Archivi del mese: ottobre 2013

Le cose che non hai fatto

Ricordi il giorno che presi a prestito la tua macchina nuova e l’ammaccai?
Credevo che mi avresti uccisa, ma tu non l’hai fatto.
E ricordi quella volta che ti trascinai alla spiaggia, e tu dicevi che sarebbe piovuto, e piovve?
Credevo che avresti esclamato: «Te l’avevo detto!». Ma tu non l’hai fatto.
Ricordi quella volta che civettavo con tutti per farti ingelosire, e ti eri ingelosito?
Credevo che mi avresti lasciata, ma tu non l’hai fatto.
Ricordi quella volta che rovesciai la torta di fragole sul tappetino della tua macchina?
Credevo che mi avresti picchiata, ma tu non l’hai fatto.
E ricordi quella volta che dimenticai di dirti che la festa era in abito da sera e ti presentasti in jeans?
Credevo che mi avresti mollata, ma tu non l’hai fatto.
Si, ci sono tante cose che non hai fatto.
Ma avevi pazienza con me, e mi amavi, e mi proteggevi.
C’erano tante cose che volevo farmi perdonare quando tu saresti tornato dal Vietnam.
Ma tu non sei tornato.

Anonimo, cit. in L. Buscaglia, Vivere amare capirsi, cap. 3

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Esìli

Ma se si racconta si può perfino entrare nelle grazie, questo è il pericolo. La forza della rappresentazione, immagino: per questo ci sono accusati, per questo ci sono nemici che si assassinano o si giustiziano o si linciano senza lasciarli dire una sola parola – per questo ci sono amici che si mandano in esilio e si dice: “Non ti conosco”, o non si risponde alle loro lettere – affinché non si spieghino e possano all’improvviso entrare nelle grazie, quando parlano mi calunniano ed è meglio che non parlino, anche se nel tacere non mi difendono.

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 211

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La tinozza

Il bottaio deve intendersi di tinozze.
Ma io conoscevo anche la vita,
e voi che vi aggirate fra queste tombe
credete di conoscere la vita.
Credete che i vostri occhi spazzino su un largo orizzonte, forse,
in realtà state solo guardando le pareti della tinozza.
Non potete sollevarvi ai suoi orli
e vedere il mondo esterno delle cose,
e cosí vedere voi stessi.
Siete sommersi nella vostra tinozza –
tabú e regole e apparenze,
sono le doghe della vostra tinozza.
Spezzatele e rompete l’incantesimo
di credere che la vostra tinozza è la vita,
e che voi conoscete la vita!

E. Lee Masters, Antologia di Spoon River, Griffy the Cooper

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Autunno III

Autunno, buon cavaliere,
galoppiamo,
prima che ci sorprenda
il nero inverno.
È duro
il nostro lungo lavoro.
Andiamo
a preparare la terra
e a insegnarle
a essere madre,
a riparare le sementi
che nel suo ventre
dormiranno protette
da due cavalieri rossi
che girano per il mondo:
l’apprendista dell’autunno
e l’autunno.

Così dalle radici
oscure e nascoste
potranno uscire danzando
la fragranza
e il velo verde della primavera.

P. Neruda, da Ode all’autunno

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George Gray – le vele della vita

Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio –
è una barca che ancia al mare eppure lo teme.

E. Lee Masters, Antologia di Spoon River, George Gray

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L’orgoglio di Jean-Luc

In lui c’era stato un riflesso di orgoglio, di quell’orgoglio così forte nel cuore di certi uomini che essi non possono liberarsene più di quanto possono liberarsi della loro carne o del loro sangue.

I. Némirovky, La preda, parte 2, 11

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Condanna

Abbiamo aspettato molto a lungo, forse tre quarti d’ora. Infine si è udito squillare un campanello. L’avvocato mi ha lasciato dicendo:
«Adesso il presidente del giurì leggerà le risposte. Non faranno entrare lei che per la lettura della sentenza». C’è stato uno sbattere di porte. Si sentiva gente correre per scale che non sapevo se fossero vicine o lontane. Poi ho udito una voce sorda che leggeva qualcosa nell’aula. Quando il campanello ha squillato ancora e la porta della gabbia si è aperta, è il silenzio dell’aula che è salito verso di me, il silenzio e la sensazione strana che ho provata vedendo che il giovane giornalista aveva voltato altrove lo sguardo. Non ho guardato dalla parte di Maria. Non ne ho avuto il tempo perché il presidente mi ha detto in una forma strana che mi sarebbe stata tagliata la testa in una pubblica piazza in nome del popolo francese. Mi è parso allora di riconoscere il sentimento che leggevo su tutti i volti: credo proprio che fosse del rispetto.

A. Camus, Lo straniero, parte II, cap. 4

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Viaggiatori

Queste persone, così utili agli altri, in realtà sono infelici perché sostanzialmente sole. Certo, nella loro continua ricerca di altra gente, scoprono spesso in questo o quel paese persone simili al loro, di cui sanno tutto e che conoscono a fondo. Poi, uno mattina, si svegliano sentendo che niente più li lega a quella gente e che niente li trattiene dall’andarsene anche il giorno stesso. Di colpo sentono il richiamo di altri lidi e altra gente, e ciò che ancora ieri li appassionava oggi è diventato insipido e insignificante. Non si legano profondamente a niente, non mettono mai radici. La loro empatia è sincera ma superficiale. A chiedere loro quale tra i paesi visitati preferiscano, non sanno che cosa rispondere. Quale? Un po’ tutti, visto che è in ognuno c’è qualcosa di interessante. In quale vorrebbero tornare? Nuovo imbarazzo: non se lo sono mai chiesto. Quello che sicuramente vogliono è ripartire, tornare in pista. In fondo desiderano solo viaggiare.

Ryszard Kapuscinski, In viaggio con Erodoto, pag. 246.

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Un maestro

Sono maestro di atleti,
Chi grazie a me espande un torace più ampio del mio dimostra l`ampiezza del mio torace,
E più onora il mio stile chi impara da esso ad annientare il maestro.

W. Whitman, da Canto di me stesso, 47

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Il mistero della poesia

E fu a quell’età… Venne la poesia
a cercarmi. Non so, non so da dove
uscì, da quale inverno o fiume.
Non so come né quando,
no, non erano voci, non erano
parole, né silenzio,
ma da una strada mi chiamava,
dai rami della notte,
all’improvviso tra gli altri,
tra fuochi violenti
o mentre rincasavo solo,
era lì senza volto
e mi toccava.

Io non sapevo che cosa dire, la mia bocca
non sapeva
chiamare per nome,
i miei occhi erano ciechi,
e qualcosa pulsava nella mia anima,
febbre o ali perdute,
e mi formai da solo,
decifrando
quella bruciatura,
e scrissi il primo verso vago,
vago, senza corpo, pura
sciocchezza,
pura saggezza
di colui che nulla sa,
e vidi all’improvviso
il cielo
sgranato
e aperto,
pianeti,
piantagioni palpitanti,
l’ombra trafitta,
crivellata
da frecce, fuoco e fiori,
la notte travolgente, l’universo.

E io, minimo essere,
ebbro del grande vuoto
costellato,
a somiglianza, a immagine
del mistero,
mi sentii parte pura
dell’abisso,
ruotai insieme alle stelle,
il mio cuore si distese nel vento.

P. Neruda, La poesia

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