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Oline nella latrina col pesce

e lei non può restare qui seduta sul bordo, dentro la casetta, perlomeno si sieda bene, pensa Oline, e no, mica può restare seduta così senza nemmeno tirare su le gonne, anche se Io sa che qualcosa di piccolo nelle mutande ormai ci è già arrivato, non può stare così lo stesso, pensa Oline, adesso deve prepararsi e sistemarsi come si deve sulla latrina, sì, ché mica può stare così seduta a guardare gli scarabocchi che ha fatto una volta Lars e quel pesce li che penzola e non dovrebbe stare lì appeso, bensì in cucina sul ripiano, senza le viscere e ben pulito in acqua fresca, e invece il pesce è lì appeso alla porta e poi gli occhioni di questo pesce! Oh come la fissano questi occhioni, rigidi e neri, senza luce la fissano gli occhi del pesce e riescono a vederla fino in fondo, sembrerebbe, pensa Oline, questi occhi di pesce le leggono l’anima dentro, fino in fondo, e nonostante ciò la loro espressione non muta, fissano uguale, vedono qualcosa, ma figurati se rivelano qualcosa di quello che vedono, no, in questo modo ti fissano, guardano e guardano, gli occhi di questo pesce, vedono, vedono e vedono, e cosa sarà mai quello che vedono? Fino in fondo, la sua anima? Cosa vedranno mai questi occhi di pesce in fondo alla sua anima? Ci vedono qualcosa? Potranno davvero vedere qualcosa giù, dentro la sua anima questi occhi di pesce? Ed è forse Lars che la guarda attraverso gli occhi del pesce senza farsi riconoscere? È Lars che da un luogo lontano lontano attraverso questi occhi di pesce neri e rigidi guarda verso di lei? Dentro di lei? Che vede nel suo profondo? Sempre che ce l’abbia un’intimità profonda? Ce l’ha un intimità profonda? O è solo esteriore quello che ha? Ma c’è davvero un’intimità dentro di lei?

J. Fosse, Melancholia, 389

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Una vecchina

E perché mi si bagnano gli occhi ora? Perché adesso ci sono le lacrime negli occhi di questa vecchia, come se fossi la più fragile delle ragazzine seduta qui, senza riuscire a cavare niente dal mio corpo dolente, né di umido né di secco.

J. Fosse, Melancholia, 302

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I vecchi

quella falsa ingenuità così comune nei vecchi, la usano per fare e dire quello che gli passa per la testa senza che nessuno possa rimproverarli né prenderli troppo in considerazione, si fingono premorti per far sembrare che non costituiscono un pericolo e non hanno desideri e non sperano niente, mentre nessuno smette mai di stare nella vita finché ha coscienza e rimescola ricordi, anzi, sono i ricordi che rendono ogni vivo pericoloso e sempre in attesa, è impossibile non collocare e ridurre i ricordi al futuro, vale a dire, non individuarli soltanto nell’avere perduto ma anche nel dare e in quello che sta per venire, vi sono cose che non si riesce a credere che non debbano ripetersi, quello che è stato una volta non si può escludere che torni a essere, se si avesse la certezza di aver fatto l’amore per l’ultima volta si porrebbe fine alla propria coscienza e al proprio ricordo e ci si suiciderebbe.

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 133

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Una lunga scia

Primavera ed estate, autunno e inverno e primavera,
a uno a uno passando, davanti alla mia finestra passando,
per tanti anni giacqui guardandoli passare e contando
gli anni, finché un terrore mi strinse il cuore sovente, l’idea che fossi diventata eterna: infine
raggiunsi i cent’anni! E giacevo tuttora
ascoltando il ticchettio del pendolo e il muggito del bestiame
e lo stridio di una ghiandaia in volo attraverso foglie cadenti!
Un giorno dopo l’altro, sola nella stanza
di una nuora afferrata dagli anni e canuta.
E di notte, o guardando dalla finestra il giorno,
il mio pensiero ritornava, pareva, per un tempo infinito,
alla Carolina del Nord e ai miei anni di ragazza,
e a John, al mio John che era in guerra contro gli Inglesi,
e tutti i bimbi, tutte le morti, e i dolori.
E quella distesa di tempi come una prateria dell’Illinois
su cui grandi figure passavano come precipiti cavalieri,
Washington, Jefferson, Jackson, Webster e Clay.
O bella repubblica giovane per cui John e io
demmo tutta la nostra forza e il nostro amore!
e o mio John!
perché, quando giacqui inchiodata in un letto per anni,
pregando che tu venissi, la tua venuta tardò?
Visto che con un grido d’amore, come quello in cui ruppi
quando tu mi trovasti nella vecchia Virginia dopo la guerra,
piansi quando ti vidi nel letto,
mentre il sole a occidente sempre più indeboliva e scendeva
nel tuo viso di luce!

E. Lee-Masters, Rebecca Wasson

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Discrezione

Prima o poi se ne scordano, niente dura, questa è l’unica forma di discrezione che rimane, che tutto passa in fretta.

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 76

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Le memorie

Restiamo qui presso — noi, le memorie;
e ci copriamo gli occhi perché abbiamo paura di leggere:
«17 giugno 1884, di 21 anni e 3 giorni ».
E tutte le cose son mutate.
E noi — noi, le memorie, ce ne stiamo qui sole,
perché nessun occhio ci vede, né saprebbe perché siamo qui.
Tuo marito è morto, tua sorella vive lontano, tuo padre è incurvato dagli anni;
ti ha dimenticato, di rado lascia la casa ormai.
Nessuno ricorda il tuo volto squisito,
la tua dolcissima voce!
Come cantavi, persino il mattino che fosti colpita,
con acuta dolcezza, con dolore palpitante,
prima della nascita del figlio che morì con te.
Tutto è dimenticato, tranne da noi, le memorie,
che siamo dimenticate dal mondo.
Tutto è mutato, tranne il fiume e la collina…
No, sono mutati anch’essi.
Soltanto il sole scottante e le stelle silenziose sono le stesse.
E noi — noi, le memorie, restiamo qui timorose, con gli occhi chiusi dalla stanchezza di piangere — nell’infinita stanchezza!

E. Lee-Masters, Edith Conant

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Dentro il poeta

Non so, né alcuno sa come
la tua voce risuona nel mio canto,
dentro il poeta tu sei poeta.

R. Tagore, da Immagine

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Una certa ora ad Algeri

Poi tutto è andato molto velocemente. L’udienza è stata tolta. Uscendo dal palazzo di giustizia per salire nella vettura, ho riconosciuto per un breve istante il profumo e il colore della sera d’estate. Nell’oscurità della mia prigione semovente ho ritrovato a uno a uno, come dal fondo della mia stanchezza, tutti i rumori familiari di una città che amavo e di una certa ora in cui mi avveniva di sentirmi contento. Il grido dei giornali nell’aria già calma, gli ultimi uccelli nel piazzale, il richiamo dei venditori di sandwiches, il lamento dei tram nelle svolte delle vie alte, quella sonorità del cielo prima che la notte si appesantisca sul porto, tutto questo ricomponeva per me un itinerario da cieco, che conoscevo bene prima di entrare in prigione. Sì, era questa l’ora in cui, tanto tempo fa, mi sentivo contento. Quello che mi aspettava, allora, era sempre un sonno leggero e senza sogni. Eppure qualcosa era cambiato perché con l’attesa dell’indomani era la mia cella che ritrovavo. Come se le vie familiari tracciate nei cieli d’estate potessero condurre tanto alle prigioni che ai sogni innocenti.

A. Camus, Lo straniero, parte II, 3

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Memorie

Come mi angoscia pensare allo sfolgorio delle tue gambe
distese come ferme e dure acque solari,
alla rondine che dorme e vola nei tuoi occhi,
al cane di furia che alberghi nel cuore,
così vedo anche quanta morte c’è tra noi due da quest’ora
e respiro nell’aria cenere e distruzione,
il lungo, solitario spazio che mi circonda per sempre.

Darei questo vento del mare smisurato per il tuo brusco respiro,
che ho udito in lunghe notti senza oblio
congiungersi all’aria come la sferza al cavallo.
E per udirti orinare, nel buio, dal fondo della casa,
come versassi un miele sottile, tremulo, argentino, ostinato,
quante volte darei questo coro d’ombre che è mio,
e il rumore d’inutili spade che mi sferraglia nel petto
e la solitaria colomba di sangue che sta sulla mia fronte
a invocare cose scomparse, esseri scomparsi,
sostanze stranamente inseparabili e perdute.

P. Neruda, da Tango del vedovo

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La dimenticanza

Forse ti ho dimenticata?
Tu hai preso posto nella vita,
ecco la dimenticanza!
Perché distratto nel cammino non m’accorgo:
ho dimenticato i fiori,
ho dimenticato le stelle?
Essi fanno dolce
il respiro dell’anima,
nel vuoto della dimenticanza
fanno sentire la loro voce.
Dimenticanza che non è dimenticanza!
Nel centro della dimenticanza
hai fatto sussultare il mio spirito.
Tu non sei davanti agli occhi:
hai preso posto dentro le mie pupille.
Per questo oggi
sei verde sulla terra
e azzurra in cielo.
Il mio essere ha scoperto
in te un’intima unione.

R. Tagore, da Immagine

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