Il viaggio comincia in una biblioteca, o in una libreria.
Misteriosamente, prosegue lì, nella chiarezza delle ragioni prima sepolte nel corpo. Al principio del nomadismo, dunque, incontriamo la sedentarietà delle scaffalature e delle sale di lettura, se non addirittura quella del domicilio in cui si accumulano le opere, gli atlanti, i romanzi, le poesie, e tutti i libri che, da vicino o lontano, contribuiscono alla formulazione, alla realizzazione, alla concretizzazione della scelta di una destinazione.
Qualsiasi settore di una buona biblioteca può condurre a un buon luogo: il desiderio di vedere un animale stravagante, quello di cogliere una pianta quasi introvabile, il desiderio di intravedere una farfalla imprigionata, l’aspirare a una vena geologica in una cava, la volontà di camminare sotto un cielo abitato tempo prima da un poeta; tutto conduce a un punto del globo di cui portiamo invisibilmente il segno.
La carta istruisce le emozioni, stimola le sensazioni e libera la possibilità più vicina alle percezioni preparate. Il corpo è iniziato alle esperienze future nonostante le informazioni generalizzate. Ogni documentazione alimenta l’iconografia mentale di ognuno. La ricchezza di un viaggio necessita, a monte, della densità di una preparazione: come ci si predispone alle esperienze spirituali esortando l’anima ad aprirsi, ad accogliere una verità in grado di infondersi. La lettura agisce sottoforma di rito iniziatico, rivela una mistica pagana. L’accrescersi dal desiderio sfocia in seguito in un piacere raffinato, elegante e singolare. L’esistenza di un erotismo del viaggio presuppone il superamento di un bisogno naturale al fine di suscitare l’occasione di un’esultanza artificiale e culturale. Arrivare in un luogo di cui ignoriamo tutto condanna all’indigenza esistenziale. Nel viaggio, si scopre soltanto ciò di cui si è portatori. Il vuoto del viaggiatore crea la vacuità del viaggio, la sua ricchezza ne produce l’eccellenza.
Michael Onfray, Filosofia del viaggio, pag. 23.