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Senza dei

Solo così pensando noi potremo comprendere
che la natura, affrancata da qualsivoglia padrone,
può sempre agire da sola senza un dio che intervenga.
Se pensiamo agli dei, che sono sempre sereni,
ed al ritmo tranquillo che guida la loro esistenza
quale reggerà il mondo con polso fermo e sicuro
governando il timone di questo intero universo?

Lucrezio, de rerum natura, II-1090

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Come il vento

Ho detto finora che niente proviene dal niente
e niente di quello che nasce può finire nel nulla.
Ora, perché tu non pensi di negarmi fiducia,
dato che esistono corpi che non possiamo vedere,
ti parlerò delle cose che gli occhi non riconoscono
ma di cui devi ammettere la loro reale esistenza.
La prima è il vento, che frusta con forza le onde,
manda a picco le navi, strappa brandelli di nuvole
e sibila sulle pianure: è un turbine devastatore
che sradica i tronchi e sfronda le cime dei monti
spogliandole dalle foreste. Noi possiamo ascoltarlo
per il suo gemito acuto ed il minaccioso ululare
ma non possiamo vederlo, non avendo apparenza:
investe il mare e la terra e contorce nel cielo
ogni lembo di nuvola che riesce a carpire:
si espande senza una regola e tutto sconvolge
come l’acqua di un fiume che ad un tratto straripa
e dilaga dovunque, nutrita dai molti torrenti
che le piogge copiose fanno calare dai monti
insieme a tratti di bosco e ad alberi interi.

Lucrezio, De rerum natura, I-265

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Tropici

Gli alberi crescevano in tutti i sensi, i fiori sbocciavano attravverso le cascate; non si sapeva più se il fiume serviva a irrigare quel prodigioso giardino o se invece sarebbe stato presto soverchiato dalla moltiplicazione delle piante e delle liane alle quali tutte le dimensioni dello spazio e non più soltanto la verticale sembravano diventate accessibili, dato l’annullamento di ogni distinzione abituale fra la terra e l’acqua. Non c’era più fiume, non c’erano più rive, ma un dedalo di aiuole lambite dalla corrente, mentre il terreno affiorava tra la schiuma. Questa amicizia fra gli elementi si estendeva anche fra gli esseri viventi; Le tribù indigene hanno bisogno di enormi estensioni per vivere.vivere. Ma qui, una sovrabbondanza di vita animale testimoniava che da decenni l’uomo era stato impotente a turbare l’ordine naturale. Gli alberi fremevano di scimmie quasi più che di foglie? Si sarebbe detto che frutti di 20 denunziassero fra i loro rami. Sulle rocce a fior d’acqua, bastava stendere la mano per sfiorare le piume lucide e nere dei grandi matum dal becco d’ambra o di corallo e i jacamin marezzati di blu come il Labrador. Questi uccelli non ci sfuggivano: gioielli viventi che erravano fra le liane grondanti e i torrenti fronzuti, contribuivano a ricostruire davanti ai miei occhi stupefatti certi quadri della bottega dei Brueghel in cui il paradiso, raffigurato come una tenera intimità fra le piante, le bestie e gli uomini, riconduce all’epoca in cui l’universo degli esseri non aveva ancora compiuto la sua scissione.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 279

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Sardegna

Ed è bello, certo, ma non è come qui, a Hermosa, questa è la natura che domina, tu nella tua piccolezza e lei nella sua immensità, e forza, e crudeltà, e spazi e silenzi. Il rumore del vento, capisci?, e tu cammini verso il mare, da solo con i tuoi pensieri, con le domande che tutti ci facciamo da sempre, perché siamo qui, che senso ha, perché un uomo domina un altro e perché c’è chi lavora con fatica e chi ne è esentato, perché alcuni scelgono il male e altri no, perché essere vecchi è tanto brutto eppure nessuno vuole smettere di esserlo dandosi serenamente alla morte. Ti fai queste domande e guardi le querce piegate dal maestrale, i boschi infiniti di olivastri, quel muretto di pietre abbandonato tra i rovi, il falco che ti vola sulla testa, e le risposte le porta il vento, le risposte ci sono, volano nel vento, ma non le puoi capire, le intuisci nel vento, ma le tue orecchie non ce la fanno, a sentirle, e tu puoi solo andare avanti ancora e ancora, e arrivare al mare e dirti che no, non ci sarà mai altro luogo come quello in cui sei nato, e di cui conosci ogni combinazione di colore del cielo, e i rumori, e il silenzio, appunto, che è forse la cosa che più ti è entrata dentro, anche se non lo sapevi. Te ne accorgi una mattina nella calca di Venezia, il silenzio di Hermosa, capisci?

F. Soriga, Il cuore dei briganti, 13

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Contemplazione

Le vite di molti animali sono delimitate e circoscritte dai piani degli uomini; ma la determinazione di queste vite, il disegno tradizionale del movimento, ci ricordano un ordine essenziale. La compagnia di questi uccelli ispira un senso d’innocenza. E’ facile sentirsi trascendenti quando ci si accampa in mezzo a loro.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 162.

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Integrità profonda

Perché un rapporto con il paesaggio sia duraturo, dev’essere reciproco. Al livello in cui la terra ci fornisce il cibo non è difficile da comprendere e la reciprocità viene spesso ricordata nella preghiera di ringraziamento prima dei pasti. Al livello in cui il paesaggio ci appare bello o spaventoso e ci colpisce, oppure al livello in cui ci fornisce le metafore i simboli per indagare nel mistero, è più difficile definire la reciprocità. Se ci si avvicina alla terra con un atteggiamento d’obbligo, disposti a rispettare cortesie difficili da esprimere e che possono essere anche un semplice gesto delle mani, si stabilisce una considerazione dalla quale può emergere la dignità.
Da questo rapporto dignitoso con la terra è possibile immaginare un’estensione di rapporti dignitosi in tutta la propria vita. Ogni rapporto viene formato con la stessa integrità, che inizialmente spinge la mente a dire: le cose nella terra si armonizzano in modo perfetto, anche se cambiano sempre. Io desidero che l’ordine della mia vita sia organizzato nello stesso modo in cui trovo la luce, il movimento leggero del vento, la voce di un’uccello, la forma d’un baccello che vedo davanti a me. Voglio in me stesso questa impeccabile, incontestabile integrità.
Uno dei più antichi drammi dell’umanità consiste nel trovare una dignità che possa includere tutte le cose viventi. E una delle più grandi aspirazioni umane dev’essere portare pari dignità nei sogni, affinché ognuno trovi in qualche modo esemplare la propria vita. Un modo per riuscirvi consiste nel prestare attenzione a ciò che avviene in una terra intoccata dai piani umani, dove prevale un ordine originale.
La dignità che cerchiamo trascende quella espressa dai filosofi illuministi. È necessario un Illuminismo più radicale, in cui la dignità sia intesa come una qualità innata, e non come qualcosa concesso da qualcuno che sta al di fuori. E questa dignità comune deve includere la terra e le sue piante e le sue creature. Altrimenti è soltanto un’invenzione e non già, come deve essere, una percezione della natura della materia vivente.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 387.

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Paesaggi vergini

Il viaggiatore europeo è sconcertato da questo paesaggio che non rientra in nessuna delle categorie tradizionali. Noi ignoriamo la natura vergine, il nostro paesaggio è ostensibilmente asservito all’uomo; a volte ci può sembrare selvaggio, ma non perché sia veramente tale, bensì perché gli scambi sono avvenuti su un ritmo più lento (come nelle foreste), o anche — nelle montagne — perché i pro-blemi erano così complessi che l’uomo, invece di dar loro una risposta sistematica, ha reagito nel corso dei secoli con numerosi tentativi di soluzioni marginali; le soluzioni d’insieme che li riassumono, mai decisamente volute o pensate come tali, gli si presentano dal di fuori con un carattere primitivo. A noi sembrano aspetti selvaggi autentici del paesaggio, mentre sono, invece, il risultato di una catena di iniziative e di decisioni inconsce.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, cap. 10

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Movimenti

La percezione spaziale e la natura del movimento, la forma e la direzione che qualcosa assume nel tempo, sono argomenti di cui si sono occupati con impegno personalità come Werner Heisenberg, Paul Dirac e David Bohm nei loro scritti sui fenomeni subatomici. Io credo che pensieri molto simili, potenzialmente altrettanto belli nella loro complessità, insorgano con la considerazione del modo in cui gli animali si muovono nei loro paesaggi: il volo d’un corvo che risale direttamente una valle, il girovagare dei caribù al pascolo, i movimenti invernali di un orso bianco sul ghiaccio marino. Sappiamo ben poco di ciò che causa per reazione tali movimenti; noi scegliamo le dimensioni dello spazio e la durata di tempo che riteniamo appropriate per descriverli, ma non abbiamo nessuna sicurezza che siano pertinenti. Osservare un girifalco e una civetta delle nevi che si incrociano nello stesso cielo significa chiedersi in che modo la vita dell’uno influisce sulla vita dell’altra. Sedersi sul fianco della collina per guardare la lenta intermescolanza di due branchi di buoi muschiati che pascolano in un prato di carici e cercare di discernervi una logica significa affrontare l’indeterminazione. Guardare uno stormo di oche delle nevi che deviano tutte insieme dal vento significa chiedersi dove incomincia un animale e dove finisce l’altro. Gli animali ci confondono non già perché sono ingannevolmente semplici, ma perché in ultima analisi sono inseparabili dalle complessità della vita. Sono appunto queste sottigliezze della realtà e della concettualità a costituire la fisica delle particelle, che passa per la filosofia naturale del nostro tempo. Gli animali si muovono più lentamente delle particelle beta, e in uno spazio enormemente più vasto di quello battuto dalla nuvola di elettroni; tuttavia, se li lasciamo fare, ci sospingono verso una considerazione degli stessi interrogativi circa la natura fondamentale della vita e le relazioni che legano le forme di energia in schemi riconoscibili.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 183.

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Ecologica saggezza

Quando camminavo nella tundra e incontravo lo sguardo di un lemming oppure scoprivo le tracce di un ghiottone, mi sentivo confuso per la fragilità della nostra saggezza. Il modello del nostro sfruttamento dell’Artide, la crescente utilizzazione delle sue risorse naturali, lo stesso desiderio di “farne uso” sono molto chiari. Che cosa manca in noi, mi chiedevo, per farmi sentire tanto a disagio in una regione di uccelli cinguettanti, di caribù lontani e di lemming bellicosi? E’ il senso della misura. Poichè l’umanità è in grado di aggirare le leggi dell’evoluzione, dicono i biologi evoluzionisti, ha il dovere di darsi un’altra legge se vuole sopravvivere, se non vuole depredare la propria base alimentare. Deve imparare questo senso della misura, deve trovare un modo diverso e più saggio di comportarsi nei confronti del territorio. Deve prestare maggiore attenzione agli imperativi biologici del sistema del protoplasma messo in moto dal sole, e dal quale dipende l’umanità stessa. Non perchè debba farlo o perchè sia priva d’inventiva, ma perchè vi è in questo il culmine della saggezza cui aspira da secoli. Dopo aver preso in mano il proprio destino, ora l’uomo deve pensare con intelligenza critica ai campi in cui deve cedere.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 56.

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Quelli che cambiano la natura

Gli eschimesi, che a volte si vedono ancora non del tutto separati dal mondo animale, ci considerano un popolo la cui separazione è diventata forse troppo completa. Ci chiamano, con un miscuglio di incredulità e di apprensione, “quelli che cambiano la natura”.

Barry Lopez, Sogni artici, pag. 56.

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