Archivi tag: vergogna

Deriva

Per i bianchi che lavoravano nei porti e per i capitani delle navi lui era solo Jim — null’altro. Naturalmente aveva anche un cognome, ma faceva di tutto per evitare che fosse pronunciato. Questa corazza di riserbo, che in realtà presentava larghe crepe, non aveva lo scopo di proteggere una personalità, ma di nascondere un fatto. E quando questo filtrava egli lasciava improvvisamente il porto nel quale si trovava e andava in un altro — di solito più a est del precedente.

J. Conrad, Lord Jim, I

Lascia un commento

Archiviato in Letteratura

Vergogna

non l’atterrivano i disagi e le privazioni a cui andava incontro, ma invece il bruciore, il pensiero di come l’avrebbero trattata, di quel che avrebbero detto le persone di sua conoscenza, tutta gente ricca, stimata ed elegante; ella si vedeva, ecco… povera, sola, con quei due figli, senza amicizie ché tutti l’avrebbero abbandonata, senza divertimenti, balli, lumi, feste, conversazioni: oscurità completa, ignuda oscurità.

A. Moravia, Gli indifferenti, 23

Lascia un commento

Archiviato in Letteratura

Vergogna delle proprie radici

Ti detestai, Spoon River. Tentai d’innalzarmi al disopra di te.
Mi vergognai dite, Ti disprezzai
come luogo della mia nascita.
E là a Roma, in mezzo agli artisti,
parlando italiano, parlando francese,
mi parve talvolta di essermi liberato
di ogni traccia della mia origine.
Mi parve di raggiunger le vette dell’arte
e respirare l’aria che respiravano i maestri,
e vedere il mondo coi loro occhi.
Ma essi davano un’occhiata e dicevano:
« A che mirate, amico mio?
Qualche volta la faccia sembra quella di Apollo, altre volte ha un poco l’aria di Lincoln ».
Non c’era cultura, capite, a Spoon River,
e io bruciavo di vergogna e stavo zitto.
Ma che potevo fare, tutto intriso
e oppresso di terriccio occidentale,
se non aspirare, e chiedere di nascere
un’altra volta, e che tutta Spoon River
mi fosse strappata dall’anima?

E. Lee Masters, Archibald Higbie

Lascia un commento

Archiviato in Poesia

Il riso

E ora devo passare davanti al tavolo rotondo, davanti a tutti i pittori che siedono al tavolo rotondo parlando e ridendo, parlano di Hattarvåg, del quacchero, che Hattarvåg ha una fidanzata immaginaria, dicono, quello, Hattarvåg, dicono, e poi ridono e io devo passare davanti al tavolo rotondo, sta proprio accanto alla porta del Malkasten, e adesso devo ritrovare la mia cara Helene, infatti io da qualche parte ci devo pur stare, tutti insomma devono avere un posto dove stare e io attraverso il Malkasten e guardo il tavolo rotondo e ora i pittori che non sono capaci di dipingere si sono seduti di nuovo al tavolo rotondo, tutti i pittori che non sanno dipingere sono seduti al tavolo rotondo adesso e io non posso guardare il tavolo rotondo, devo solo camminare, tra le mie due valige, sul pavimento del Malkasten, con il mio maledetto vestito di velluto malva, che Hans Gabriel Buchholdt Sundt ha fatto cucire per me, con stoffa finissima, come disse lui, cammino verso la porta e devo ritrovare la mia cara Helene.

J. Fosse, Melancholia, 171

Lascia un commento

Archiviato in Letteratura, Psicologia

Rispettabilità

Essere uno sconosciuto, una persona di passaggio, solleva dal dovere che obbliga il sedentario a dare sempre di sé un’immagine rispettabile.

David Le Breton, Il mondo a piedi, pag. 41

Lascia un commento

Archiviato in Aforsimi

Discrezione

Prima o poi se ne scordano, niente dura, questa è l’unica forma di discrezione che rimane, che tutto passa in fretta.

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 76

Lascia un commento

Archiviato in Aforsimi, Letteratura

Cardenio

Ah pazzo ch’io sono! Ora che son lontano dal pericolo, dico che dovevo fare quel che non feci: ora che mi son lasciato rapire il mio tesoro, maledico il rapitore, di cui avrei potuto vendicarmi, se avessi avuto il coraggio per farlo, come ne ho per i miei lamenti. E poiché fui allora codardo e stolto, è giusto ch’io muoia ora svergognato, pentito e pazzo.

Cervantes, Don Chisciotte, XXVII

Lascia un commento

Archiviato in Letteratura

La cura di un’anima

Tu non comprendesti mai, o Sconosciuto,
perché abbia ripagato
la tua devota amicizia e i tuoi servigi delicati
dapprima con ringraziamenti via via piú rari,
poi col graduale sottrarmi alla tua presenza
in modo da non dovere esser costretto a ringraziarti,
e poi col silenzio che seguí alla nostra
separazione estrema.
Tu avevi curato la mia anima malata. Ma per curarla
conoscesti il mio male, penetrasti il mio segreto,
ed è perciò che fuggii da te.
Perché mentre, riemergendo da un dolore del corpo,
noi baciamo in eterno le vigili mani
che ci han dato l’assenzio, pur rabbrividendo
se pensiamo all’assenzio,
la cura di un’anima è tutt’altra cosa,
perché allora vorremmo cancellar dal ricordo
le parole tenere, gli occhi indaganti,
e restare per sempre dimentichi
non tanto del nostro dolore, quanto della mano che lo ha risanato.

E. Lee-Masters, Harlan Sewall

Lascia un commento

Archiviato in Poesia

Maschere nella tempesta

Vegetariano, non resistente, libero pensatore, cristiano in etica,
oratore dedito al falso ritmo di Ingersoll;
carnivoro, vendicatore, credente e pagano;
casto, libertino, mutevole, traditore, vano,
orgoglioso, dell’orgoglio che fa considerare la lotta una cosa da ridere;
col cuore roso dal verme della finta tragedia
e l’abito dell’indifferenza a nascondere la vergogna della sconfitta;
io, figlio dell’idealismo antischiavista,
una specie di Brand d’incerta origine,
che mai potevo fare quando difesi quei furfanti di patrioti che avevano incendiato il tribunale,
perché Spoon River ne avesse uno nuovo,
se non sostenere l’accusa? Quando Kinsey Keene trapassò la maschera di cartone della mia vita con una lancia di luce,
che cosa potevo fare se non fuggir via, come la bestia
che avevo allevato dal cucciolo che ero, a ringhiare in un canto?
La piramide della mia vita non fu che una duna,
sterile e informe, spazzata alla fine dalla tempesta.

E. Lee-Masters, Antologia di Spoon River, W. Lloyd Garrison Standard

Lascia un commento

Archiviato in Poesia

Penombre

E’ faticoso muoversi nell’ombra e spiare senza essere visto o cercando di non essere scoperto, come è faticoso tenere un segreto o conservare un mistero, che fatica la clandestinità e la permanente coscienza di come non tutti i nostri congiunti possono avere uguali conoscenze, a un amico si nasconde una cosa e a un altro un’altra diversa da quella che è nota al primo, si inventano per una donna storie complesse che poi bisogna ricordare per sempre nei dettagli come se si fossero vissute, con il rischio di farsi scoprire più tardi, e a un’altra donna più nuova si racconta la verità su tutto tranne su quelle cose innocue che ci provocano vergogna di noi stessi: che siamo capaci di passare ore guardando alla televisione partite di calcio o degradanti concorsi, che leggiamo fumetti mentre ormai siamo adulti o che ci getteremmo in terra per giocare a rimbalzino se solo avessimo con chi farlo, che andiamo matti per il gioco d’azzardo o ci piace un’attrice che ammettiamo essere odiosa e perfino offensiva, che abbiamo un carattere tremendo e fumiamo appena svegli e che fantastichiamo di una certa pratica sessuale che si considera aberrante e che non osiamo proporle. Non sempre si occulta per il proprio interesse o per paura o per aver commesso una vera mancanza, non sempre per difendersi, molte volte lo si fa per non dare un dispiacere o non guastare la festa e per non arrecare danno, altre volte per puro civismo, non è buona educazione né da persona civile farsi conoscere del tutto, figurarsi mostrare le manie e i vizi; a volte sono le origini ciò che si tace o si falsifica perché quasi tutti avremmo preferito un’ascendenza diversa in qualcuno dei nostri quattro quarti, la gente nasconde i genitori e i nonni e i fratelli, i mariti o le mogli e a volte perfino i figli più somiglianti o legati al coniuge, passa sotto silenzio alcune fasi della propria vita, rifugge dalla gioventù o dall’infanzia o dall’età matura, in ogni biografia c’è un episodio oltraggioso o desolato o sinistro, qualcosa o molto – o è tutto – che per gli altri è meglio che non esista, per se stessi è meglio dissimularlo. Ci vergognamo di troppe cose, del nostro aspetto e delle nostre convinzioni passate, della nostra ingenuità e della nostra ignoranza, della sottomissione o dell’orgoglio che abbiamo dimostrato una volta, della transigenza e della intransigenza, di tante cose proposte o dette senza convinzione, di esserci innamorati di chi ci siamo innamorati e di essere stati amici di chi lo siamo stati, le vite sono spesso tradimento e negazione continui di ciò che vi è stato prima, si sconvolge e si deforma tutto man mano che passa il tempo, e tuttavia continuiamo a essere coscienti, per quanto vogliamo ingannare noi stessi, che teniamo dei segreti e racchiudiamo in noi dei misteri, anche se la maggior parte di questi sono banali. Com’è  faticoso muoversi sempre nell’ombra o è anche più difficile nella penombra mai uniforme né uguale a sé stessa, con ogni persona sono alcune le zone illuminate e altre quelle tenebrose, cambiando a seconda della conoscenza e dei giorni e degli interlocutori e delle ambizioni, e ci diciamo costantemente: “Non sono più quello che è ero, ho voltato le spalle al mio vecchio io”. Come se fossimo giunti a crederci altri rispetto a quelli che credevamo di essere perché il caso e l’irragionevole passare del tempo mutano la nostra circostanza esterna e il nostro apparire.

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 172

Lascia un commento

Archiviato in Letteratura