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Memoria

ciascuno di noi ricorda e dimentica secondo uno schema labirintico che rappresenta un segno di riconoscimento non meno caratteristico di un’impronta digitale

P. Roth, Pastorale americana, pag. 60

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La gente

Lotti contro la tua superficialità, la tua faciloneria, per cercare di accostarti alla gente senza aspettative illusorie, senza un carico eccessivo di pregiudizi, di speranze o di arroganza, nel modo meno simile a quello di un carro armato, senza cannoni mitragliatrici e corazze d’acciaio spesse quindici centimetri; offri alla gente il tuo volto piú bonario, camminando in punta di piedi invece di sconvolgere il terreno con i cingoli, e l’affronti con larghezza di vedute, da pari a pari, da uomo a uomo, come si diceva una volta, e tuttavia non manchi mai di capirla male. Tanto varrebbe avere il cervello di un carro armato. La capisci male prima d’incontrarla, mentre pregusti il momento in cui l’incontrerai; la capisci male mentre sei con lei; e poi vai a casa, parli con qualcun altro dell’incontro, e scopri ancora una volta di aver travisato. Poiché la stessa cosa capita, in genere, anche ai tuoi interlocutori, tutta la faccenda è, veramente, una colossale illusione priva di fondamento, una sbalorditiva commedia degli equivoci. Eppure, come dobbiamo regolarci con questa storia, questa storia cosí importante, la storia degli alri, che si rivela priva del significato che secondo noi dovrebbe avere e che assume invece un significato grottesco, tanto siamo male attrezzati per discernere l’intimo lavorio e gli scopi invisibili degli altri? Devono, tutti, andarsene e chiudere la porta e vivere isolati come fanno gli scrittori solitari, in una cella insonorizzata creando i loro personaggi con le parole e poi suggerendo che questi personaggi di parole siano piú vicini alla realtà delle persone vere che ogni giorno noi mutiliamo con la nostra ignoranza? Rimane il fatto che, in ogni modo, capire bene la gente non è vivere. Vivere è capirla male, capirla male e male e poi male e, dopo un attento riesame, ancora male. Ecco come sappiamo di essere vivi: sbagliando. Forse la cosa migliore sarebbe dimenticare di aver ragione o torto sulla gente e godersi semplicemente la gita. Ma se ci riuscite… Beh, siete fortunati.

P. Roth, Pastorale americana, pag. 40

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La musica che cura

La teoria dell’effetto terapeutico del suono era in origine frutto di intuizioni mistiche che la scienza sembra oggi in qualche modo confermare. Secondo queste ipotesi ogni essere vivente e ogni oggetto, essendo un aggregato di parti in continuo movimento (« in continua danza » dicevano gli antichi), produce un suono che riflette la natura di quell’essere o di quella cosa. Ogni disordine, ogni disarmonia in quel suono è causa di malattia. La malattia può essere curata se si ristabilisce l’armonia originale dell’uomo attraverso l’intervento di un «giusto» suono che produca appunto la necessaria assonanza.
Follia? Forse no. Se si pensa all’influenza che la musica può avere sul nostro stato d’animo, a come le marce militari aizzano i soldati sul campo di battaglia o a come ci inteneriscono le melodie d’amore, non è difficile immaginare l’effetto di una musica il cui suono vada al di là del nostro livello emotivo e magari ci penetri davvero nel corpo fino a farne vibrare, al ritmo giusto, le cellule.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 301

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I molti mondi

Il mondo che noi conosciamo lo ha fatto la grande natura
le cui parti primarie, unite in mille maniere
nel movimento incessante alla fine riuscirono
a combinarsi tra loro per questa grande creazione
della terra, dei mari, del cielo e dei molti viventi:
per la stessa ragione noi dovremo anche ammettere
che vi siano altri mondi in cui è accaduto lo stesso
e tutto si trovi agganciato in un simile abbraccio.
Sempre che esista materia in quantità sufficiente,
il luogo sia favorevole e nulla si opponga,
tutto può sempre unirsi ed avviare il suo ciclo.

Lucrezio, de rerum natura, II-1059

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Umani costumi

L’insieme dei costumi di un popolo è contrassegnato sempre da uno stile; questo forma dei sistemi. Sono persuaso che questi sistemi non esistono in numero illimitato, e che le società umane, come gli individui – nei loro giochi, nei loro sogni, nei loro deliri – non creano mai in modo assoluto, ma si limitano a scegliere certe combinazioni in un repertorio ideale agevolmente ricostruibile. Facendo l’inventario di tutti i costumi osservati, di tutti quelli immaginati nei miti, di quelli evocati nei giochi dei fanciulli e degli adulti, dei sogni degli individui sani o malati e dei comportamenti psicopatologici, si giungerebbe a comporre una specie di quadro periodico come quello degli elementi chimici, in cui tutti i costumi reali o semplicemente possibili apparirebbero raggruppati in famiglie, e in cui non avremmo più che da riconoscere quelli che le società hanno effettivamente adottato.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 20

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Tessuti insieme

La morte non può cancellare nessuna parte primaria
ma solo, nel sopraggiungere, ne infrange le unioni.
Poi esse tornano a unirsi in nuovi modi diversi
perché quello che nasce abbia una forma e un colore
serbando il dono dei sensi finche non sia morto.
Si comprende così la grande importanza dei modi
in cui le singole parti possono andare ad unirsi
ed il tipo dei moti che essi subiscono o impongono.

Lucrezio, de rerum natura, Libro II, 1002

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Decidere

Semplicemente, dobbiamo prendere atto che non conosciamo ogni conseguenza delle nostre azioni, eppure siamo costretti ad agire. Qualsiasi etica globale creeremo dovrà includere la nostra inevitabile ignoranza, mentre viviamo la nostra esistenza nel futuro.

Stuart Kauffman, Reinventare il sacro, pag. 288.

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Isole disgiunte e sole

Quel che è sorprendente è che facciamo ormai tutto questo con grande naturalezza, ognuno convinto che quello è il suo diritto. Non ci sentiamo in alcun modo parte del tutto. Al contrario. Ognuno si vede come un’entità separata, a sé; ognuno si sente forte del proprio ingegno, delle proprie capacità e soprattutto della propria libertà. Ma è proprio questo sentirci liberi, disgiunti dal resto del mondo, a causarci un gran senso di solitudine e di tristezza. Diamo per scontato solo quel poco che abbiamo attorno e con questo limitato punto di vista non riusciamo a sentire la grandezza del resto di cui siamo pur parte.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 158

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Il sacro per tutti i popoli

Poiché il mondo diventa sempre più piccolo, un numero crescente di culture e di civiltà viene a stretto contatto. Non stupisce allora che, come ha scritto Huntington, nel mondo post-guerra fredda stia avvenendo uno scontro tra civiltà: occidentale, islamica, turca, confuciana, russa, persiana, indù e giapponese; alcune moderne e altre antiche. E nemmeno sorprende che le nostre identità risiedano sempre più in queste civiltà e spesso nella loro eredità religiosa. Come non sorprende che le frontiere delimitanti queste civiltà siano luoghi di guerra. Se non possiamo trovare un terreno comune più velocemente dell’emergenza dei fondamentalismi risultanti, allora dovremmo temere nuovi focolai di guerra. Il compito di trovare uno spazio spirituale, etico e morale comune che si diffonda sul pianeta non potrebbe essere più urgente.

Stuart Kauffman, Reinventare il sacro, pag. 290.

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Spiegazioni

E invece ora ho capito che no, che tante delle vicende a cui assistiamo e dei mali che ci tocca vivere non hanno né una spiegazione né un artefice, accadono e basta, è il muoversi disordinato e inarrestabile delle particelle, dei nostri corpi, degli oggetti e degli animali, è il frutto del dispiegarsi delle nostre energie e delle azioni a cui ci hanno condotto i nostri pensieri.

F. Soriga, Il cuore dei briganti, 26

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