Archivi tag: sociocultura

Normale: l’aggettivo subdolo

Ci furono uomini, alcuni, pochi, che si rifiutarono di uccidere dei civili. Non vennero fucilati per questo, non vennero degradati, non vennero nemmeno portati davanti a un tribunale militare. Alcuni, pochi, hanno detto di no, come documenta Browning nel suo libro, ma non erano gli uomini normali

U.Timm, Come mio fratello, 125

Lascia un commento

Archiviato in Letteratura

Ieri e oggi

Accendeva il fiammifero sfregandolo velocemente – e il suo modo di accendere la sigaretta, di spegnere il fiammifero, tutto succedeva senza sforzo, con movimenti eleganti e fluidi. Fumava tenendo la sigaretta fra il medio e l’indice, leggermente aperti. Al mignolo portava l’anello con il topazio bruciato. 
Era il suo orgoglio, lavorare in proprio. 
Un buon intrattenitore, ricercato e benvisto, stimolante e gradevole, questo era mio padre. 
Ma c’era anche l’altro padre, quello che la sera sedeva chino sui libri a fare i conti. Il sospirare, lo scuotere la testa, il muto torcersi le mani – sì, si sfregava lentamente le mani, le stropicciava come se potesse schiacciare, stritolare le preoccupazioni. L’angoscia sempre palpabile di mio padre, e anche di mia madre, di finire estromessi dalla vita borghese, l’angoscia dell’inconcepibile declassamento. Quella paura di perdere l’indipendenza, un’indipendenza che tuttavia era garantita sempre e solo dalle banche. 

U. Timm, Come mio fratello, 73

Lascia un commento

Archiviato in Letteratura

La degradazione dei padri

Colonne di automezzi si spingevano attraverso la città, jeep, camion, blindati, mentre i soldati tedeschi prigionieri avanzavano stracciati. La grande disponibilità ad accogliere le forme di vita americane, il cinema, la letteratura, la musica, l’abbigliamento, quella marcia trionfale veniva dal fatto che i padri non avevano capitolato solo militarmente, ma avevano capitolato anche con il loro sistema di valori e il loro stile di vita. Gli adulti sembravano ridicoli, già all’epoca in cui il bambino non era ancora in grado di trovare per questo una motivazione concettuale, ma si avvertiva – quella degradazione dei padri. C’era l’obbligo del saluto. Gli uomini dovevano togliersi il cappello davanti alle truppe di occupazione inglesi, davanti ai vincitori. Il bambino osservava gli adulti, donne comprese, che si piegavano a raccogliere i mozziconi gettati a terra dai GI. 

U. Timm, Come mio fratello, 62

Lascia un commento

Archiviato in Letteratura

Norimberga

Con grande sorpresa degli ufficiali americani che li interrogavano quegli uomini non erano bruti primitivi ma persone con una cultura letteraria, filosofica e musicale, uomini – si vorrebbe che non fosse possibile – i quali ascoltavano Mozart e leggevano Hölderlin. Erano pienamente consapevoli dei loro crimini e perciò si erano preoccupati di nascondere quelli che avevano fatto.

U. Timm, Come mio fratello, 55

Lascia un commento

Archiviato in Letteratura

Cultura

L’uomo aveva la cultura della pietra scheggiata che lo univa, oscuramente ma completamente, al cosmo. L’operaio di oggi non ha neppure la cultura del cuscinetto a sfera che costruisce con gesti automatici, tramite una macchina. E per ritrovare il cosmo, per sentirsi parte della natura deve avvicinarsi alle finestrine che l’ideologia dominante accetta di aprire qua e là, nella sua prigione sociale, per fargli arrivare l’aria fresca. È un’aria avvelenata dai gas di scappamento della società industriale, eppure quest’aria viene chiamata Cultura.

H. Laborit, Elogio della fuga, 52

Lascia un commento

Archiviato in Filosofia

La buona educazione

È meglio allora procurare al bambino una « buona » educazione capace innanzi tutto di permettergli una rispettabile « carriera » professionale. Gli insegnano a « servire », in altri termini gli insegnano la servitù nei confronti delle strutture gerarchiche di dominanza. Gli fanno credere che agisce per il bene della comunità, una comunità istituzionalizzata gerarchicamente che lo ricompensa di ogni sforzo compiuto verso la servitù all’istituzione. La servitù diventa allora gratificante. L’individuo è convinto della propria dedizione, del proprio altruismo mentre agisce solo per il proprio appagamento, un appagamento però deformato dal fatto di aver assimilato i dettami della sociocultura.

H. Laborit, Elogio della fuga, 58

Lascia un commento

Archiviato in Psicologia

A galla in un mare di condizionamenti

La nozione di relatività dei giudizi porta all’angoscia, è vero. È più semplice avere a nostra disposizione, quando si deve agire, una strategia già pronta, o le istruzioni per l’uso. Le nostre società che esaltano tanto spesso, almeno a parole, la responsabilità, si industriano di non lasciarne affatto all’individuo, per paura che agisca in modo non conforme alla struttura gerarchica di dominanza. E il bambino, per sfuggire all’angoscia, per rassicurarsi, cerca l’autorità delle regole imposte dai genitori. Da adulto farà lo stesso con l’autorità imposta dalla sociocultura in cui è inserito. Si aggrapperà ai giudizi di valore di un gruppo sociale, come un naufrago si aggrappa disperatamente alla ciambella di salvataggio.

H. Laborit, Elogio della fuga, 57

Lascia un commento

Archiviato in Psicologia

Relativismi

«Perché siete così stupidi?» domandavano gli indigeni ai missionari. «E perché siamo stupidi?» rispondevano questi. «Perché non vi dipingete come fanno gli eyiguayegui». Bisognava dipingersi per essere uomini; colui che restava allo stato naturale non si distingueva dal bruto.

C-Lévi-Strauss, Tristi tropici, 20

Lascia un commento

Archiviato in Letteratura

Arte e sociocultura

L’artista, fin dal concepimento, è per forza legato alla sociocultura presente nel tempo e nello spazio sociale. La fugge, ma ne rimane più o meno impregnato. Per quanto geniale, appartiene alla sua epoca, ed è la sintesi di coloro che lo hanno preceduto e la reazione alle abitudini culturali da essi imposte. E proprio nella reazione può trovare la sua originalità. Anche se questa è la ragione per cui l’arte può sembrare ambigua ai contemporanei. Il bisogno, che ognuno di noi ha, di essere ammirato, stimato, spinge l’artista all’anticonformismo. Rifiuta il « déjà vu », il « déjà entendu ». Questo è il prezzo della creazione e anche il prezzo dell’ammirazione che essa suscita. Ma l’opera originale si discosta allora dai criteri di riferimento con cui di solito viene giudicata e, dato che l’arte deve essere non oggettiva, deve mantener le distanze dalla sensazione, dal mondo della realtà, diventa difficilissimo dare di essa un giudizio immediato. L’arte, come la vendetta, è un piatto da consumare freddo. Solo l’imprevedibile evoluzione del gusto potrà in seguito consacrare il genio.

H. Laborit, elogio della fuga, 47

Lascia un commento

Archiviato in Filosofia, Psicologia

Se lottare

Nel nostro mondo molto spesso non si incontrano uomini, ma agenti di produzione, professionisti che non vedono più in noi l’Uomo, ma il concorrente, e appena il nostro spazio gratificante interagisce con il loro cercano di prendere il sopravvento, di sottometterci. Allora se non siamo disposti a trasformarci in hippies o in drogati dobbiamo fuggire, rifiutare, se possibile, la lotta, perché quegli avversari non ci affronteranno mai da soli ma si appoggeranno sempre a un gruppo o a una istituzione. È finita l’epoca della cavalleria, quando si gareggiava a uno a uno in torneo. Oggi sono intere consorterie che attaccano l’uomo solo, e se per disgrazia quest’ultimo accetta il confronto, sono sicure di vincere, perché sono l’espressione del conformismo, dei pregiudizi, delle leggi socioculturali del momento. Se ci avventuriamo da soli in una via non incontriamo mai un altro uomo solo ma sempre una compagnia di trasporti collettivi.

H. Laborit, Elogio della fuga, 29

Lascia un commento

Archiviato in Filosofia, Psicologia