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Nella luce di Epicuro

Tu scorgesti per primo in questo buio profondo 
quella traccia di luce che indicava la strada: 
voglio seguirti ancora, grande gloria dei Greci, 
procedendo nell’orma che il tuo piede ha lasciato. 
Io non posso emularti, ma l’amore mi spinge 
solamente a imitarti: come vuoi che un rondone 
si paragoni ad un cigno? E potrebbe un capretto 
dalle zampe tremanti atteggiarsi a destriero? 
Tu ci hai anche lasciato, con i tuoi insegnamenti, 
molti saggi precetti: ora io voglio volare 
sopra i tuoi scritti, Maestro, come fanno le api 
sui bei fiori dei prati, per estrarne una scienza 
che é preziosa per noi e che credo sia eterna. 
Da quando, per il tuo genio, noi potemmo scoprire 
la natura reale di ogni cosa che esiste 
il terrore è svanito, le mura sono crollate, 
noi possiamo scrutare questo immenso universo. 
Vediamo anche gli déi, nelle loro dimore 
che resistono al vento e le nubi non scuotono 
con i loro piovaschi, né la gelida neve 
le ricopre di bianco: un cielo sempre sereno 
le sovrasta e rallegra con un roseo chiarore. 
La natura provvede a tutto quello che occorre, 
niente riesce a turbare quella pace divina: 
lì non ci si tormenta per il nero Acheronte 
né la terra impedisce di guardare al di sotto 
ciò che vive e si compie nello spazio infinito. 
Tutto questo mi dona una gioia profonda 
e dolcemente io tremo quando, grazie al tuo genio, 
posso anch’io riconoscere la natura di tutto. 

Lucrezio, de rerum natura, III,1

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L’ombra della scienza

“La verità è bellezza, e la bellezza è verità”, ha scritto Keats. Se permettiamo a noi stessi di abbracciare l’umanità, Keats ci dimostra quanto siamo diventati stolti nella lunga ombra della scienza, di quella scienza che amo.

Stuart Kauffman, Reinventare il sacro, pag. 263.

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Einstein o Shakespeare?

Preferireste essere Einstein o Shakespeare? Non so quale dei due geni sia più grande. Io, titubante, arrivo a pensare che abbiamo bisogno sia della scienza sia della storia per dare un senso a un universo dove noi agenti, parte di questo universo, ce la caviamo grazie al nostro saper fare incarnato, guadagnando il nostro momento di gloria sulla scena.

Stuart Kauffman, Esplorazioni evolutive, pag. 156.

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Mente

La mente umana, come una nave fantasma, continua a veleggiare libera dai suoi ormeggi dove vuole, e lo fa perché è non algoritmica. Questa libertà fa parte della creatività nell’universo, la nostra creatività di esseri umani.

Stuart Kauffman, Reinventare il sacro, pag. 196.

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Umani

Siamo oltre il riduzionismo: vita, agency, significato, valore e persino la coscienza e la moralità quasi certamente sono nati naturalmente, e l’evoluzione della biosfera, dell’economia e della cultura umana sono incredibilmente creative, spesso in modo non prevedibile. Anzi, sembrano parzialmente senza legge. Quest’ultima sfida alla scienza attuale è radicale. Essa si scontra con quasi quattrocento anni di convinzione che le leggi naturali siano sufficienti a spiegare ciò che è reale, ovunque nell’universo; una concezione che ho chiamato incantesimo galileiano. La nuova idea dell’emergenza e dell’incessante creatività oltre la legge naturale è davvero una nuova concezione scientifica del mondo in cui la scienza stessa ha dei limiti. Ed è stata proprio quest’ultima ad averli scoperti: una parziale anarchia, che non è abisso, ma libertà e creatività ineguagliate. Possiamo comprendere la biosfera, l’evoluzione economica e la cultura solo retroattivamente, da una prospettiva storica. Eppure dobbiamo vivere la nostra vita verso il futuro, dentro ciò che è conoscibile solo in parte. Allora, poiché la ragione è una guida insufficiente, dovremo riunificare la nostra umanità. E in questo caso dobbiamo davvero reinventare il sacro per essere noi a guidare la nostra vita sulla base dei valori definitivi che sceglieremo. Finalmente, dobbiamo essere responsabili di noi stessi, della nostra vita, delle azioni, dei valori, delle civiltà, della civiltà globale.

Stuart Kauffman, Reinventare il sacro, pag. 293.

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Intuizioni

Che cos’è questo turbine di immaginazione mentale e di invenzione? Quanti di noi hanno sperimentato le capacità creative della nostra mente inconscia? Conosco scienziati dotati di grande capacità intuitiva, e altri, ugualmente brillanti, che ne sono privi, almeno dal mio punto di vista. L’intuizione è forse solo una razionalità rapida, quasi precognitiva? O è qualcos’altro? È un’estensione dell’inconoscibile mediante immagini metaforiche? O è altro ancora? La vera risposte mi sfuggono. Esse evocano, però, almeno parte di ciò che ancora non conosciamo di noi stessi e come viviamo quotidianamente della nostra natura umana integrata.

Stuart Kauffman, Reinventare il sacro, pag. 244.

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Scienza moderna, come una nuova fede

Anche spalancando gli occhi, l’Uomo non vede niente. Procede a tentoni vacillando sull’oscura strada della vita che non sa da dove viene né dove va. È angosciato come il bambino chiuso in una stanza buia. Per questo, religioni, miti, oroscopi, guaritori, profeti, chiaroveggenti, magia e scienza odierna, hanno sempre avuto tanto successo nel corso dei secoli. Grazie a queste cianfrusaglie esoteriche, l’Uomo può agire. O almeno vuole crederlo, per calmare l’angoscia.

H. Laborit, Elogio della fuga, 44

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Umwelten

Possiamo soltanto formulare ipotesi sul modo in cui gli animali organizzano il territorio in spazi per loro significativi. I mondi che percepiscono, i loro Umwelten, sono tutti diversi. La scoperta dell’Umwelt di un animale e la sua delucidazione richiedono grande pazienza e ingengosità sperimentale, un libero scambio di informazioni tra osservatori diversi, ore di osservazioni dirette, e una riluttanza a “sommarizzare” l’animale. Questa, secondo la mia esperienza, e la metodologia del cacciatore eschimese. In circostanze ideali può essere anche la metodologia della scienza occidentale.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 266.

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Epistemologia

Finché gli uomini ignoreranno che niente nell’umana aderenza al mondo, niente di ciò che si accumula nel loro sistema nervoso è isolato, separato dal resto, che tutto si collega, si organizza, si informa in lui, obbedendo a leggi rigorose, la maggior parte delle quali non sono ancora state scoperte, accetteranno la distinzione tra uomo che produce e uomo di cultura. Anche questa divisione è un fenomeno culturale, come credere nello spirito e nella materia, nel bene e nel male, nel bello e nel brutto, ecc. E tuttavia le cose si limitano a essere. È l’uomo che le analizza, le separa, le suddivide, e mai disinteressatamente. All’inizio, di fronte all’apparente caos del mondo, ha classificato, costruito i cassetti, i capitoli, gli scaffali. Ha introdotto il suo ordine nella natura per agire. E dopo ha creduto che quello fosse l’ordine della natura, senza accorgersi che era il suo, che era stato stabilito secondo suoi criteri e che quei criteri provenivano dall’attività funzionale del sistema che gli permetteva di entrare in contatto col mondo: il sistema nervoso.

H. Laborit, Elogio della fuga, 51

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La sconfitta del dolore

E poi: eliminando la sofferenza al suo primo insorgere, l’uomo moderno si nega la possibilità di prendere coscienza del dolore e della straordinaria bellezza del suo contrario: il non-dolore. Perché in tutte le grandi tradizioni religiose il dolore è visto come una cosa naturale, come una parte della vita? C’è forse nel dolore un qualche significato che ci sfugge? che abbiamo dimenticato? Se anche ci fosse, non vogliamo saperne. Siamo condizionati a pensare che il bene deve eliminare il male, che nel mondo deve regnare il positivo, e che l’esistenza non è l’armonia degli opposti. In questa visione non c’è posto né per la morte, né tanto meno per il dolore. La morte la neghiamo non pensandoci, togliendola dalla nostra quotidianità, relegandola, anche fisicamente, là dove è meno visibile. Col dolore abbiamo fatto anche di meglio: lo abbiamo sconfitto. Abbiamo trovato rimedi per ogni male e abbiamo eliminato dall’esperienza umana anche il più naturale, il più antico dei dolori: quello del parto, sul quale da che mondo è mondo si è fondato l’orgoglio della maternità e l’unicità di quel rapporto forse saldato proprio dalla sofferenza. Ma questa è la nostra civiltà. Ci abituiamo sempre più a risolvere con mezzi esterni i nostri problemi e con ciò perdiamo sempre più i nostri poteri naturali. Ricorriamo alla memoria del computer e perdiamo la nostra. Ingurgitiamo sempre più medicine e con ciò riduciamo la capacità del corpo a produrre le sue.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 102

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