Volavamo nel sole, ma il versante della collina era immerso in una bruna ombra trasparente in cui ben presto ci tuffammo anche noi. Improvvisamente, dall’alto, li scorsi. Erano ventisette bufali; stavano pascolando su uno di quei verdi crinali che corrono lungo i fianchi della collina per ricongiungersi sulla vetta come le pieghe di un vestito. Dapprincipio, lontanissimi, sotto di noi,
parevano topi che si muovessero con cautela sul pavimento di una stanza. Calammo rapidamente, volteggiando in lungo e in largo sul crinale, fino ad appena cinquanta metri di altezza. Ci
trovavamo ormai a un tiro di schioppo: potevamo contarli, mentre in gran quiete si ricongiungevano al branco o se ne distaccavano. Ve n’ara uno vecchissimo, grande e nero, e altri piú giovani e giovanissimi. Tutt’intorno, cespugli proteggevano l’ampio pascolo erboso; se qualcuno si fosse avvicinato da terra ne avrebbero inteso il rumore o fiutato l’odore, ma non si aspettavano un attacco dall’aria. Dovevamo continuare a volteggiare sopra di loro. Sorpresi dal fracasso del motore cessarono di pascolare; ma pareva non avessero l’istinto di guardare in alto. Si accorsero, alla fine, che stava avvenendo qualcosa di molto strano; il vecchio bufalo dette il via e tutto il branco lo seguì. Le quattro zampe piantare per terra, alzò le corna – dovevano pesare almeno mezzo quintale – sfidando il nemico nascosto. Poi, d’improvviso, si slanciò; prima trottando, poi addirittura al galoppo. Tutto il clan lo seguí, correndo all’impazzata. Andarono ad ingolfarsi fra i cespugli, sollevando un nugolo di polvere e di sassi.
Arrivati nel folto si fermarono, radunandosi tutti insieme: parevano un pavimento di pietre grigie, in una radura fra le colline. Lì si credevano al riparo e lo erano, per ogni minaccia venuta dalla terra, ma non potevano sfuggire allo sguardo dell’uccello dell’aria. Prendemmo quota e ci allontanammo.
K. Blixen, La mia Africa, parte III, 8