d’ogni bellezza, tu cammini cantando e trascorrendo ore felici…
se potessi mescolare a tutto questo i mici passi,
se la sorte mi facesse ritrovare quel tempo gioioso!

R. Tagore, da Petali sulle ceneri

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Lo specchio.

Chi guarda nello “specchio” dell’acqua vede per prima cosa, è vero, la propria immagine. Chi va verso sé stesso rischia l’incontro con sé stesso. Lo specchio non lusinga; mostra fedelmente quel che in lui si riflette, e cioè quel volto che non mostriamo mai al mondo, perché lo veliamo per mezzo della “persona”, la maschera dell’attore.
Ma dietro la maschera c’è lo specchio che mostra il vero volto. Questa è la prima prova di coraggio da affrontare sulla via interiore, una prova che basta a far desistere, spaventata, la maggioranza degli uomini. Infatti l’incontro con sé stessi è una delle esperienze più sgradevoli, alle quali si fugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante.

C. G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, pag 122

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Un “si” disperato.

M’imprigioni insonnia e ti ripeto:

lasciami dormire. Che io dorma

senza l’angoscia di svegliarmi.

O poeta spezzati. Travestiti

da insano. Vai dal nemico

a chiedergli perdono. Il tradimento

dell’amante non ti tocchi più

di quanto non ti abbia toccato

la solitudine.

Non giungere a congiungere

le labbra. Il tuo “no”

sia l’unico “si” disperato.

D. Bellezza, Poesie 1971-1996, Mondadori, pag 24

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Materiale di gioia

Fuori, nel mondo,
cerchi materiale di gioia:
ma solo in te stesso
lo puoi trovare.

R. Tagore, da Sfulingo

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Il riverbero delle stelle.

Come le stelle da secoli spente

ancor inviano lor luce splendente

ai nostri casti occhi che guardano

la luna e le stelle e tutto

il firmamento remoto,

amore solitario

il tuo pallido ricordo

arriva in ritardo all’appuntamento

sperduto nella vastità

della mia solitudine.

Arriverà la notte suicidale

a ricoverarci lo spremuto

cervello che s’accende ancora

di questo deserto e spaventoso

“A presto!”.

D. Bellezza, Poesie 1971-1996, Mondadori pag, 68

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Lettere indigene

Le epistole che si scambiavano i giovani indigeni erano in genere composte da scrivani di professione: infatti, anche se qualche persona anziana si lasciava trascinare dallo spirito dei tempi e due o tre vecchi kikuyu frequentavano la mia scuola sudando pazientemente sulla sull’abbecedario, la vecchia generazione si mostrava perlopiù sprezzante di fronte al nuovo fenomeno. Solo pochi indigeni sapevano leggere: servi, squatters e operai della fattoria venivano a farsi leggere le lettere da me. Cercavo di decifrarle una dopo l’altra, meravigliandomi di trovarle ogni volta tanto insignificanti. Ma commettevo l’errore di tutte le persone civilizzate, piene di pregiudizi. Sarebbe stato come volere catalogare il piccolo ramicello d’olivo che la colomba riportò a Noè. Bello o brutto che fosse, recava qualcosa di più importante dell’arca con tutti i suoi animali: aveva in sé un nuovo mondo di verde.

K. Blixen, La mia Africa, parte II, cap. 3

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