Perché lui, Vidme, un uomo sui trent’anni, ma con già qualche capello grigio, ritiene di avere scoperto qualcosa d’importante che gli cambierà la vita, ha capito che si è addentrato in qualcosa d’importante attraverso la sua attività di scrittore, qualcosa con cui deve fare i conti se vuole continuare con la sua vita, e per questo Vidme cammina nella pioggia e nel vento pensando che già molti anni di lavoro come scrittore gli hanno man mano insegnato qualcosa di importante, qualcosa di cui pochi sono a conoscenza, lui ha visto qualcosa che non così tanti hanno visto, pensa Vidme, mentre cammina nella pioggia e nel vento, infatti, se uno si concentra abbastanza, lavora con sufficiente profondità e concentrazione, a capofitto in qualcosa, se uno vuole, se solo arriva dentro abbastanza, se s’immerge abbastanza, arriva a vedere qualcosa che gli altri non hanno visto e quello che lui lì ha visto, pensa Vidme, mentre cammina nella pioggia e nel vento, è la cosa più importante che ha ricavato dai tanti anni in cui praticamente ogni santo giorno ha scritto. Vidme crede che il suo lavoro di scrittore lo abbia condotto nelle profondità più recondite di qualcosa che lui in momenti improvvisi, istanti felici di lucidità, è arrivato a considerare come un lampo di divino, ma sia il lampo sia il divino sono espressioni che a Vidme non possono piacere, se non avesse disprezzato così tanto queste espressioni avrebbe potuto dire che in singoli istanti illuminati ha avuto un’esperienza che non può negare, un’esperienza che può anche sembrare ridicola, è ridicola, sia per Vidme, sia per la maggioranza della gente, però in alcuni istanti di grazia, se solo potesse fare uso di questa espressione, Vidme, uno scrittore fallito quanto basta, invecchiato presto, si è reso conto di essere stato in prossimità di ciò che con un’espressione che non si sarebbe mai immaginato di utilizzare non può chiamare altro che il divino.
J. Fosse, Melancholia, 252