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Vivendo

Dall’ampia ansia dell’alba
Svelata alberatura.

Dolorosi risvegli.

Foglie, sorelle foglie,
Vi ascolto nel lamento.

Autunni,
Moribonde dolcezze.

O gioventù,
Passata è appena l’ora del distacco.

Cieli alti della gioventù,
Libero slancio.

E già sono deserto.

Perso in questa curva malinconia.

Ma la notte sperde le lontananze

Oceanici silenzi,
Astrali nidi d’illusione.

O notte.

G. Ungaretti, O notte

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Oline nella latrina col pesce

e lei non può restare qui seduta sul bordo, dentro la casetta, perlomeno si sieda bene, pensa Oline, e no, mica può restare seduta così senza nemmeno tirare su le gonne, anche se Io sa che qualcosa di piccolo nelle mutande ormai ci è già arrivato, non può stare così lo stesso, pensa Oline, adesso deve prepararsi e sistemarsi come si deve sulla latrina, sì, ché mica può stare così seduta a guardare gli scarabocchi che ha fatto una volta Lars e quel pesce li che penzola e non dovrebbe stare lì appeso, bensì in cucina sul ripiano, senza le viscere e ben pulito in acqua fresca, e invece il pesce è lì appeso alla porta e poi gli occhioni di questo pesce! Oh come la fissano questi occhioni, rigidi e neri, senza luce la fissano gli occhi del pesce e riescono a vederla fino in fondo, sembrerebbe, pensa Oline, questi occhi di pesce le leggono l’anima dentro, fino in fondo, e nonostante ciò la loro espressione non muta, fissano uguale, vedono qualcosa, ma figurati se rivelano qualcosa di quello che vedono, no, in questo modo ti fissano, guardano e guardano, gli occhi di questo pesce, vedono, vedono e vedono, e cosa sarà mai quello che vedono? Fino in fondo, la sua anima? Cosa vedranno mai questi occhi di pesce in fondo alla sua anima? Ci vedono qualcosa? Potranno davvero vedere qualcosa giù, dentro la sua anima questi occhi di pesce? Ed è forse Lars che la guarda attraverso gli occhi del pesce senza farsi riconoscere? È Lars che da un luogo lontano lontano attraverso questi occhi di pesce neri e rigidi guarda verso di lei? Dentro di lei? Che vede nel suo profondo? Sempre che ce l’abbia un’intimità profonda? Ce l’ha un intimità profonda? O è solo esteriore quello che ha? Ma c’è davvero un’intimità dentro di lei?

J. Fosse, Melancholia, 389

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Una vecchina

E perché mi si bagnano gli occhi ora? Perché adesso ci sono le lacrime negli occhi di questa vecchia, come se fossi la più fragile delle ragazzine seduta qui, senza riuscire a cavare niente dal mio corpo dolente, né di umido né di secco.

J. Fosse, Melancholia, 302

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Niente è mai veramente perduto

Niente è mai veramente perduto, o può essere perduto,
Nessuna nascita, forma, identità – nessun oggetto del mondo.
Nessuna vita, nessuna forza, nessuna cosa visibile;
L’apparenza non deve ostacolare, né l’ambito mutato confonderti il cervello.
Vasto è il Tempo e lo Spazio, vasti i campi della Natura.
Il corpo, lento, freddo, vecchio — cenere e brace dei fuochi d’un tempo,
La luce velata degli occhi tornerà a splendere al momento giusto;
Il sole ora basso a occidente sorge costante per mattini e meriggi;
Alle zolle gelate sempre ritorna la legge invisibile della primavera,
Con l’erba e i fiori e i frutti estivi e il grano.

W. Whitman, da Sabbie a settant’anni

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Saggezza II

La saggezza, infatti, non dipende dagli anni, né dalla nostra fedeltà ai principi guida della nostra vita, ma da quella visione del mondo che nasce dalla consapevolezza che noi siamo irrimediabilmente mortali, per cui cinicamente potremmo dire che è opportuno, se si è giovani, dimenticare di esserlo (cosa che di solito riesce naturale), se si è vecchi dimenticare tutto, anche il fatto di essere stati giovani (cosa più difficile, ma anche di grande sollievo).

U. Galimberti, I miti del nostro tempo, cap. 3

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I nostri vecchi

E così, per essere accettati, i vecchi devono esprimere tutte queste virtù da cui sono dispensati i giovani: devono far tacere il desiderio sessuale che non si estingue con l’età, devono rinunciare ai contatti corporei che si addicono ai giovani, devono essere allegri ma con misura, devono partecipare alla vita familiare e sociale senza pretendere di essere ascoltati, devono essere autonomi e indipendenti, due modi per dire “soli”.

U. Galimberti, I miti del nostro tempo, cap. 3

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Invecchiare

A caratterizzare quest’età non è la tristezza, ma una noia sottile perché, per quante novità succedano, scopri che ognuna di esse altro non è che una nuova formulazione di qualcosa di già visto. E questa noia disaffeziona dal tempo a venire e ti rende più familiare e quasi amica la fine. Hai imparato che la saggezza, che di solito si attribuisce a chi ha una certa età, altro non è che la somma delle esperienze che hai fatto e che non puoi trasmettere, perché l’esperienza degli altri non serve a nessuno, tanto meno ai giovani che devono fare la propria. A questa età allora capisci che chi ti sta intorno non è lì per chiederti consigli o insegnamenti, ma ascolto. Un ascolto curioso e attento, soprattutto verso quel mondo tumultuoso e spesso incomprensibile che sprigiona la giovinezza.
Dal mondo esterno ti ritiri in quello interiore. Meno vacanze, meno viaggi, meno spettacoli del mondo, che ti offre sempre meno novità, perché sta diventando in ogni dove sempre più uniforme. E allora prendi a percorrere tutti i sentieri mai frequentati della tua anima, e scopri che il mondo altro non è mai stato che la tua visione, la tua interpretazione del mondo. In fon-do dal tuo Io non sei mai uscito. E la vecchiaia è un’ottima occasione per uscire da sé e, attraverso l’ascolto, scoprire i mondi degli altri di cui mai ti eri davvero incuriosito.
Le tue abitudini ti rassicurano e insieme ti incatenano. I tuoi gesti creativi ti appaiono per quel che sono: riprese di antiche e trascorse suggestioni. Solo l’amore ti rianima, non perché scopri una “giovinezza interiore”, che esiste solo nei complimenti di chi ti vuol comunicare che ormai sei vecchio, ma perché lo vedi scaturire proprio dalla tua età che, come ci ricorda Manlio Sgalambro, “non avendo più scopi, può capire finalmente cos’è l’amore fine a se stesso”.

U. Galimberti, I miti del nostro tempo, 3

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Le nuvole dall’erba

Il gracchiare di una cornacchia
e il canto esitante del tordo.
Il tinnire di un campano laggiú,
e la voce di un aratore sulla collina di Shipley.
La foresta di là dal frutteto è calma
della calma della mezza estate;
e lungo la strada chioccola un carro
carico di grano, che va ad Atterbury.
Un vecchio siede sotto un albero e dorme,
e una vecchia attraversa la strada,
di ritorno dal frutteto, con una secchia di more.
E un ragazzo giace nell’erba
accanto ai piedi del vecchio,
e guarda le nuvole veleggianti,
e desidera, desidera, desidera,
che cosa, non sa:
la virilità, la vita, il mondo ignoto!
Poi passarono trent’anni e il ragazzo ritornò spossato dalla vita
e trovò il frutteto svanito
e la foresta scomparsa
e la casa data via
e la strada coperta di polvere delle automobili
e se stesso desiderare la collina!

E. Lee-Masters, Jonathan Houghton

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L’Africa se ne va via

L’apparizione dei vecchi danzatori fu uno spettacolo raro e sublime. Saranno stati un centinaio. Giunsero tutti insieme: dovevano essersi raccolti prima in un posto vicino. I vecchi indigeni, sempre freddolosi, son di solito imbacuccati di pelli e coperte; ma quella volta erano nudi, come per affermare solennemente la formidabile verità. Si erano ornai e dipinti con discrezione, ma alcuni portavano, sul vecchio cranio calvo, le grandi acconciature di penne d’aquila dei giovani danzatori. Non avevano bisogno di ornamenti: la loro figura si imponeva da sola. Non cercavano, come le vecchie beltà delle sale da ballo europee, di darsi per forza un aspetto giovanile; anzi, per loro e per gli spettatori, il significato e l’importanza di quel tipo di Ngoma consiste proprio nella vecchiaia dei danzatori. Strane striature di gesso, come non ne avevo mai viste, percorrevano le membra deformate in tutta la loro lunghezza, quasi ad accentuare, con inflessibile sincerità, la curva delle ossa irrigidite e fragili sotto la pelle. I vecchi avanzavano lenti, a tempo, in una sorta di preludio, con dei movimenti tanto strani che mi chiesi a quale danza avrei mai assistito.
Guardandoli mi tornò in mente un’idea che già avevo avuto altre volte: non ero io ad andarmene, io non avevo il potere di lasciare l’Africa, ma era l’Africa che lentamente, gravemente si ritirava da me, come il mare nella bassa marea. Quelli che stavano passando in processione erano i miei forti e muscolosi giovani danzatori di ieri e di avantieri; avvizzivano sotto i miei occhi, e se ne andavano per sempre. Se ne andavano nel loro stile, gentilmente, con una danza; s’eran trovati bene con me, com’io con loro.

K. Blixen, Lamia Africa, parte IV, 5

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Ali e montagne

Quand’ero giovane, avevo ali forti e instancabili,
ma non conoscevo le montagne. Quando fui vecchio, conobbi le montagne
ma le ali stanche non tennero più dietro alla visione.
Il genio è saggezza e gioventù.

E. Lee-Masters, Antologia di Spoon River, Alexander Throckmorton

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