Archivi del mese: settembre 2014

Umwelten

Possiamo soltanto formulare ipotesi sul modo in cui gli animali organizzano il territorio in spazi per loro significativi. I mondi che percepiscono, i loro Umwelten, sono tutti diversi. La scoperta dell’Umwelt di un animale e la sua delucidazione richiedono grande pazienza e ingengosità sperimentale, un libero scambio di informazioni tra osservatori diversi, ore di osservazioni dirette, e una riluttanza a “sommarizzare” l’animale. Questa, secondo la mia esperienza, e la metodologia del cacciatore eschimese. In circostanze ideali può essere anche la metodologia della scienza occidentale.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 266.

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Smania

Mai avrei potuto vivere l’intera mia esistenza dove sono nato e cresciuto, mi diceva Nikolaos il greco, Conta assai poco quanto è bella la terra che ti è patria: Roma, Mosca, Atene o Costantinopoli, nessun luogo può bastare se la vita è una sola, mi diceva. Mai avrei potuto accettare di morire nel medesimo angolo di mondo in cui sono nato, mai avrei potuto rinunciare al piacere di cozzare la mia testa con quelle altrui, di stupire della bellezza di Firenze e Parigi, di svegliarmi sotto le stelle in mare aperto, di arrivare all’alba nei porti di Napoli e Genova, mai avrei rinunciato alle cavalcate nelle terre di Sicilia, a incontrare lo sguardo di certe donne di Palermo, alle notti nei palazzi di questa città di Venezia sempre senza riposo.

F. Soriga, Il cuore dei briganti, 13

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Come ciotole di terracotta

In India tutti hanno tempo e spesso hanno anche una qualche semplice riflessione da spartire con chi passa, come l’uomo che su una strada di campagna ha un misero baracchino per fare il tè. Te lo porge in una ciotola di terracotta e ti insegna a scaraventarla poi al suolo facendoti notare che torna a essere parte della terra… con cui si faranno nuove ciotole. Come succede anche con noi.

T. Terzani, Un altro giro di hipsters, 161

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Uomini e gamberi

Da ragazzo, Theodore, sedevi per lunghe ore
sulle rive del torbido Spoon
con gli occhi profondi fissi sulla tana del gambero,
aspettando che apparisse spingendo la testa,
prima le antenne ondeggianti, come fili di fieno,
e poi il corpo, colorato come steatite,
gemmato con occhi di giada.
E ti domandavi, come rapito,
che cosa sapeva, che cosa desiderava, e perché mai vivesse.
Ma phi tardi guardasti uomini e donne
nascosti nelle tane del fato fra grandi città,
osservando le loro anime uscire,
in modo da poter vedere
come vivevano, e per che cosa,
e perché strisciassero così in faccende
sulla distesa di sabbia dove l’acqua vien meno
quando l’estate declina.

E. Lee-Masters, Theodore il poeta

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Educazione alla creatività

L’educazione alla creatività esige innanzi tutto l’ammissione che non vi sono certezze o almeno che esse sono sempre temporanee, efficaci a un dato istante dell’evoluzione, ma che si devono continuamente riscoprire col solo scopo di abbandonarle appena si sia potuto dimostrare il loro valore operativo. L’educazione che ho chiamato « relativista » mi sembra l’unica degna del cucciolo dell’Uomo. Certo non è «proficua» sul piano della promozione sociale, ma Rimbaud, Van Gogh o Einstein, per citare solo alcuni che oggi vengono riconosciuti geniali, hanno mai mirato alla promozione sociale? Questa educazione favorirebbe lo sviluppo dell’individualità, e ciò andrebbe a tutto vantaggio della collettività che sarebbe così formata da individui senza uniforme. Penso anche che solo questa educazione potrebbe portare alla tolleranza, perché intolleranza e settarismo sono sempre dovuti all’ignoranza e alla sottomissione incondizionata agli automatismi più primitivi, elevati al rango di etiche, di valori eterni e indiscutibili.

H. Laborit, Elogio della fuga, 56

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Se lottare

Nel nostro mondo molto spesso non si incontrano uomini, ma agenti di produzione, professionisti che non vedono più in noi l’Uomo, ma il concorrente, e appena il nostro spazio gratificante interagisce con il loro cercano di prendere il sopravvento, di sottometterci. Allora se non siamo disposti a trasformarci in hippies o in drogati dobbiamo fuggire, rifiutare, se possibile, la lotta, perché quegli avversari non ci affronteranno mai da soli ma si appoggeranno sempre a un gruppo o a una istituzione. È finita l’epoca della cavalleria, quando si gareggiava a uno a uno in torneo. Oggi sono intere consorterie che attaccano l’uomo solo, e se per disgrazia quest’ultimo accetta il confronto, sono sicure di vincere, perché sono l’espressione del conformismo, dei pregiudizi, delle leggi socioculturali del momento. Se ci avventuriamo da soli in una via non incontriamo mai un altro uomo solo ma sempre una compagnia di trasporti collettivi.

H. Laborit, Elogio della fuga, 29

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Uomini che avevano tempo

Da ragazzo ho conosciuto uomini che avevano tempo. Erano pastori dell’Orsigna nell’Appennino toscano, dove andavo in vacanza. Stavano per ore con un filo d’erba in bocca. distesi su un prato in cima a un monte a guardare da lontano il loro gregge e a riflettere, a sognare. a formulare dei versi che a volte scolpivano nelle pietre delle fonti o cantavano la domenica nelle gare di poesia attorno a una damigiana di vino.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 161

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La città: creatura emergente

Non è dunque in senso metaforico che si ha il diritto di confrontare — come spesso è stato fatto — una città a una sinfonia o a un poema; sono infatti oggetti della stessa natura. Più preziosa ancora, forse, la città si pone alla confluenza della natura con l’artificio. Agglomerato di esseri che racchiudono la loro storia biologica entro i suoi limiti e la modellano con tutte le loro intenzioni di creature pensanti, la città, per la sua genesi e per la sua forma, risulta contemporaneamente dalla procreazione biologica, dall’evoluzione organica e dalla creazione estetica. Essa è, nello stesso tempo, oggetto di natura e soggetto di cultura; individuo e gruppo; vissuta e sognata; cosa umana per eccellenza.

C. Lévi-Strauss, tristi tropici, 13

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Strappato al male a venire.

Babbo, non potrai mai sapere
quanta angoscia mi strinse il cuore,
per la mia disubbidienza, quando sentii
la ruota spietata della locomotiva
mordermi nella carne viva della gamba.
Mentre mi portavano dalla vedova Morris
vidi ancora nella valle la scuola
che marinavo per salire di nascosto sui treni.
Pregai di vivere finché potessi chiederti perdono —
e poi le tue lacrime, le tue rotte parole di conforto!
Dal sollievo di quell’ora mi venne felicità infinita.
Tu fosti saggio a far scolpire per me:
« Strappato al male a venire ».

E. Lee Masters, Johnnie Sayre

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Sardegna

Ed è bello, certo, ma non è come qui, a Hermosa, questa è la natura che domina, tu nella tua piccolezza e lei nella sua immensità, e forza, e crudeltà, e spazi e silenzi. Il rumore del vento, capisci?, e tu cammini verso il mare, da solo con i tuoi pensieri, con le domande che tutti ci facciamo da sempre, perché siamo qui, che senso ha, perché un uomo domina un altro e perché c’è chi lavora con fatica e chi ne è esentato, perché alcuni scelgono il male e altri no, perché essere vecchi è tanto brutto eppure nessuno vuole smettere di esserlo dandosi serenamente alla morte. Ti fai queste domande e guardi le querce piegate dal maestrale, i boschi infiniti di olivastri, quel muretto di pietre abbandonato tra i rovi, il falco che ti vola sulla testa, e le risposte le porta il vento, le risposte ci sono, volano nel vento, ma non le puoi capire, le intuisci nel vento, ma le tue orecchie non ce la fanno, a sentirle, e tu puoi solo andare avanti ancora e ancora, e arrivare al mare e dirti che no, non ci sarà mai altro luogo come quello in cui sei nato, e di cui conosci ogni combinazione di colore del cielo, e i rumori, e il silenzio, appunto, che è forse la cosa che più ti è entrata dentro, anche se non lo sapevi. Te ne accorgi una mattina nella calca di Venezia, il silenzio di Hermosa, capisci?

F. Soriga, Il cuore dei briganti, 13

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