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Memoria

ciascuno di noi ricorda e dimentica secondo uno schema labirintico che rappresenta un segno di riconoscimento non meno caratteristico di un’impronta digitale

P. Roth, Pastorale americana, pag. 60

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E io, com’ero?

E io, com’ero? Fin quando puoi ricevere una risposta a questa domanda, sei ancora un bambino.

U. Timm, Come mio fratello, 51

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Come un ronzio di alveare

È difficile capire le origini delle civiltà americane senza ammettere l’ipotesi di una attività intensa, su tutte le coste del Pacifico — asiatico o americano — che si propagava di zona in zona, grazie alla navigazione costiera; e tutto ciò per diversi millenni. Noi rifiutavamo un tempo la dimensione storica all’America precolombiana, perché l’America postcolombiana ne era stata privata. Ci rimane forse da correggere un secondo errore, che consiste nel pensare che l’America sia rimasta per ventimila anni tagliata fuori dal mondo intero, come lo era stata dall’Europa occidentale. Tutto fa pensare piuttosto che al grande silenzio atlantico rispondesse, su tutto il contorno del Pacifico, un ronzio di alveare.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 213

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Riflessi di epoche

Noi ci rendiamo conto che i movimenti migratori che ho tentato di tracciare or ora sono del tutto superficiali e che le grandi civiltà del Messico o delle Ande sono state precedute da qualcosa d’altro Già nel Perù e in diverse regioni dell’America del Nord, sono venuti alla luce resti dei primi occupanti: tribù senza agricoltura seguite da società contadine e giardiniere, ma che non conoscevano ancora né il granturco né le stoviglie; i raggruppamenti che si formarono poi praticavano la scultura su pietra e la lavorazione dei metalli preziosi, in uno stile più libero e più ispirato di tutto ciò che verrà dopo. Gli incas del Perù, gli aztechi del Messico, che credevamo espressione e riassunto di tutta la storia americana, sono tanto lontani da quelle vive sorgenti quanto il nostro stile impero lo è dall’Egitto e da Roma a cui si è tanto ispirato.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 212

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Cosa insegna la storia

A chi come me è vissuto durante quegli anni riesce quasi impossibile capire come le dottrine rigidamente liberiste, allora ovviamente in discredito, possano essere tornate in voga in un periodo di depressione quale quello degli ultimi anni ’80 e degli anni ’90, nel quale, di nuovo, esse hanno dimostrato la loro inadeguatezza teorica e pratica. Tuttavia questo strano fenomeno dovrebbe farci venire alla mente un grande aspetto della storia che esso esemplifica: la incredibile brevità della memoria sia dei teorici sia degli operatori dell’economia. Esso offre anche una chiara dimostrazione di come la società abbia bisogno degli storici, i quali assolvono il compito professionale di ricordare ai loro concittadini ciò che questi desiderano dimenticare.

Eric J. Hobsbawm, Il Secolo Breve, pag. 127.

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Cosa resta degli eroi

Nessuno sa quello che gli sciagurati selvaggi hanno poi fatto della salma di Magellano, a quale elemento hanno restituito la sua spoglia mortale, se al fuoco, all’acqua, alla terra o all’etere. Nessuna testimonianza ce n’è rimasta, non conosciamo la sua tomba, è misteriosamente perduta ogni traccia di colui che per primo ha circumnavigato il mondo strappando all’infinito oceano il suo estremo segreto.

S. Zweig, Magellano, XI

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I vecchi

quella falsa ingenuità così comune nei vecchi, la usano per fare e dire quello che gli passa per la testa senza che nessuno possa rimproverarli né prenderli troppo in considerazione, si fingono premorti per far sembrare che non costituiscono un pericolo e non hanno desideri e non sperano niente, mentre nessuno smette mai di stare nella vita finché ha coscienza e rimescola ricordi, anzi, sono i ricordi che rendono ogni vivo pericoloso e sempre in attesa, è impossibile non collocare e ridurre i ricordi al futuro, vale a dire, non individuarli soltanto nell’avere perduto ma anche nel dare e in quello che sta per venire, vi sono cose che non si riesce a credere che non debbano ripetersi, quello che è stato una volta non si può escludere che torni a essere, se si avesse la certezza di aver fatto l’amore per l’ultima volta si porrebbe fine alla propria coscienza e al proprio ricordo e ci si suiciderebbe.

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 133

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Il mondo dipende dai suoi relatori

Ciò che quando accade non è volgare né fine né gioioso né triste può essere triste o gioioso o fine o volgare se viene raccontato, il mondo dipende dai suoi relatori

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 136

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Storie yahgan

Che ricordo, quelle lunghe sere attorno al fuoco, cinquant’anni fa… Dopo aver discusso della caccia del giorno e preparato quella dell’indomani, arrivava il momento dei racconti. Quando gli yahgan trovavano un pubblico interessato, si mettevano con piacere a frugare nella memoria per raccontare storie che avevano sentito tanto tempo prima e a cui ancora credevano fermamente, storie che, ne sono certo, non erano inventate lí per lí al solo fine di intrattenermi.

E. L. Bridges, Ultimo confine del mondo, XVI

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Una lunga scia

Primavera ed estate, autunno e inverno e primavera,
a uno a uno passando, davanti alla mia finestra passando,
per tanti anni giacqui guardandoli passare e contando
gli anni, finché un terrore mi strinse il cuore sovente, l’idea che fossi diventata eterna: infine
raggiunsi i cent’anni! E giacevo tuttora
ascoltando il ticchettio del pendolo e il muggito del bestiame
e lo stridio di una ghiandaia in volo attraverso foglie cadenti!
Un giorno dopo l’altro, sola nella stanza
di una nuora afferrata dagli anni e canuta.
E di notte, o guardando dalla finestra il giorno,
il mio pensiero ritornava, pareva, per un tempo infinito,
alla Carolina del Nord e ai miei anni di ragazza,
e a John, al mio John che era in guerra contro gli Inglesi,
e tutti i bimbi, tutte le morti, e i dolori.
E quella distesa di tempi come una prateria dell’Illinois
su cui grandi figure passavano come precipiti cavalieri,
Washington, Jefferson, Jackson, Webster e Clay.
O bella repubblica giovane per cui John e io
demmo tutta la nostra forza e il nostro amore!
e o mio John!
perché, quando giacqui inchiodata in un letto per anni,
pregando che tu venissi, la tua venuta tardò?
Visto che con un grido d’amore, come quello in cui ruppi
quando tu mi trovasti nella vecchia Virginia dopo la guerra,
piansi quando ti vidi nel letto,
mentre il sole a occidente sempre più indeboliva e scendeva
nel tuo viso di luce!

E. Lee-Masters, Rebecca Wasson

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