A Paumanok, un tempo,
Quando l’odore dei lillà era nell’aria e l’erba del Quinto-mese cresceva,
In un roveto, su questa riva marina,
Due ospiti pennuti dell’Alabama, una coppia,
E il loro nido, e quattro uova verdoline macchiate di bruno,
E il maschio ogni giorno su e giù vicinissimo,
E la femmina a covare ogni giorno, silenziosa, con gli occhietti brillanti,
E un ragazzino curioso, mai troppo vicino, mai disturbandoli,
Cauto osservava, assorbiva e traduceva.
Splendi! Splendi!
Versa giù il tuo calore, grande sole,
Mentre noi ci scaldiamo, noi due insieme.
Due insieme!
Soffino i venti da sud, soffino i venti da nord,
Sia chiaro il giorno o scura la notte,
Qui, o fiumi e monti lontano dal nido,
Sempre cantando, incuranti del tempo,
Finché saremo insieme.
Ma d’improvviso,
Forse uccisa, ignaro il suo compagno,
Un mattino la femmina non covò più nel nido,
Né ritornò quel pomeriggio, né ritornò il seguente.
Né riapparve mai più.
Da allora per tutta l’estate nel fragore del mare,
Sotto la luna piena, di notte, nell’aria più calma,
Sopra il rauco gonfiarsi delle onde,
O di giorno, svolazzante di roveto in roveto,
Ogni tanto lo vedevo e lo udivo il solitario ospite
Dell’Alabama, il vedovo uccello.
Soffiate! Soffiate!
Soffiate venti del mare lungo la spiaggia di Paurnanok;
Io sto qui ad aspettare, aspetto che soffiate verso di me la mia compagna.
Così, quando le stelle brillavano, Tutta la notte in cima a un palo screziato di muschio,
Quasi in mezzo alle onde schiaffeggianti,
Stava il cantore solitario, suscitando lacrime di meraviglia.
Chiamava la compagna,
Dando libero sfogo a quei significati che io solo conosco.
Sì, fratello mio, io li conosco,
Gli altri uomini no, ma io ho fatto tesoro d’ogni nota,
Poiché più volte, scivolando furtivo sulla spiaggia,
Silenzioso, evitando la luce della luna, fondendomi con le ombre,
Ne rammento le oscure forme, gli echi, i rumori e i sospiri a modo loro,
Le bianche braccia che si agitavano instancabili nei frangenti,
lo, un bambino, a piedi nudi, i capelli mossi dal vento,
A lungo, a lungo ascoltavo.
Ascoltavo per ricordare, per cantare, ora, traducendo le note, Seguendo te, fratello.
Pace! pace! pace!
L’onda che sopravviene calma l’onda che preme,
E un’altra dietro l’abbraccia e l’accarezza,
Non mi dà pace il mio amore, non a me, non a me.
Bassa pende la luna, sorta tardi,
S’attarda — oh, credo oppressa dall’amore, dall’amore.
Folle il mare si getta sulla terra, Con amore, con amore.
Oh notte, non è il mio amore che vedo sbattere le ali tra i frangenti?
Cos’è la piccola macchia nera che là nel bianco intravedo?
Forte! forte! forte!
Forte ti chiamo, amore mio,
Alta e chiara è la mia voce sulle onde,
Certo tu sai chi è qui, chi è qui, Amore, sai chi sono io.
Luna bassa sull’orizzonte,
Cos’è quel punto scuro sul tuo giallo pallore?
Oh, è la forma della mia compagna!
Oh luna non tenermela più a lungo lontana.
Terra, oh terra!
Dove mi volto penso che potresti ridarmela, solo che lo volessi,
Perché dovunque guardo sono quasi sicuro di vederla.
Stelle che ora sorgete,
Forse chi tanto desidero sorgerà con qualcuna di voi.
Oh gola, gola tremante!
Risuona più limpida nell’aria!
Penetra i boschi, la terra,
Da qualche parte dev’essere in ascolto quella che tanto mi manca.
Svegliatevi, canti!
Qui nella solitudine, carole della notte!
Carole dell’amore solitario! Carole di morte!
Carole sotto la luna che lenta e gialla declina!
Oh, sotto quella luna che quasi affonda nel mare,
Incaute, disperate carole.
Ma piano! a bassa voce!
Che sia appena un sussurro!
E tu, mare rauco, arrèstati un momento,
Perché mi sembra di sentire la mia compagna rispondere,
Ma così debolmente, devo star zitto, star zitto e starmene in ascolto,
Ma non zitto del tutto, ché potrebbe non correre da me immediatamente.
Qui, amor mio!
Sono qui! qui!
Con questa nota appena sostenuta mi annunzio a te,
Questo dolce richiamo è per te, amore, per te.
Non farti distrarre in altri luoghi, Quella non è la mia voce, è il fischio del vento,
Quel frullìo è il frullìo degli spruzzi,
Quelle ombre, le ombre delle foglie.
Oh buio! oh vani sforzi!
Sto tanto male e sono colmo d’angoscia.
Oscuro alone nel cielo presso la luna china sul mare!
Riflesso inquieto sull’acqua!
Oh gola! oh cuore palpitante!
Tutta la notte canto inutilmente, inutilmente.
Oh passato! vita felice! canti di gioia
Nell’aria, nei boschi, sopra i campi,
Amata! amata! amata! amata! amata!
Ma non è più con me la mia compagna!
Non più insieme noi due, non più.
La melodia svaniva,
Tutto continuava, il luccicchio delle stelle,
Il soffiare dei venti, le assidue note degli uccelli,
Con gemiti rabbiosi senza requie gemeva l’antica madre selvaggia,
Sulla spiaggia di Paumanok grigia e frusciante,
La mezzaluna gialla, grande, pendula, bassa, quasi toccando la faccia del mare,
Il ragazzino estatico, coi piedi nudi tra le onde, i capelli che l’aria scompigliava,
L’amore a lungo represso, liberato, tumultuosamente prorompente,
Il senso della melodia che nelle orecchie, nell’anima, rapidamente si depositava,
Le strane lacrime scorrenti sulle guance,
Il dialogo, il trio, ciascuna voce esprimendosi,
Il sottofondo, l’antica madre selvaggia che urlava incessante,
Scandendo il tempo cupamente sulle domande dell’anima fanciulla, qualche segreto sommerso sibilando
Al bardo che nasceva.
W. Whitman, da Relitti marini