Archivi del mese: marzo 2014

Ingegneri a quattro zampe

Il sentiero si perse presto nella foresta. Consultai la bussola e mi diressi a nord, verso il secondo fiume. Non era più un fiume, ma un acquitrino di muschio giallo. Lungo la riva, giovani alberi erano stati abbattuti con un taglio netto e obliquo come quello di un violento colpo di machete. Questa era la terra dei castori. Così i castori riducevano un fiume.

B. Chatwin, In Patagonia, 66

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La lezione più importante

Com’è a buon prezzo la salute! com’è a buon prezzo la nobiltà!
Astinenza, non falsità, non ingordigia e lussuria;
Io canto l’aria aperta, la libertà, la tolleranza,
(Prendete qui la lezione più importante — meno dai libri — meno dalle scuole),
Il giorno e la notte comuni — la terra e le acque comuni,
I vostri campi — il vostro lavoro, commercio, occupazione,
E sotto, la saggezza democratica, come solida base di tutto.

W. Whitman, da Il luogo comune

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Oggetti nel tempo

Ma che cosa diventa un oggetto, quando perde il suo significato, quando non significa più quello che significava un tempo? Soltanto arte, accessibile e inaccessibile a un tempo? O proprio questo, il confronto, l’istante in cui non riconosci più il pensiero della tua specie, da cui risulta evidente che anche il tuo pensiero uno bel giorno non verrà più riconosciuto?

Cees Nooteboom, Verso Santiago, pag. 282.

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Poco tempo

Tutto ci sembra poco, tutto si comprime e ci sembra poco, una volta che finisce, allora è sempre chiaro che non abbiamo avuto abbastanza tempo.

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 34

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Vivere come un Dio

Supponete che non ci sia altro che l’alveare:
che ci siano pecchioni e operaie
e regine, e nient’altro che miele da fabbricare
(cose importanti quanto cultura e saggezza)
per la prossima generazione, questa generazione che non vive
se non quando sciama nel sole della giovinezza,
rinforzandosi le ali con ciò che è stato raccolto, e assaporando, sulla strada tra il campo di trifoglio
e l’alveare, il prelibato bottino.
Supponete questo, e supponete la verità:
che la natura dell’uomo è superiore
al naturale bisogno dell’alveare;
e c’è da reggere il carico della vita,
così come l’eccesso dello spirito —
bene io dico che viverci come un Dio
certo dell’immortalità, per quanto incredibile,
è il modo di viverci.
Se ciò non rende Dio orgoglioso di voi,
allora Dio non è che gravitazione,
o il sonno la mèta beata.

E. Lee-Masters, Davis Matlock

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Saggezza II

La saggezza, infatti, non dipende dagli anni, né dalla nostra fedeltà ai principi guida della nostra vita, ma da quella visione del mondo che nasce dalla consapevolezza che noi siamo irrimediabilmente mortali, per cui cinicamente potremmo dire che è opportuno, se si è giovani, dimenticare di esserlo (cosa che di solito riesce naturale), se si è vecchi dimenticare tutto, anche il fatto di essere stati giovani (cosa più difficile, ma anche di grande sollievo).

U. Galimberti, I miti del nostro tempo, cap. 3

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Compost

Qualcosa mi fa trasalire là dove mi credevo più al sicuro,
E mi ritraggo dai boschi silenziosi tanto amati,
Non andrò più a passeggiare nei pascoli,
Non spoglierò il mio corpo per incontrarmi col mio amante, il mare,
Né accosterò la mia carne alla terra, come ad un’altra carne, per rinnovarmi.

Oh come può la stessa terra non provare disgusto?
Come potete essere vivi, germogli della primavera?
E tu, sangue dell’erba, delle radici, dei frutteti, del grano, come puoi dar salute?
Non immettono in te continuamente liquefatti cadaveri?
Non è ogni continente lavorato e lavorato con rancidi morti?

Dove ti sei sbarazzata delle loro carcasse?
Di quei beoni ed ingordi di tante generazioni?
Dove hai cacciato tutto quel lurido liquido e quel cibo?

W. Whitman, da Questo concime

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Figli e figlie degeneri, la Vita è troppo forte per voi!

Andavo a ballare a Chandlerville
e giocavo alle carte a Winchester.
Una volta cambiammo compagni
ritornando in carrozza sotto la luna di giugno,
e cosí conobbi Davis.
Ci sposammo e vivemmo insieme settant’anni,
stando allegri, lavorando, allevando i dodici figli,
otto dei quali ci morirono
prima che avessi sessant’anni.
Filavo, tessevo, curavo la casa, vegliavo i malati,
coltivavo il giardino e, la festa,
andavo a spasso per i campi dove cantano le allodole,
e lungo lo Spoon raccogliendo tante conchiglie,
e tanti fiori e tante erbe medicinali —
gridando alle colline boscose, cantando alle verdi vallate.
A novantasei anni avevo vissuto abbastanza, ecco tutto,
e passai a un dolce riposo.
Cos’è questo che sento di dolori e stanchezza,
e ira, scontento e speranze fallite?
Figli e figlie degeneri,
la Vita è troppo forte per voi —
ci vuole vita per amare la Vita.

E. Lee-Masters, Lucinda Matlock

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Magellano

Non sapeva sorridere, né essere gentile e piacevole, né sostenere le sue idee con un po’ di abilità. Laconico, chiuso, sempre ravvolto in una nube di solitudine, questo originale deve aver irradiato attorno alla sua persona un’atmosfera di gelida scontrosità, di disagio e di diffidenza, giacché ben pochi riuscirono a essergli vicini, e nes-suno conobbe la sua intima natura. I suoi compagni avvertivano inconsciamente in quel suo taciturno tenersi nell’ombra un’ambizione diversa, più oscura, più sospetta di quella degli aperti arrivisti che senza alcun pudore si spingono a gomitate fino alla greppia. Qualcosa rimase eternamente celato e inaccessibile dietro quei piccoli occhi infossati, rotondi e duri, dietro quella sua bocca nascosta, un segreto che egli non dischiuse a nessuno. Ma sempre chi cela in sé un segreto, chi ha la forza di tenerlo per anni e anni serrato fra i denti, susciterà la diffidente antipatia delle persone naturalmente aperte e semplici. Fin dal principio Magellano si creò degli ostacoli col suo carattere chiuso. Non fu facile essere con lui e per lui, e forse fu soprattutto difficile a lui esser tanto solo con se stesso.

S. Zweig, Magellano, III

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Cardenio

Ah pazzo ch’io sono! Ora che son lontano dal pericolo, dico che dovevo fare quel che non feci: ora che mi son lasciato rapire il mio tesoro, maledico il rapitore, di cui avrei potuto vendicarmi, se avessi avuto il coraggio per farlo, come ne ho per i miei lamenti. E poiché fui allora codardo e stolto, è giusto ch’io muoia ora svergognato, pentito e pazzo.

Cervantes, Don Chisciotte, XXVII

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