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L’ufficiale dell’Avendale

Issò le pesanti palpebre. Le issò, vi dico —nessun’altra espressione può descrivere adeguatamente la calma lentezza di quel gesto — e finalmente mi rivelò per intero il suo sguardo. Mi trovai di fronte due cerchietti stretti e grigi, simili a due minuscoli anelli d’acciaio intorno alla nera profondità delle pupille. Quell’occhiata tagliente, unità a quel corpo massiccio, dava un’idea di estrema efficienza, come la lama affilatissima di un’ascia da combattimento. “Prego”, disse in tono molto formale. Alzò la destra e l’agitò portandola in avanti. “Mi consenta… Ho sostenuto che si può andare avanti sapendo benissimo che il coraggio non viene da solo (ne vient pas tout seul). In ciò non c’è nulla di sconvolgente. Una rivelazione in più non deve renderci la vita impossibile… Ma l’onore — l’onore, monsieur!… L’onore… questo è reale — davvero! E che cosa possa valere la vita, quando”… si levò in piedi con movimenti pesanti e vigorosi, come si sarebbe alzato un bue spaventato sdraiato sull’erba… “quando l’onore se n’è andato – ah ça! par exemple – di questo non posso dire nulla – perché – monsieur – non ne so nulla”.

J.Conrad, Lord Jim, XIII

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Sui nostri talenti

La nostra più grande paura non è nel sentirci inadeguati. La nostra più profonda paura è nel sentirci potenti oltre ogni limite. È la nostra luce, non la nostra oscurità, che ci spaventa. Ognuno di noi si chiede: “Chi sono io per essere brillante, affascinante, ricco di talenti, meraviglioso?”. In realtà, cosa sei tu per non esserlo? Siamo figli di Dio, il nostro schermirci non serve al mondo. Non c’è nulla di illuminante nello sminuire se stessi: facciamo semmai sentire gli altri insicuri al nostro fianco. Siamo nati per splendere e manifestare la gloria di Dio che è dentro di noi, non solo in alcuni di noi, è in ognuno di noi e quando permettiamo alla nostra luce di risplendere, inconsapevolmente regaliamo agli altri la possibilità di fare altrettanto. Quando ci liberiamo dalla nostra paura, la nostra presenza libera chi ci sta accanto. 

N. Mandela, da un discorso del 1994.

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Il cannibale Quiqueg

Egli chiese soltanto dell’acqua, acqua dolce, qualcosa per detergersi la salsedine; il che fatto, si vestì di abiti asciutti, accese la pipa e piegandosi sulle murate e sbirciando con calma quelli intorno, parve dire a se stesso: «Questo mondo è un gran mutuo ad azioni, sotto tutti i meridiani. Noi cannibali dobbiamo aiutarli questi cristiani».

H. Melville, Moby Dick, 89

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Il Capitano

Il Capitano era sereno

(Venne in cielo la luna)

Era alto e mai non si chinava.

(Andava su una nube)

Nessuno lo vide cadere,
Nessuno l’udì rantolare,
Riapparve adagiato in un solco,
Teneva le mani sul petto.

Gli chiusi gli occhi.

(La luna è un velo)

Parve di piume.

G. Ungaretti, da Il Capitano

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Quegli amori rari

Abbiamo visto però che esistono amori che fanno vacillare la saggezza del cinismo freudiano. Sono amori dove in primo piano non troviamo l’altro ridotto a uno specchio idealizzante dell’Io, ma l’incontro con una esteriorità che viene amata per quello che è — nel suo reale differente e spigoloso — e non per la sua funzione di supporto al mio “Io ideale”. Sono quegli amori che rispettano la distanza, che si nutrono dell’incontro con la differenza, che sanno vivere l’esposizione rischiosa e assoluta nei confronti dell’Altro con generosità e coraggio al di là del narcisismo e della ripetizione. Sono amori rari — Camus ci lascia poche possibilità quando dice che di amori così ne esistevano due o tre in un secolo e uno era il suo… —, ma esistono e, spesso, come dimostra l’esperienza dell’analisi, non sono i primi amori di una vita, ma quelli che si raggiungono solo attraverso altre esperienze meno felici e talvolta traumatiche. Il loro fondamento non è in nessun Altro ideale, ma nella contingenza dell’incontro che ha reso possibile l’esperienza del Due e nel desiderio che questo incontro non finisca, non si esaurisca, ma si ripeta ancora.

M. Recalcati, Non è più come prima, 82

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Chance

Ogni volta che tendiamo la mano verso qualcuno corriamo il rischio di prenderci una sberla. Ma c’è anche la possibilità — cinquanta e cinquanta, meglio di quello che potete sperare a Las Vegas — che qualcuno tenda la mano e vi tocchi con amore.

L. Buscaglia, vivere amare capirsi, 6

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Conosco delle barche

Conosco delle barche
che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.

Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.

Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.

Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.

Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.

Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.

Conosco delle barche che si graffiano un po’
sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.

Conosco delle barche
che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,
ogni giorno della loro vita
e che non hanno paura a volte di lanciarsi
fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.

Conosco delle barche
che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.

Conosco delle barche straboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.

Conosco delle barche
che tornano sempre quando hanno navigato.
Fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano.

Jacques Brel

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George Gray – le vele della vita

Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
E adesso so che bisogna alzare le vele
e prendere i venti del destino,
dovunque spingano la barca.
Dare un senso alla vita può condurre a follia
ma una vita senza senso è la tortura
dell’inquietudine e del vano desiderio –
è una barca che ancia al mare eppure lo teme.

E. Lee Masters, Antologia di Spoon River, George Gray

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Soli e forti – deboli e crudeli

…in un certo modo limitato e segreto, ognuno di noi è un po’ matto…
Ognuno, in fondo, si sente solo e invoca d`essere compreso; ma non possiamo mai comprendere interamente un altro, e ciascuno di noi rimane parzialmente estraneo anche a coloro che lo amano… Sono crudeli i deboli; la bontà possiamo aspettarcela soltanto dai forti… Coloro che non conoscono la paura non sono veramente coraggiosi, perché il coraggio è la capacità di affrontare ciò che si può immaginare… Capirete meglio gli altri se li guardate – per quanto possano essere vecchi e imponenti – come se fossero bambini. Perché molti di noi non maturano mai, diventano semplicemente più alti… La felicità arriva soltanto quando spingiamo le nostre menti e i nostri cuori ai limiti estremi delle nostre capacità… Lo scopo della vita è contare… rappresentare qualcosa, far sì che il fatto che abbiamo vissuto comporti qualche differenza.

L. Rosten, cit. in Vivere, amare, capirsi di L. Buscaglia, cap. 1

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