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43 giorni sospinti dagli alisei

Mi tenni molto occupato in quei giorni, ma non stando al timone; non c’è uomo, secondo me, capace di restare a sedere al timone di una barca che viaggia attorno al mondo. Feci di meglio sedendomi a leggere i miei libri, a riparare i vestiti, a cuocere i pasti e a mangiarli in pace. Avevo già notato che non era una bella cosa essere solo e così feci amicizia con quanto era attorno a me, qualche volta con l’universo, altre con il mio io insignificante; i libri erano sempre i miei amici, e mi facevano rinunciare a tutto il resto. Nulla è stato più facile e più riposante del mio viaggio con gli alisei.

J. Slocum, Solo intorno al mondo, XI

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Naufragi

Va la nave, sola
Nella quiete della sera.
Qualche luce appare
Di lontano, dalle case.
Nell’estrema notte
Va in fumo a fondo il mare.
Resta solo, pari a sé,
Uno scroscio che si perde…
Si rinnova…

G. Ungaretti, Pari a sé

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Pietà

Sono un uomo ferito.
E me ne vorrei andare
E finalmente giungere,
Pietà, dove si ascolta
L’uomo che è solo con sé.
Non ho che superbia e bontà.
E mi sento esiliato in mezzo agli uomini.
Ma per essi sto in pena.

G. Ungaretti, da La pietà

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Legami

Per questa ragione la vera libertà non è — come pensa la nevrosi — evitare il legame con l’Altro affermando la nostra autonomia, ma è saper riconoscere la nostra insufficienza e la nostra dipendenza dall’Altro. Non consiste nel vivere senza l’Altro perché questo è il sogno profondamente narcisistico e perverso di ogni nevrotico. Piuttosto la vera libertà implica il legame con l’Altro come ciò che apre la mio vita all’incognita ingovernabile del desiderio. Invocare la libertà come realizzazione di se stessi in alternativa a ogni legame traduce invece solo un fantasma di autoconsistenza totalmente sterile. Cancellare la dipendenza simbolica dall’Altro non rende la vita indipendente ma la mutila, la arrocca su se stessa, la riduce a una fortezza vuota. È quello che molti nevrotici non vogliono vedere: restare soli non è — come spesso lamentano — una sofferenza, ma il loro modo inconscio di scansare il pericolo angosciante dell’esposizione assoluta al desiderio dell’Altro che ogni incontro d’amore impone.

M. Recalcati, Non è più come prima, 116

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Isole disgiunte e sole

Quel che è sorprendente è che facciamo ormai tutto questo con grande naturalezza, ognuno convinto che quello è il suo diritto. Non ci sentiamo in alcun modo parte del tutto. Al contrario. Ognuno si vede come un’entità separata, a sé; ognuno si sente forte del proprio ingegno, delle proprie capacità e soprattutto della propria libertà. Ma è proprio questo sentirci liberi, disgiunti dal resto del mondo, a causarci un gran senso di solitudine e di tristezza. Diamo per scontato solo quel poco che abbiamo attorno e con questo limitato punto di vista non riusciamo a sentire la grandezza del resto di cui siamo pur parte.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 158

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Macerie

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato

G. Ungaretti, Vita d’un uomo, San Martino del Carso

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Alternative all’intimità

È vero che le relazioni intime sono un rischio, ed è vero che fanno soffrire, ed è vero che pretendono moltissimo da voi, ed è vero che pretendono cambiamenti, ed è vero che fanno affiorare vostri sentimenti più profondi e a volte vi fanno sentire infelici. Ma, come ho detto, le alternative all’intimità sono disperazione e solitudine.

L. Buscaglia, Vivere amare capirsi, 8

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I nostri vecchi

E così, per essere accettati, i vecchi devono esprimere tutte queste virtù da cui sono dispensati i giovani: devono far tacere il desiderio sessuale che non si estingue con l’età, devono rinunciare ai contatti corporei che si addicono ai giovani, devono essere allegri ma con misura, devono partecipare alla vita familiare e sociale senza pretendere di essere ascoltati, devono essere autonomi e indipendenti, due modi per dire “soli”.

U. Galimberti, I miti del nostro tempo, cap. 3

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Sconfitto e vagabondo

Il sentiero saliva ancora, aprendo un corridoio diritto nell’oscurità del bosco. Seguii le tracce fresche di un guanaco. Ogni tanto Io vedevo più in su avanti a me, che saltellava sopra tronchi caduti, e alla fine gli arrivai vicino. Era un maschio senza femmina, con la pelliccia tutta infangata e la fronte sfregiata da cicatrici. Aveva combattuto e perso. Ora anche lui era uno sterile vagabondo.

B. Chatwin, In Patagonia, 66

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Terra e radici

E’ tuttora evidente anche l’inclusione della terra nelle storie tradizionali, prova di una stretta associazione con la terra stessa e dell’esistenza di una strana, ipnotica conformità del comportamento umano per reazione alle sottigliezze del paesaggio. Molti non hanno abbandonato la terra e la terra non li ha abbandonati. È difficile, venendo dalle lontane città del sud, percepire e soprattutto sviscerare la ricchezza di questa associazione, o giudicarne il valore. Ma questa affinità arcaica con la terra, credo, è un antidoto per la solitudine che nella nostra cultura noi associamo con lo straniamento individuale e la disperazione.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 263.

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