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Umwelten

Possiamo soltanto formulare ipotesi sul modo in cui gli animali organizzano il territorio in spazi per loro significativi. I mondi che percepiscono, i loro Umwelten, sono tutti diversi. La scoperta dell’Umwelt di un animale e la sua delucidazione richiedono grande pazienza e ingengosità sperimentale, un libero scambio di informazioni tra osservatori diversi, ore di osservazioni dirette, e una riluttanza a “sommarizzare” l’animale. Questa, secondo la mia esperienza, e la metodologia del cacciatore eschimese. In circostanze ideali può essere anche la metodologia della scienza occidentale.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 266.

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Animali. Animali?

Gli animali che osservavamo collaudavano il loro ambiente, provavano a fare cose che prima non avevano mai fatto, o che forse non aveva mai fatto nessun animale come loro… e rivelavano la loro capacità di compiere qualcosa di nuovo. La conservazione di questa capacità di adattamento è uno dei misteri fondamentali dell’evoluzione.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 202.

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Contemplazione

Le vite di molti animali sono delimitate e circoscritte dai piani degli uomini; ma la determinazione di queste vite, il disegno tradizionale del movimento, ci ricordano un ordine essenziale. La compagnia di questi uccelli ispira un senso d’innocenza. E’ facile sentirsi trascendenti quando ci si accampa in mezzo a loro.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 162.

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Il ragazzo ed il bufalo

Era di maggio. Il pomeriggio afoso
sembrava interminabile. La terra riarsa
si spaccava nel gran caldo, assetata.
Dalla riva del fiume udii una voce
che gridava: “Vieni, tesoro mio”.
Chiusi il mio libro e aprii la finestra
per guardare fuori.
Vidi presso il fiume un grande bufalo, coperto di fango
che guardava in giro con occhi placidi e pazienti;
un ragazzo, nell’acqua fino al ginocchio, lo chiamava
per farlo bagnare.
Sorrisi compiacente ed ebbi un senso di dolcezza,
che m’invase il cuore.

R. Tagore, da Il giardiniere

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Individui tra gli animali ?

Molti biologi occidentali apprezzano il mistero insito negli animali che osservano. Comprendono che, da un punto di vista oggettivo, quanto osservano è ingannevolmente complesso e, da un punto di vista soggettivo, gli animali hanno modi di vita non umani. Si rendono conto che, sebbene si possono ideare esperimenti per rivelare certi aspetti dell’animale, questo rimarrà sempre più grande della somma di qualunque serie di esperimenti. […] Sanno che il comportamento d’un singolo animale può essere sorprendentemente diverso da quello generalmente riconosciuto della sua specie; e che una stessa specie può comportarsi in modo molto diverso da un luogo all’altro e da un anno all’altro.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 266.

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Pesci e porci

Sedevo sulla riva del Bernadotte
e gettavo molliche nell’acqua,
per vedere i pesciolini combattere
finché il più forte otteneva la preda.
Oppure andavo al mio piccolo pascolo,
dove i maiali tranquilli se ne dormivano nella broda
o ammusando amorosamente fra loro,
e vuotavo un canestro di meliga gialla
e li osservavo spingersi e strillare e mordersi
e pestarsi l’un l’altro per arrivarci.
E cosí vidi la tenuta di Christian Dallman
di più di tremila acri
inghiottire il pezzetto di Felix Schmidt,
come un luccio inghiotte un pesciolino.
Dico, se c’è qualcosa nell’uomo —
spirito, o coscienza, o soffio di Dio —
che lo renda diverso dai pesci e dai porci,
mi piacerebbe vederlo!

E. Lee-Masters, Schroeder il pescatore

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Volteggiando sull’altipiano

Volavamo nel sole, ma il versante della collina era immerso in una bruna ombra trasparente in cui ben presto ci tuffammo anche noi. Improvvisamente, dall’alto, li scorsi. Erano ventisette bufali; stavano pascolando su uno di quei verdi crinali che corrono lungo i fianchi della collina per ricongiungersi sulla vetta come le pieghe di un vestito. Dapprincipio, lontanissimi, sotto di noi,
parevano topi che si muovessero con cautela sul pavimento di una stanza. Calammo rapidamente, volteggiando in lungo e in largo sul crinale, fino ad appena cinquanta metri di altezza. Ci
trovavamo ormai a un tiro di schioppo: potevamo contarli, mentre in gran quiete si ricongiungevano al branco o se ne distaccavano. Ve n’ara uno vecchissimo, grande e nero, e altri piú giovani e giovanissimi. Tutt’intorno, cespugli proteggevano l’ampio pascolo erboso; se qualcuno si fosse avvicinato da terra ne avrebbero inteso il rumore o fiutato l’odore, ma non si aspettavano un attacco dall’aria. Dovevamo continuare a volteggiare sopra di loro. Sorpresi dal fracasso del motore cessarono di pascolare; ma pareva non avessero l’istinto di guardare in alto. Si accorsero, alla fine, che stava avvenendo qualcosa di molto strano; il vecchio bufalo dette il via e tutto il branco lo seguì. Le quattro zampe piantare per terra, alzò le corna – dovevano pesare almeno mezzo quintale – sfidando il nemico nascosto. Poi, d’improvviso, si slanciò; prima trottando, poi addirittura al galoppo. Tutto il clan lo seguí, correndo all’impazzata. Andarono ad ingolfarsi fra i cespugli, sollevando un nugolo di polvere e di sassi.
Arrivati nel folto si fermarono, radunandosi tutti insieme: parevano un pavimento di pietre grigie, in una radura fra le colline. Lì si credevano al riparo e lo erano, per ogni minaccia venuta dalla terra, ma non potevano sfuggire allo sguardo dell’uccello dell’aria. Prendemmo quota e ci allontanammo.

K. Blixen, La mia Africa, parte III, 8

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Condor

Qualcosa passò davanti al sole, oscurandolo e si udì il suono del vento sferzato dalle penne remiganti. Due condor si erano tuffati su di me. Vidi il rosso dei loro occhi mentre si allontanavano fulminei, virando giù per la gola montana e mostrando il grigio dei loro dorsi. Planarono, percorrendo un arco, all’inizio della valle e si alzarono di nuovo, ruotando nella corrente ascensionale generata dal vento che soffiava contro i dirupi, finché furono due macchioline nel cielo lattiginoso.
Le macchioline aumentarono di grandezza. Stavano tornando. Ritornarono, trascinati dal vento, puntando decisi come predoni sul bersaglio, col collare di piume bianche intorno alla testa nera, le ali immobili e le code inclinate in basso, come freni, gli artigli abbassati e allargati al massimo. Si tuffarono su di me quattro volte; poi sia io che loro perdemmo interesse alla cosa.

B. Chatwin, In Patagonia, 66

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La caccia

Secondo la mia esperienza, la caccia (e per caccia intendo semplicemente trovarsi nel territorio) è uno stato d’animo. Tutte le facoltà dell’individuo sono orientate verso lo sforzo di incorporarsi pienamente nel paesaggio. E’ qualcosa di più che rimanere in ascolto per sentire il movimento degli animali, cercare le impronte o percepire un cambiamento del tempo. E’ più di un’analisi di ciò che si percepisce con i sensi. Cacciare significa portare addosso come un indumento il territorio circostante, intrattenere con esso un dialogo senza parole, così avvincente che si smette di parlare con i compagni umani. Significa distaccarsi dalle immagini razionali di ciò che qualcosa “significa” per concentrarsi soltanto su ciò che “è”. E riconoscere che le cose esistono solo in quanto possono essere relate ad altre cose. Queste relazioni, le gocce fresche di umidità sulla roccia al guado di un fiume e la voce lontana d’un corvo, diventano schemi. Gli schemi sono sempre in movimento. All’improvviso lo schema (che include la fame fisica, il ricordo della famiglia e i ricordi della valle che state attraversando, con queste particolari piante e questi particolari odori) comprende il caribù. C’è un caribù davanti a voi. La freccia o la pallottola sono come una parola pronunciata a voce alta. È qualcosa che avviene alla periferia della vostra concentrazione.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 204.

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Uomini e animali

Una differenza fondamentale tra la nostra cultura e la cultura eschimese, che in certe situazioni si può percepire anche oggi, è che noi ci siamo irrevocabilmente distaccati dal mondo occupato dagli animali. Abbiamo trasformato in oggetti tutti gli animali e gli elementi del mondo naturale. Li manipoliamo affinché servano gli scopi complicati del nostro destino. Gli eschimesi non afferrano facilmente questa separazione, e faticano a immaginarsi interamente rimossi dal mondo degli animali. Per molti di loro compiere questa separazione è isolarsi dalla luce o dall’acqua. È difficile immaginare come si possa riuscirci.
Una seconda differenza è che, siccome abbiamo oggettificato gli animali, possiamo trattarli in modo impersonale. Ciò riguarda non soltanto gli animali che vivono intorno a noi ma anche quelli che vivono in terre lontane. Per gli eschimesi, quasi tutte le relazioni con gli animali sono locali e personali. Gli animali che un individuo incontra fanno parte della sua comunità; e ha certi obblighi verso di loro. Per gli eschimesi uno degli aspetti più frastornanti della cultura occidentale è la spersonalizzazione dei rapporti con i membri umani e animali delle nostre comunità. E questo è complicato, anziché semplificato, dai loro tentativi di imparare ad oggettificare gli animali.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 204.

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