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Rivoluzione interiore

La malattia di cui oggi soffre gran parte dell’umanità è inafferrabile, non definibile. Tutti si sentono più o meno tristi, sfruttati, depressi, ma non hanno un obbiettivo contro cui riversare la propria rabbia o a cui rivolgere la propria speranza. Un tempo il potere da cui uno si sentiva oppresso aveva sedi, simboli, e la rivolta si dirigeva contro quelli. Si sparava a un re, si liberava la Bastiglia, si assaltava il Palazzo d’Inverno e si apriva così la breccia di un secolo. Ma oggi? Dov’è il centro del potere che immiserisce le nostre vite?
Bisogna forse accettare una volta per tutte che quel centro è dentro di noi e che solo una grande rivoluzione interiore può cambiare le cose, visto che tutte le rivoluzioni fatte fuori non han cambiato granché. Il lavoro da fare in questa direzione è enorme, ma non sempre siamo pronti a questa fatica.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 256

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I tre grandi veleni della mente

Da questo punto di vista buddhista il male, tutti i mali, quelli psichici come quelli fisici. hanno un’unica radice: l’ignoranza. L’ignoranza dell’lo causa la sofferenza che affligge l’uomo dalla nascita alla morte; la stessa ignoranza causa «i tre grandi veleni della mente» — il desiderio, la rabbia e l’ottusità — che scatenano le malattie nel corpo. Solo una continua pratica di moralità e di meditazione può condurre alla libertà da ogni male.

T. Terzani, Un altro giro di giostra,221

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Rimedio per la depressione… di un vecchio medico indiano

Gli chiesi però se aveva qualche suggerimento contro la depressione, e quella domanda provocò qualcosa di strano che ancora oggi non so spiegarmi. Choe-drak rispose che la depressione è una malattia soprattutto occidentale. «E la ragione », aggiunse, «è che voi occidentali siete troppo attaccati alle cose. Siete fissati sulle cose. Uno perde, ad esempio, la sua penna e da allora non fa che pensare alla penna persa, senza dirsi che la penna non ha alcun valore, che si può scrivere anche con un lapis. In Occidente vi preoccupate troppo delle cose materiali.»
Lo ascoltavo e automaticamente prendevo appunti con la mia vecchia Montblanc nera. Parlammo ancora della sua prigionia, delle pillole preziose, dei mantra, le formule magiche, che debbono essere recitate durante la loro preparazione, e io continuavo a prendere appunti con la mia Montblanc. Alla fine ringraziammo, passammo dalla farmacia a ritirare le pillole, tornammo al Kashmir Cottage e li mi accorsi che… non avevo più la mia penna! Rimandai immediatamente l’interprete dal medico, chiesi al fratello del Dalai Lama di telefonare all’Istituto. Niente da fare. La penna era scomparsa. E io non feci che pensarci. Non tanto perché c’ero affezionato, ma perché m’era venuto il sospetto che il vecchio medico, sentendo nelle mie domande un fondo di scetticismo, avene voluto dimostrarmi i suoi « poteri » e darmi una lezione.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 211

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Isole disgiunte e sole

Quel che è sorprendente è che facciamo ormai tutto questo con grande naturalezza, ognuno convinto che quello è il suo diritto. Non ci sentiamo in alcun modo parte del tutto. Al contrario. Ognuno si vede come un’entità separata, a sé; ognuno si sente forte del proprio ingegno, delle proprie capacità e soprattutto della propria libertà. Ma è proprio questo sentirci liberi, disgiunti dal resto del mondo, a causarci un gran senso di solitudine e di tristezza. Diamo per scontato solo quel poco che abbiamo attorno e con questo limitato punto di vista non riusciamo a sentire la grandezza del resto di cui siamo pur parte.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 158

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Lacrime dal buio

e sento Lars dire che non ha niente in contrario se qualcuno gli fa del male e capisco bene cosa intende dire e poi Lars mi guarda con quei suoi occhi da pesce e poi vedo che il suo viso si tende e lui non vuole, lui si oppone, lui sta lì e il suo volto si torce e allora vedo le lacrime nei suoi occhi e vedo Lars girarsi dall’altra parte e lo vedo scattare alla porta e apre la porta e poi Lars schizza fuori e io esco e vedo Lars correre oltre la palude, giù verso riva, e non prende il sentiero, corre dritto per la palude e lo vedo che affonda nella fanghiglia e si tira su e corre per la palude e riaffonda giù e tira fuori un piede e l’altro piede gli affonda giù nel fango e vedo Lars che salta giù verso la riva e lo vedo sedersi di colpo su una roccia in mezzo alla palude e gli vedo la schiena e vedo Lars portarsi le mani agli occhi e lo vedo asciugarsi gli occhi, adesso Lars si asciuga le lacrime, penso, ma perché Lars si mette a piangere? Senza preavviso, senza nessun motivo, comincia a piangere Lars così spesso, penso e vedo Lars seduto con la schiena piegata in avanti e si tiene la testa tra le mani, si copre gli occhi con le mani e vedo Lars voltarsi e mi guarda e sento Lars gridarmi che lo devo lasciare in pace!

J. Fosse, Melancholia, 305

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Dialogo con Lars

e accidenti adesso Lars è lì che sogghigna tra le lacrime e poi mi guarda. Io faccio si con la testa a Lars.
Cosa c’è Lars? dico.
Niente, dice.
Sì che c’è qualcosa, dico.
No, dice Lars.
Non c’è niente, dice lui.
Perché deve sempre esserci qualcosa? dice.
Non deve esserci niente? dico io
e vedo che Lars scuote la testa.
Non c’è niente, dice lui.
Ma allora perché piangi? dico.
Non perché abbia qualcosa, comunque, dice.
Per qualcos’altro allora? dico.
Perché non c’è niente, forse, dice Lars.
Deve proprio essere così difficile, dico
e vedo che Lars annuisce.
E la montagna nera, dico.
Già, sì, dice.
E il mare quando è nero, dico.
Mm, mm, dice.
È per questo? dico.
Forse, dice lui.
C’è qualcuno che ti fa del male? dico.
Non ho niente in contrario se qualcuno mi fa del male, dice Lars

J. Fosse, Melancholia, 304

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Col buio negli occhi

Non sei felice? gli chiesi.
E vidi Lars abbassare di colpo lo sguardo e restare lì senza rispondere.
Perché sei così? chiesi
e vidi che Lars faceva spallucce lì in piedi, guardando per terra.
Sembri triste, dissi.
Si, si, disse.
Qualcosa in particolare? chiesi.
No, disse lui.
No, niente, davvero, disse lui.
Ma, dissi io
e vidi Lars guardarmi su con un gran buio dentro gli occhi, con il peso della montagna nera e del cielo nero nei suoi occhi, sì, così, pensai io, si, così vidi io Lars guardare su verso di me e poi vedo i suoi occhi inumidirsi e poi vedo Lars lì in piedi guardando per terra

J. Fosse, Melancholia, 303

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Vivere

Per me è sempre affascinante perché, quando la vita non viene vissuta, esplode in noi. E come cercare di bloccare il coperchio di una pentola che bolle. Succederà qualcosa, ne sono convinto. Finirete per piombare nella paura, nella sofferenza, nella solitudine, nella paranoia o nell’apatia. Tutti segni del fatto che non state vivendo! Quindi, se avvertite uno di questi sintomi, rimboccatevi le maniche e dite: «Ora devo vivere». Nell’attimo in cui incominciate a lasciarvi coinvolgere nella vita, il vapore fuoriesce, e siete salvi. Non è facile: ma la vita ci fa sapere che deve essere vissuta. Meraviglioso!

L. Buscaglia, vivere amare capirsi, 10

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Ebbrezze

Per molti di noi, in verità, la vita è la ricerca di una condizione stabilmente piacevole. È meraviglioso fare esperienza delle ebbrezze, e dovremmo fare l’esperienza di tutte quelle che possiamo incontrare. Costruite su queste vostre ebbrezze, fatene sempre più l’esperienza in termini di potenziale, e allora anche le depressioni diventeranno semplicemente ebbrezze meno forti, e sarà più facile accettarle e lasciarle andare!

L. Byscaglia, Vivere amare capirsi, cap. 4

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La cura di un’anima

Tu non comprendesti mai, o Sconosciuto,
perché abbia ripagato
la tua devota amicizia e i tuoi servigi delicati
dapprima con ringraziamenti via via piú rari,
poi col graduale sottrarmi alla tua presenza
in modo da non dovere esser costretto a ringraziarti,
e poi col silenzio che seguí alla nostra
separazione estrema.
Tu avevi curato la mia anima malata. Ma per curarla
conoscesti il mio male, penetrasti il mio segreto,
ed è perciò che fuggii da te.
Perché mentre, riemergendo da un dolore del corpo,
noi baciamo in eterno le vigili mani
che ci han dato l’assenzio, pur rabbrividendo
se pensiamo all’assenzio,
la cura di un’anima è tutt’altra cosa,
perché allora vorremmo cancellar dal ricordo
le parole tenere, gli occhi indaganti,
e restare per sempre dimentichi
non tanto del nostro dolore, quanto della mano che lo ha risanato.

E. Lee-Masters, Harlan Sewall

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