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Nella luce di Epicuro

Tu scorgesti per primo in questo buio profondo 
quella traccia di luce che indicava la strada: 
voglio seguirti ancora, grande gloria dei Greci, 
procedendo nell’orma che il tuo piede ha lasciato. 
Io non posso emularti, ma l’amore mi spinge 
solamente a imitarti: come vuoi che un rondone 
si paragoni ad un cigno? E potrebbe un capretto 
dalle zampe tremanti atteggiarsi a destriero? 
Tu ci hai anche lasciato, con i tuoi insegnamenti, 
molti saggi precetti: ora io voglio volare 
sopra i tuoi scritti, Maestro, come fanno le api 
sui bei fiori dei prati, per estrarne una scienza 
che é preziosa per noi e che credo sia eterna. 
Da quando, per il tuo genio, noi potemmo scoprire 
la natura reale di ogni cosa che esiste 
il terrore è svanito, le mura sono crollate, 
noi possiamo scrutare questo immenso universo. 
Vediamo anche gli déi, nelle loro dimore 
che resistono al vento e le nubi non scuotono 
con i loro piovaschi, né la gelida neve 
le ricopre di bianco: un cielo sempre sereno 
le sovrasta e rallegra con un roseo chiarore. 
La natura provvede a tutto quello che occorre, 
niente riesce a turbare quella pace divina: 
lì non ci si tormenta per il nero Acheronte 
né la terra impedisce di guardare al di sotto 
ciò che vive e si compie nello spazio infinito. 
Tutto questo mi dona una gioia profonda 
e dolcemente io tremo quando, grazie al tuo genio, 
posso anch’io riconoscere la natura di tutto. 

Lucrezio, de rerum natura, III,1

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Risvegli

Tutti sono prescelti se, invece di domandarsi: “Che cosa sto facendo qui?”, decidono di fare qualcosa che risvegli nel cuore l’entusiasmo. È nel lavoro fatto con entusiasmo che stanno le porte del Paradiso, l’Amore che trasforma, la Scelta che ci conduce a Dio. È questo entusiasmo che ci mette in contatto con lo Spirito Santo, e non le centinaia, le migliaia di letture dei testi classici. E la voglia di credere che la vita sia un miracolo a far sì che i miracoli avvengono, e non i cosiddetti “rituali segreti” o gli “ordini iniziatici”. Insomma, è la decisione dell’uomo di compiere il proprio destino che gli consente di essere veramente un uomo – e non le teorie che egli elabora intorno al mistero dell’esistenza.

P. Coelho, Il cammino di Santiago, prefazione

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Senza nemmeno un rimpianto

La terra ti suscita
vibrazioni nel cuore: sei tu.
E se la gente sa che sai suonare,
suonare ti tocca, per tutta la vita.
Che cosa vedi, una messe di trifoglio?
O un largo prato tra te e il fiume?
Nella meliga è il vento: ti freghi le mani
perché i buoi saran pronti al mercato;
o ti accade di udire un fruscio di gonnelle
come al Boschetto quando ballano le ragazze.
Per Cooney Potter una pila di polvere
o un vortice di foglie volevan dire siccità;
a me pareva fosse Sammv Testa-rossa
quando fa il passo sul motivo di Toor-a-Loor.
Come potevo coltivare le mie terre,
— non parliamo di ingrandirle —
con la ridda di corni, fagotti e ottavini
che cornacchie e pettirossi mi muovevano in testa,
e il cigolio di un molino a vento — solo questo?
Mai una volta diedi mani all’aratro,
che qualcuno non si fermasse nella strada
e mi chiamasse per un ballo o una merenda.
Finii con le stesse terre,
finii con un violino spaccato —
e un ridere rauco e ricordi,
e nemmeno un rimpianto.

E. Lee-Masters, Il suonatore Jones

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Francisco Serrão

Per anni e anni, nuovo Odisseo dimentico della sua Itaca, Francisco Serrão rimane fra le braccia della sua Calipso dalla pelle scura, e nessun angelo dell’ambizione viene a cacciarlo da quel paradiso del dolce far niente. Questo volontario Robinson, primo fuoriuscito dalla civiltà, non lascerà più fino alla morte, cioè per nove anni, le Isole della Sonda. Fra i conquistatori e i capitanos dell’epica età portoghese non è certo il più eroico, ma probabilmente è il più furbo e anche il più felice.

S. Zweig, Magellano, II

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Ebbrezze

Per molti di noi, in verità, la vita è la ricerca di una condizione stabilmente piacevole. È meraviglioso fare esperienza delle ebbrezze, e dovremmo fare l’esperienza di tutte quelle che possiamo incontrare. Costruite su queste vostre ebbrezze, fatene sempre più l’esperienza in termini di potenziale, e allora anche le depressioni diventeranno semplicemente ebbrezze meno forti, e sarà più facile accettarle e lasciarle andare!

L. Byscaglia, Vivere amare capirsi, cap. 4

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La lezione più importante

Com’è a buon prezzo la salute! com’è a buon prezzo la nobiltà!
Astinenza, non falsità, non ingordigia e lussuria;
Io canto l’aria aperta, la libertà, la tolleranza,
(Prendete qui la lezione più importante — meno dai libri — meno dalle scuole),
Il giorno e la notte comuni — la terra e le acque comuni,
I vostri campi — il vostro lavoro, commercio, occupazione,
E sotto, la saggezza democratica, come solida base di tutto.

W. Whitman, da Il luogo comune

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Poesie

Nella gioia del volo l’uccello,
qua e là, nel vuoto,
va scrivendo parole
senza alfabeto.
Quando la mente vola
si risveglia la mia voce,
la penna descrive
la gioia delle ali.

R. Tagore, da Sfulingo

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Felice

Questa volta lasciate
che sia felice,
non è successo nulla a nessuno,
non sono da nessuna parte,
succede solo
che sono felice
fino all’ultimo profondo angolino
del cuore, camminando,
dormendo o scrivendo.
Che posso farci, sono
felice.
Sono più sterminato
dell’erba
nelle praterie,
sento la pelle come un albero raggrinzito,
e l’acqua sotto,
gli uccelli in cima,
il mare come un anello
intorno alla mia vita,
fatta di pane e pietra la terra
l’aria canta come una chitarra.

Tu al mio fianco sulla sabbia
sei sabbia
tu canti e sei canto,
il mondo
è oggi la mia anima
canto e sabbia,
il mondo
è oggi la tua bocca,
lasciatemi
sulla tua bocca e sulla sabbia
essere felice,
essere felice perché sì, perché respiro
e perché respiri,
essere felice perché tocco
il tuo ginocchio
ed è come se toccassi
la pelle azzurra del cielo
e la sua freschezza.

Oggi lasciate
che sia felice,
io e basta,
con o senza tutti,
essere felice
con l’erba
e la sabbia,
essere felice
con l’aria e la terra,
essere felice
con te, con la tua bocca,
essere felice.

P. Neruda, Ode al giorno felice

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Sulla spiaggia di Paumanok

A Paumanok, un tempo,
Quando l’odore dei lillà era nell’aria e l’erba del Quinto-mese cresceva,
In un roveto, su questa riva marina,
Due ospiti pennuti dell’Alabama, una coppia,
E il loro nido, e quattro uova verdoline macchiate di bruno,
E il maschio ogni giorno su e giù vicinissimo,
E la femmina a covare ogni giorno, silenziosa, con gli occhietti brillanti,
E un ragazzino curioso, mai troppo vicino, mai disturbandoli,
Cauto osservava, assorbiva e traduceva.

Splendi! Splendi!
Versa giù il tuo calore, grande sole,
Mentre noi ci scaldiamo, noi due insieme.

Due insieme!
Soffino i venti da sud, soffino i venti da nord,
Sia chiaro il giorno o scura la notte,
Qui, o fiumi e monti lontano dal nido,
Sempre cantando, incuranti del tempo,
Finché saremo insieme.

Ma d’improvviso,
Forse uccisa, ignaro il suo compagno,
Un mattino la femmina non covò più nel nido,
Né ritornò quel pomeriggio, né ritornò il seguente.
Né riapparve mai più.

Da allora per tutta l’estate nel fragore del mare,
Sotto la luna piena, di notte, nell’aria più calma,
Sopra il rauco gonfiarsi delle onde,
O di giorno, svolazzante di roveto in roveto,
Ogni tanto lo vedevo e lo udivo il solitario ospite
Dell’Alabama, il vedovo uccello.

Soffiate! Soffiate!
Soffiate venti del mare lungo la spiaggia di Paurnanok;
Io sto qui ad aspettare, aspetto che soffiate verso di me la mia compagna.

Così, quando le stelle brillavano, Tutta la notte in cima a un palo screziato di muschio,
Quasi in mezzo alle onde schiaffeggianti,
Stava il cantore solitario, suscitando lacrime di meraviglia.

Chiamava la compagna,
Dando libero sfogo a quei significati che io solo conosco.

Sì, fratello mio, io li conosco,
Gli altri uomini no, ma io ho fatto tesoro d’ogni nota,
Poiché più volte, scivolando furtivo sulla spiaggia,
Silenzioso, evitando la luce della luna, fondendomi con le ombre,
Ne rammento le oscure forme, gli echi, i rumori e i sospiri a modo loro,
Le bianche braccia che si agitavano instancabili nei frangenti,
lo, un bambino, a piedi nudi, i capelli mossi dal vento,
A lungo, a lungo ascoltavo.
Ascoltavo per ricordare, per cantare, ora, traducendo le note, Seguendo te, fratello.

Pace! pace! pace!
L’onda che sopravviene calma l’onda che preme,
E un’altra dietro l’abbraccia e l’accarezza,
Non mi dà pace il mio amore, non a me, non a me.

Bassa pende la luna, sorta tardi,
S’attarda — oh, credo oppressa dall’amore, dall’amore.

Folle il mare si getta sulla terra, Con amore, con amore.

Oh notte, non è il mio amore che vedo sbattere le ali tra i frangenti?
Cos’è la piccola macchia nera che là nel bianco intravedo?

Forte! forte! forte!
Forte ti chiamo, amore mio,

Alta e chiara è la mia voce sulle onde,
Certo tu sai chi è qui, chi è qui, Amore, sai chi sono io.

Luna bassa sull’orizzonte,
Cos’è quel punto scuro sul tuo giallo pallore?
Oh, è la forma della mia compagna!
Oh luna non tenermela più a lungo lontana.

Terra, oh terra!
Dove mi volto penso che potresti ridarmela, solo che lo volessi,
Perché dovunque guardo sono quasi sicuro di vederla.

Stelle che ora sorgete,
Forse chi tanto desidero sorgerà con qualcuna di voi.

Oh gola, gola tremante!
Risuona più limpida nell’aria!
Penetra i boschi, la terra,
Da qualche parte dev’essere in ascolto quella che tanto mi manca.

Svegliatevi, canti!
Qui nella solitudine, carole della notte!
Carole dell’amore solitario! Carole di morte!
Carole sotto la luna che lenta e gialla declina!
Oh, sotto quella luna che quasi affonda nel mare,
Incaute, disperate carole.

Ma piano! a bassa voce!
Che sia appena un sussurro!
E tu, mare rauco, arrèstati un momento,
Perché mi sembra di sentire la mia compagna rispondere,
Ma così debolmente, devo star zitto, star zitto e starmene in ascolto,
Ma non zitto del tutto, ché potrebbe non correre da me immediatamente.

Qui, amor mio!
Sono qui! qui!
Con questa nota appena sostenuta mi annunzio a te,
Questo dolce richiamo è per te, amore, per te.

Non farti distrarre in altri luoghi, Quella non è la mia voce, è il fischio del vento,
Quel frullìo è il frullìo degli spruzzi,
Quelle ombre, le ombre delle foglie.

Oh buio! oh vani sforzi!
Sto tanto male e sono colmo d’angoscia.

Oscuro alone nel cielo presso la luna china sul mare!
Riflesso inquieto sull’acqua!
Oh gola! oh cuore palpitante!
Tutta la notte canto inutilmente, inutilmente.

Oh passato! vita felice! canti di gioia
Nell’aria, nei boschi, sopra i campi,
Amata! amata! amata! amata! amata!
Ma non è più con me la mia compagna!
Non più insieme noi due, non più.

La melodia svaniva,
Tutto continuava, il luccicchio delle stelle,
Il soffiare dei venti, le assidue note degli uccelli,
Con gemiti rabbiosi senza requie gemeva l’antica madre selvaggia,
Sulla spiaggia di Paumanok grigia e frusciante,
La mezzaluna gialla, grande, pendula, bassa, quasi toccando la faccia del mare,
Il ragazzino estatico, coi piedi nudi tra le onde, i capelli che l’aria scompigliava,
L’amore a lungo represso, liberato, tumultuosamente prorompente,
Il senso della melodia che nelle orecchie, nell’anima, rapidamente si depositava,
Le strane lacrime scorrenti sulle guance,
Il dialogo, il trio, ciascuna voce esprimendosi,
Il sottofondo, l’antica madre selvaggia che urlava incessante,
Scandendo il tempo cupamente sulle domande dell’anima fanciulla, qualche segreto sommerso sibilando
Al bardo che nasceva.

W. Whitman, da Relitti marini

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Il pane della nostra vita

Io ti do questo giorno
con tutto quel che potrà portare:
le uve trasparenti di zaffiro
e la ventata rotta
che porta alla tua finestra
le sofferenze del mondo.
Io ti do tutto il giorno.
Con lo splendore e la sofferenza faremo
il pane della nostra vita,
senza rifiutare quanto porterà il vento
e non coglieremo solo la luce del cielo
ma anche le aspre cifre
dell’ombra sulla terra.

P. Neruda, da Un giorno

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