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La nuova vita di Carla

Addio strade, quartiere deserto percorso dalla pioggia come da un esercito, ville addormentate nei loro giardini umidi, lunghi viali alberati, e parchi in tumulto; addio quartiere alto e ricco: immobile al suo posto al fianco di Leo, Carla guardava con stupore la pioggia violenta lacrimare sul parabrise e in questi fiotti intermittenti colar disciolte sul vetro tutte le luci della città, girandole e fanali.

A. Moravia, Gli indifferenti, 151

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Ieri e oggi

Accendeva il fiammifero sfregandolo velocemente – e il suo modo di accendere la sigaretta, di spegnere il fiammifero, tutto succedeva senza sforzo, con movimenti eleganti e fluidi. Fumava tenendo la sigaretta fra il medio e l’indice, leggermente aperti. Al mignolo portava l’anello con il topazio bruciato. 
Era il suo orgoglio, lavorare in proprio. 
Un buon intrattenitore, ricercato e benvisto, stimolante e gradevole, questo era mio padre. 
Ma c’era anche l’altro padre, quello che la sera sedeva chino sui libri a fare i conti. Il sospirare, lo scuotere la testa, il muto torcersi le mani – sì, si sfregava lentamente le mani, le stropicciava come se potesse schiacciare, stritolare le preoccupazioni. L’angoscia sempre palpabile di mio padre, e anche di mia madre, di finire estromessi dalla vita borghese, l’angoscia dell’inconcepibile declassamento. Quella paura di perdere l’indipendenza, un’indipendenza che tuttavia era garantita sempre e solo dalle banche. 

U. Timm, Come mio fratello, 73

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Élite sul tram

La madre sedeva in un angolo presso il finestrino, voltava più che poteva il dorso al popolo del tram e guardava nella strada; i marciapiedi erano affollati di una viva moltitudine di lavoratori di ogni specie che tornavano alle loro case; il freddo sole di febbraio illuminava le loro facce arrossate dal vento diaccio sotto le falde usate dei cappelli scoloriti e deformi, e le loro persone chiuse nei pastrani inverditi dal tempo; era un solicello bianco e senza calore che si diffondeva generosamente su tutti quegli stracci quasi avesse voluto benedirli; una dopo l’altra sfilavano le brillanti botteghe con quelle scritte dipinte in rosso, in bianco o in blu sulle vetrine; le insegne luminose sospese ai cornicioni, grigie e spente, parevano delle larve incenerite; il tram avanzava lentamente, multicolore, volgare e pieno come un carosello, fremeva, tintinnava… Ogni tanto, sotto gli occhi della madre, con un rapido movimento, il cofano lucido e oblungo di una automobile avanzava, si fermava quasi cercando un varco coi suoi grossi fanali, balzava avanti… ella vedeva dietro una lastra di vetro, fermo al suo posto, con le mani guantate posate sul volante, un autista tutto vestito di cuoio e poi, adagiato sopra i cuscini di pelle, soddisfattissimo, con l’occhio semiaperto abbassato sulla folla, un personaggio panciuto, oppure, avvolta nelle sue gonfie pellicce, qualche signora dal volto delicato e dipinto… Allora, senza volerlo, la madre sospirava: ella non avrebbe potuto mai passare tra la folla malvestita in un’imponente e poderosa macchina, i suoi anni erano svaniti, la sua giovinezza si era dileguata nella lucida automobile dei suoi sogni; a poco a poco le figure della sua invidia, quei personaggi effimeri passati via con la rapidità delle frecce nei loro carri rombanti si erano allontanati anche dalla sua fantasia e dalla sua speranza, rassegnata ella continuava il suo cammino, non senza una specie di disgustata dignità, in quel colorato carrozzone di ferro e di vetro.

A. Moravia, Gli indifferenti, 182

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La cultura ed il Borghese Gentiluomo

Ricordiamoci del Borghese Gentiluomo e dei suoi sforzi per acquisire l’infarinatura culturale legata alle caratteristiche della classe alla quale tenta di accedere. Il Borghese Gentiluomo fa parte di una razza prolifica che si è moltiplicata abbondantemente. Ma nella contestazione di classe, ormai dilagante, essendo interesse della borghesia conservare prima di tutto le prerogative gerarchiche di dominanza e non essendo più queste ultime basate esclusivamente sulla nascita e sul comportamento, ma sulla proprietà delle merci, essa accetta di buon grado di diffondere una cultura, soprattutto se vendibile. Pensa così di calmare il rancore suscitato dalle differenze, pur conservando quelle che le sembrano essenziali, il potere, la dominanza gerarchica. Così si sforza, assecondata dalle masse lavoratrici, di valorizzare la cultura, la sua cultura, sempre tenendola ostinatamente separata dall’attività professionale produttiva in cui il suo sistema gerarchico continua a essere intransigente.

H. Laborit, Elogio della fuga, 49

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Amicizie

“Ma Merumeci ha altro da fare che pensare a lei, povera donna… e poi, se volesse, ne troverebbe mille meglio di lei… con quel personale… con quella figura… è impastata d’invidia e di ipocrisia, davanti dice bianco, e dietro dice nero… ecco, veramente io sono buona con tutti, a tutti trovo delle qualità, non farei male a una mosca, ma quella lì non la posso soffrire…”
“Ma le sei amica.”
“Come si fa?” disse la madre; “non si può mica dir sempre la verità in faccia alla gente… le convenienze sociali obbligano spesso a fare tutto l’opposto di quel che si vorrebbe.., se no chi sa dove si andrebbe a finire…”

A. Moravia, Gli indifferenti, 58

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Mariagrazia

Anche la madre guardava attraverso il finestrino, ma piuttosto che per vedere, per farsi vedere: quella grande e lussuosa macchina le dava un senso di felicità e di ricchezza, e ogni volta che qualche testa povera o comune emergeva dal tenebroso tramestio della strada e trasportata dalla corrente della folla passava sotto i suoi occhi, ella avrebbe voluto gettare in faccia allo sconosciuto una smorfia di disprezzo come per dirgli: “Tu brutto cretino vai a piedi, ti sta bene, non meriti altro… io, invece, è giusto che fenda la moltitudine adagiata su questi cuscini.”

A. Moravia, Gli indifferenti, 105

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Vergogna

non l’atterrivano i disagi e le privazioni a cui andava incontro, ma invece il bruciore, il pensiero di come l’avrebbero trattata, di quel che avrebbero detto le persone di sua conoscenza, tutta gente ricca, stimata ed elegante; ella si vedeva, ecco… povera, sola, con quei due figli, senza amicizie ché tutti l’avrebbero abbandonata, senza divertimenti, balli, lumi, feste, conversazioni: oscurità completa, ignuda oscurità.

A. Moravia, Gli indifferenti, 23

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Di città in città

Dopo quattro o cinquemila anni di storia ci piace immaginare che un ciclo si sia concluso; che la civiltà urbana, industriale e borghese, inaugurata dalle città dell’Indo, non fosse così diversa nella sua ispirazione profonda da quella che, dopo una lunga involuzione nella crisalide europea, avrebbe raggiunto la pienezza dall’altro lato dell’Atlantico. Quando era ancora giovane, il mondo antico abbozzava già il volto del Nuovo.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 14

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Emmanuelson e i Masai

Era giusto, pensai, che Emmanuelson avesse chiesto rifugio ai Masai, e che essi lo avessero accolto. Solo i veri aristocratici e i veri proletari del mondo capiscono la tragedia. Per loro è il principio fondamentale di Dio, e la chiave – minore – dell’esistenza. In questo sono diversi dai borghesi di tutte le categorie, che non solo negano la tragedia ma sono incapaci di sopportarla; la parola stessa, per loro, significa qualcosa di tristo. Molti malintesi fra gli immigrati bianchi di classe media e gli indigeni nascono proprio da questo. Gli intrattabili Masai, aristocratici e proletari insieme, avranno riconosciuto subito un personaggio da tragedia nel solitario viandante vestito di nero; e, accanto a loro, l’attore tragico era ridiventato se stesso.

K. Blixen, La mia Africa, parte III, cap. 5

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L’ordine di Sant’Anna all’occhiello

Succede sempre così a queste meravigliose anime schilleriane: fino all’ultimo momento rivestono la gente con le penne del pavone, fino all’ultimo momento si aspettano il bene e non il male, e anche se intuiscono il rovescio della medaglia, per niente al mondo vogliono parlarne chiaramente in anticipo; il solo pensiero le fa inorridire; respingono la verità con tutt’e due le mani, fino all’istante in cui l’individuo che hanno portato alle stelle non le menerà definitivamente per il naso. Sarei curioso di sapere se il signor Lùzin ha qualche onorificenza; scommetto la testa che almeno l’ordine di Sant’Anna ce l’ha all’occhiello, e se lo mette per andare a pranzo con gli appaltatori e con i mercanti. Magari se lo metterà anche il giorno delle nozze! Comunque sia, vada al diavolo!…

F. M. Dostoevskij, Delitto e castigo, Cap. IV

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