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Amore e perdono

Il primo movimento dell’amore non è quello dell’avere, ma quello del cedere, del perdersi, dell’assoluta esposizione, priva di riserve, all’Altro. In questo senso la sola condizione del perdono è il riconoscimento del carattere ingovernabile e radicalmente libero del desiderio dell’Altro e della sua lingua straniera di cui la donna è l’incarnazione più radicale. Per questa ragione il lavoro del perdono rivela più di ogni altra cosa come nessun disegno di appropriazione dell’Altro potrà mai garantire la realizzazione dell’amore. Il lavoro del perdono, quando riesce, rompe il rapporto costitutivo tra l’Io e la violenza paranoico-narcisistica che lo anima. È un arretrare, un ritrarsi, un ridisegnare innanzitutto la propria immagine. È il gesto di Gesù di fronte all’adultera: chinarsi verso la terra, raccogliersi in sé, passare da una versione solo punitiva e vendicativa (colpevolizzante) della Legge a un’altra Legge che è la Legge della parola e dell’amore. Il perdono non trae mai la sua forza dai comportamenti di chi lo deve ricevere, da come, per esempio, l’altro può rimediare al suo sbaglio o riconoscersi pentito. Non è possibile perdonare chi è venuto meno alla promessa se non a partire da come il soggetto che ha subito l’offesa è in grado di rifondare un nuovo “Sì! ‘”, un nuovo inizio; può volere ancora l’amore per sempre, può ancora riconoscergli il suo valore “inestimabile”. Questo significa attraversare non tanto la colpa dell’Altro, ma la propria mancanza. Il lavoro del perdono è innanzitutto un attraversamento estremo della propria immagine ideale sino a vederne il limite reale. L’incontro con questo limite, come accade anche nel lavoro del lutto, alleggerisce, salva, toglie il peso della colpa, libera dallo spirito di vendetta. Esiste infatti una gioia misteriosa del perdono che alleggerisce gli amanti che la sanno raggiungere. Essa comporta il riconoscimento dell’Altro come eteros, come vita differente, vita lontana da ogni illusione simbiotico-narcisistica, da ogni fusione tra l’Uno e l’Altro. Comporta l’amore per un Altro reale, non-ideale, non ridotto al riflesso di uno specchio che illumina e arricchisce il nostro Io, ma una esistenza singolare che esiste come pura esteriorità. L’amore oblativo come pura dedizione all’Altro, nell’inseguimento di una fusione impossibile, lascia allora il posto all’oscillazione perpetua che caretterizza il lavoro del perdono tra l’esperienza della frammentazione del mio essere e il riconoscimento del carattere inassimilabile di chi amo. Come se nel tradimento risuonasse quel margine insopprimibile di libertà che l’illusione dell’amore vorrebbe fosse prigioniera e che invece si rivela come assoluta.

M. Recalcati, Non è più come prima, 128

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Senza più peso

Per un Iddio che rida come un bimbo, 
Tanti gridi di passeri, 
Tante danze nei rami, 
Un’anima si fa senza più peso, 
I prati hanno una tale tenerezza, 
Tale pudore negli occhi rivive, 
Le mani come foglie 
S’incantano nell’aria… 
Chi teme più, chi giudica? 

G. Ungaretti, Senza più peso

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Risvegli

Tutti sono prescelti se, invece di domandarsi: “Che cosa sto facendo qui?”, decidono di fare qualcosa che risvegli nel cuore l’entusiasmo. È nel lavoro fatto con entusiasmo che stanno le porte del Paradiso, l’Amore che trasforma, la Scelta che ci conduce a Dio. È questo entusiasmo che ci mette in contatto con lo Spirito Santo, e non le centinaia, le migliaia di letture dei testi classici. E la voglia di credere che la vita sia un miracolo a far sì che i miracoli avvengono, e non i cosiddetti “rituali segreti” o gli “ordini iniziatici”. Insomma, è la decisione dell’uomo di compiere il proprio destino che gli consente di essere veramente un uomo – e non le teorie che egli elabora intorno al mistero dell’esistenza.

P. Coelho, Il cammino di Santiago, prefazione

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Vivere

Per me è sempre affascinante perché, quando la vita non viene vissuta, esplode in noi. E come cercare di bloccare il coperchio di una pentola che bolle. Succederà qualcosa, ne sono convinto. Finirete per piombare nella paura, nella sofferenza, nella solitudine, nella paranoia o nell’apatia. Tutti segni del fatto che non state vivendo! Quindi, se avvertite uno di questi sintomi, rimboccatevi le maniche e dite: «Ora devo vivere». Nell’attimo in cui incominciate a lasciarvi coinvolgere nella vita, il vapore fuoriesce, e siete salvi. Non è facile: ma la vita ci fa sapere che deve essere vissuta. Meraviglioso!

L. Buscaglia, vivere amare capirsi, 10

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Io e Te

Un’altra cosa, a proposito dell’intimità: rende più grande il nostro mondo. Vorrei che avessimo qui una lavagna, perché mi piacerebbe mostrarvelo. Credo che sia una cosa splendida cui pensare. Qui c’è un «Io» e questo «Io» incontra «Te», e stiamo insieme perché siamo attratti l’uno dall’altro e abbiamo certe cose in comune e partecipiamo. Questa partecipazione diventa il nostro «Noi». Continuando a condividere, a partecipare. acquisiamo sempre più «Noi». «Tu» rimani sempre «Tu», e «lo» rimango sempre «Io». Non scompariamo mai, ma sviluppiamo il «Noi» insieme: esso è il nostro legame.

L. Buscaglia, vivere amare capirsi, 8

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Senza titolo

Sto per morire e mi sto divertendo. E continuerò a divertirmi ogni giorno che ancora mi resta da vivere. Perché non c’è un altro modo per farlo.

Randy Pausch, The last lecture.

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La lezione più importante

Com’è a buon prezzo la salute! com’è a buon prezzo la nobiltà!
Astinenza, non falsità, non ingordigia e lussuria;
Io canto l’aria aperta, la libertà, la tolleranza,
(Prendete qui la lezione più importante — meno dai libri — meno dalle scuole),
Il giorno e la notte comuni — la terra e le acque comuni,
I vostri campi — il vostro lavoro, commercio, occupazione,
E sotto, la saggezza democratica, come solida base di tutto.

W. Whitman, da Il luogo comune

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Figli e figlie degeneri, la Vita è troppo forte per voi!

Andavo a ballare a Chandlerville
e giocavo alle carte a Winchester.
Una volta cambiammo compagni
ritornando in carrozza sotto la luna di giugno,
e cosí conobbi Davis.
Ci sposammo e vivemmo insieme settant’anni,
stando allegri, lavorando, allevando i dodici figli,
otto dei quali ci morirono
prima che avessi sessant’anni.
Filavo, tessevo, curavo la casa, vegliavo i malati,
coltivavo il giardino e, la festa,
andavo a spasso per i campi dove cantano le allodole,
e lungo lo Spoon raccogliendo tante conchiglie,
e tanti fiori e tante erbe medicinali —
gridando alle colline boscose, cantando alle verdi vallate.
A novantasei anni avevo vissuto abbastanza, ecco tutto,
e passai a un dolce riposo.
Cos’è questo che sento di dolori e stanchezza,
e ira, scontento e speranze fallite?
Figli e figlie degeneri,
la Vita è troppo forte per voi —
ci vuole vita per amare la Vita.

E. Lee-Masters, Lucinda Matlock

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Un grande arazzo

Sarà una scoperta meravigliosa, il giorno che vi renderete conto di essere unici al mondo. Non vi è nulla che sia accidentale. Ognuno di voi è una combinazione speciale con uno scopo… e non permettete che vi dicano che non è vero, e che quello scopo è un’illusione. (Se è necessario, vivete l’illusione!) Voi siete quella certa combinazione perché possiate fare ciò che è essenziale che facciate. Non dovete mai credere di non avere un contributo da dare. Il mondo è un incredibile arazzo incompiuto, e soltanto voi potete riempire quel piccolo spazio che vi spetta.

L. Buscaglia, Vivere amare capirsi, cap. 5

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Poesie

Nella gioia del volo l’uccello,
qua e là, nel vuoto,
va scrivendo parole
senza alfabeto.
Quando la mente vola
si risveglia la mia voce,
la penna descrive
la gioia delle ali.

R. Tagore, da Sfulingo

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