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Lo Svedese

Un bravo ragazzo, semplice e stoico. Non uno spiritosone. Non un passionale. Solo un uomo adorabile destinato a farsi fottere da pazzi scatenati. In un certo senso, lo si sarebbe potuto credere un uomo assolutamente banale e conformista. Un’assenza di valori negativi e nient’altro. Educato alla piattezza, costruito per il conformismo, eccetera eccetera. La vita ordinaria e decorosa che vogliono fare tutti, e nient’altro. L’adattamento sociale, e nient’altro. La bonarietà, e nient’altro. Mentre quello che cercava di fare era sopravvivere, mantenendo il gruppo intatto. Stava cercando di farcela col suo plotone intatto. Era una guerra, per lui in definitiva. C’era qualcosa di nobile in quell’uomo. Rinunce dolorose hanno caratterizzato la sua vita. E’ stato coinvolto in una guerra che non aveva cominciato, e si è battuto per tenere tutto insieme, e ci ha lasciato le penne.

P.Roth, Pastorale americana, pag. 71

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Normale: l’aggettivo subdolo

Ci furono uomini, alcuni, pochi, che si rifiutarono di uccidere dei civili. Non vennero fucilati per questo, non vennero degradati, non vennero nemmeno portati davanti a un tribunale militare. Alcuni, pochi, hanno detto di no, come documenta Browning nel suo libro, ma non erano gli uomini normali

U.Timm, Come mio fratello, 125

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L’inconscio

Quel minatore sotterraneo che lavora in tutti noi, come si può mai dire dove volga il suo pozzo, al rumore sempre cangiante e soffocato che fa il suo piccone? Chi non sente il braccio irresistibile trascinarlo? Quale battello rimorchiato da un settantaquattro può restarsene fermo? 

H.Melville, Moby Dick, XLI

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Ieri e oggi

Accendeva il fiammifero sfregandolo velocemente – e il suo modo di accendere la sigaretta, di spegnere il fiammifero, tutto succedeva senza sforzo, con movimenti eleganti e fluidi. Fumava tenendo la sigaretta fra il medio e l’indice, leggermente aperti. Al mignolo portava l’anello con il topazio bruciato. 
Era il suo orgoglio, lavorare in proprio. 
Un buon intrattenitore, ricercato e benvisto, stimolante e gradevole, questo era mio padre. 
Ma c’era anche l’altro padre, quello che la sera sedeva chino sui libri a fare i conti. Il sospirare, lo scuotere la testa, il muto torcersi le mani – sì, si sfregava lentamente le mani, le stropicciava come se potesse schiacciare, stritolare le preoccupazioni. L’angoscia sempre palpabile di mio padre, e anche di mia madre, di finire estromessi dalla vita borghese, l’angoscia dell’inconcepibile declassamento. Quella paura di perdere l’indipendenza, un’indipendenza che tuttavia era garantita sempre e solo dalle banche. 

U. Timm, Come mio fratello, 73

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Il desiderio del padre

Cosa sarebbe successo se. Una domanda assolutamente superflua e rivolta sempre anche a chi la fa, in che misura le cose gli sembrano mutabili, esposte all’intervento dell’agire razionale. Anche se mia madre non ha mai mosso un rimprovero a mio padre. Vale a dire che si era davvero arruolato volontariamente, non l’aveva convinto il padre. Ma non ce n’era stato bisogno. Era stata solo la realizzazione silenziosa di quel che il padre desiderava, in sintonia con la società.

U. Timm, Come mio fratello, 53

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Flask

Ma il terzo Emiro, vedendosi ora tutto solo sul cassero, sembra sollevato di un curioso impaccio, giacché, mandando da tutte le parti ogni sorta di furbeschi ammicchi e cavandosi a calci le scarpe, si abbandona a una feroce ma silenziosa raffica di danza proprio sulla testa del Gran Turco, e poi, scagliando con un abile colpo il berretto arriva nella coffa di mezzana per riporlo, se ne va folleggiando finché, almeno, resta visibile dalla coperta, e al contrario di tutte le altre processioni chiude il corteo con la musica. Ma prima di entrare nella porta della cabina sottostante si ferma, imbarca una faccia totalmente diversa e poi, il ribelle, il giocondo Flask entra al cospetto di re Achab nel personaggio di Abjectus, lo Schiavo.

H. Melville, Moby Dick, XXXIV

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Deriva

Per i bianchi che lavoravano nei porti e per i capitani delle navi lui era solo Jim — null’altro. Naturalmente aveva anche un cognome, ma faceva di tutto per evitare che fosse pronunciato. Questa corazza di riserbo, che in realtà presentava larghe crepe, non aveva lo scopo di proteggere una personalità, ma di nascondere un fatto. E quando questo filtrava egli lasciava improvvisamente il porto nel quale si trovava e andava in un altro — di solito più a est del precedente.

J. Conrad, Lord Jim, I

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Élite sul tram

La madre sedeva in un angolo presso il finestrino, voltava più che poteva il dorso al popolo del tram e guardava nella strada; i marciapiedi erano affollati di una viva moltitudine di lavoratori di ogni specie che tornavano alle loro case; il freddo sole di febbraio illuminava le loro facce arrossate dal vento diaccio sotto le falde usate dei cappelli scoloriti e deformi, e le loro persone chiuse nei pastrani inverditi dal tempo; era un solicello bianco e senza calore che si diffondeva generosamente su tutti quegli stracci quasi avesse voluto benedirli; una dopo l’altra sfilavano le brillanti botteghe con quelle scritte dipinte in rosso, in bianco o in blu sulle vetrine; le insegne luminose sospese ai cornicioni, grigie e spente, parevano delle larve incenerite; il tram avanzava lentamente, multicolore, volgare e pieno come un carosello, fremeva, tintinnava… Ogni tanto, sotto gli occhi della madre, con un rapido movimento, il cofano lucido e oblungo di una automobile avanzava, si fermava quasi cercando un varco coi suoi grossi fanali, balzava avanti… ella vedeva dietro una lastra di vetro, fermo al suo posto, con le mani guantate posate sul volante, un autista tutto vestito di cuoio e poi, adagiato sopra i cuscini di pelle, soddisfattissimo, con l’occhio semiaperto abbassato sulla folla, un personaggio panciuto, oppure, avvolta nelle sue gonfie pellicce, qualche signora dal volto delicato e dipinto… Allora, senza volerlo, la madre sospirava: ella non avrebbe potuto mai passare tra la folla malvestita in un’imponente e poderosa macchina, i suoi anni erano svaniti, la sua giovinezza si era dileguata nella lucida automobile dei suoi sogni; a poco a poco le figure della sua invidia, quei personaggi effimeri passati via con la rapidità delle frecce nei loro carri rombanti si erano allontanati anche dalla sua fantasia e dalla sua speranza, rassegnata ella continuava il suo cammino, non senza una specie di disgustata dignità, in quel colorato carrozzone di ferro e di vetro.

A. Moravia, Gli indifferenti, 182

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La buona educazione

È meglio allora procurare al bambino una « buona » educazione capace innanzi tutto di permettergli una rispettabile « carriera » professionale. Gli insegnano a « servire », in altri termini gli insegnano la servitù nei confronti delle strutture gerarchiche di dominanza. Gli fanno credere che agisce per il bene della comunità, una comunità istituzionalizzata gerarchicamente che lo ricompensa di ogni sforzo compiuto verso la servitù all’istituzione. La servitù diventa allora gratificante. L’individuo è convinto della propria dedizione, del proprio altruismo mentre agisce solo per il proprio appagamento, un appagamento però deformato dal fatto di aver assimilato i dettami della sociocultura.

H. Laborit, Elogio della fuga, 58

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Notte

Tutto si è esteso, si è attenuato, si è confuso.
Fischi di treni partiti.
Ecco appare, non essendoci più testimoni,
anche il mio vero viso, stanco e deluso.

G. Ungaretti, da Paesaggio

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