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E t’amo, e t’amo, ed è continuo schianto!…

G. Ungaretti, da Giorno per giorno

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Macerie

Di queste case
non è rimasto
che qualche
brandello di muro

Di tanti
che mi corrispondevano
non è rimasto
neppure tanto

Ma nel cuore
nessuna croce manca

È il mio cuore
il paese più straziato

G. Ungaretti, Vita d’un uomo, San Martino del Carso

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Strappato al male a venire.

Babbo, non potrai mai sapere
quanta angoscia mi strinse il cuore,
per la mia disubbidienza, quando sentii
la ruota spietata della locomotiva
mordermi nella carne viva della gamba.
Mentre mi portavano dalla vedova Morris
vidi ancora nella valle la scuola
che marinavo per salire di nascosto sui treni.
Pregai di vivere finché potessi chiederti perdono —
e poi le tue lacrime, le tue rotte parole di conforto!
Dal sollievo di quell’ora mi venne felicità infinita.
Tu fosti saggio a far scolpire per me:
« Strappato al male a venire ».

E. Lee Masters, Johnnie Sayre

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Sii coraggiosa, amore.

I boschi di pini sulla collina,
e la fattoria lontana miglia e miglia,
apparivano nitidi come dietro una lente
sotto il cielo di un azzurro pavone!
Ma una coperta di nuvole nel pomeriggio
avvolse la terra. E tu camminavi la strada
e il campo dei trifogli, dove l’unica voce
era il tremolo vivo del grillo.
Poi il sole tramontò fra grandi cumuli
di lontane burrasche. Si levò un vento
e spazzò il cielo che attizzava le fiamme
delle stelle scoperte;
e faceva oscillare la luna rossiccia,
che pendeva fra l’orlo del colle
e i rami scintillanti del frutteto.
Tu camminavi soprappensiero sulla riva
dove le gole delle onde erano come civette
che cantassero sotto l’acqua e piangessero
allo sciacquio del vento in mezzo ai cedri.
Finché tu ti fermasti, troppo commossa per piangere,
e vicino alla casa, in alto, vedesti Giove,
che sfiorava la vetta del pino gigante,
e in basso vedesti la mia sedia vuota,
cullata dal vento nel portico solitario —
sii coraggiosa, Amore!

E. Lee-Masters, Charles Webster

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Doc Hill

Andavo su e giù per le strade
qua e là, giorno e notte,
curando in tutte le ore della notte i malati poveri.
E sapete perché?
Mia moglie mi odiava, mio figlio andò in rovina;
e io mi volsi alla gente e riversai su questa il mio amore.
Fu dolce vedere la folla, nei prati, il giorno del mio funerale,
e udirla mormorare il suo amore e il suo dolore.
Ma, Dio mio, mi tremò l’anima — a stento
capace di reggersi davanti alla nuova vita
quando vidi Em Stanton dietro la quercia
della tomba,
che nascondeva se stessa e il suo dolore!

E. Lee-Masters, Antologia di Spoon River

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Il lutto di un padre

Non dovete chiedermi perdono, signore. Io me ne ricordo tutto il tempo, voi non mi avete ricordato niente. La cosa più intollerabile è che si trasformi in passato chi si ricorda come futuro. Ma l’unica soluzione a quel che dite, signore, è che tutto finisca e non rimanga più nulla.

Javier Marìas, Domani nella battaglia pensa a me, pag. 112

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Quelli della nostra carne

« Che cosa farete quando sarete giunti alla morte,
se per tutta la vita avrete respinto Gesú,
e saprete che di voi, là distesi, Lui non è amico? »
ripetei più e più volte, io, il predicatore.
Ah, sí! Ma ci sono amici e amici.
E benedetto tu sia, dico io, che adesso so tutto,
tu che hai perduto, prima della morte,
il padre o la madre, o il vecchio nonno o la nonna,
un’anima bella che visse fortemente la vita,
e ti conobbe a fondo, e sempre ti amò,
che non mancherà di parlare per te,
e dare a Dio una vera immagine della tua anima,
come solo chi è della tua carne può fare.
Quella è la mano a cui la tua si congiungerà,
per trovare una guida nel corridoio
del tribunale dove sei forestiero!

E. Lee-Masters, Le Roy Goldman

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O Capitano! mio Capitano!

O Capitano! mio Capitano! il nostro viaggio tremendo è finito,
La nave ha superato ogni tempesta, l’ambito premio è vinto,
Il porto è vicino, odo le campane, il popolo è esultante,
Gli occhi seguono la solida chiglia, l’audace e altero vascello;
Ma o cuore! cuore! cuore!
O rosse gocce sanguinanti sul ponte
Dove è disteso il mio Capitano
Caduto morto, freddato.

O Capitano! mio Capitano! àlzati e ascolta le campane; àlzati,
Svetta per te la bandiera, trilla per te la tromba, per te
l mazzi di fiori, le ghirlande coi nastri, le rive nere di folla,
Chiamano te, le masse ondeggianti, i volti fissi impazienti,
Qua Capitano! padre amato!
Questo braccio sotto il tuo capo!
È un puro sogno che sul ponte
Cadesti morto freddato.

Ma non risponde il mio Capitano, immobili e bianche le sue labbra,
Mio padre non sente il mio braccio, non ha più polso e volere;
La nave è ancorata sana e salva, il viaggio è finito,
Torna dal viaggio tremendo col premio vinto la nave;
Rive esultate, e voi squillate, campane!
lo con passo angosciato cammino sul ponte
Dove è disteso il mio Capitano
Caduto morto, freddato.

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Le memorie

Restiamo qui presso — noi, le memorie;
e ci copriamo gli occhi perché abbiamo paura di leggere:
«17 giugno 1884, di 21 anni e 3 giorni ».
E tutte le cose son mutate.
E noi — noi, le memorie, ce ne stiamo qui sole,
perché nessun occhio ci vede, né saprebbe perché siamo qui.
Tuo marito è morto, tua sorella vive lontano, tuo padre è incurvato dagli anni;
ti ha dimenticato, di rado lascia la casa ormai.
Nessuno ricorda il tuo volto squisito,
la tua dolcissima voce!
Come cantavi, persino il mattino che fosti colpita,
con acuta dolcezza, con dolore palpitante,
prima della nascita del figlio che morì con te.
Tutto è dimenticato, tranne da noi, le memorie,
che siamo dimenticate dal mondo.
Tutto è mutato, tranne il fiume e la collina…
No, sono mutati anch’essi.
Soltanto il sole scottante e le stelle silenziose sono le stesse.
E noi — noi, le memorie, restiamo qui timorose, con gli occhi chiusi dalla stanchezza di piangere — nell’infinita stanchezza!

E. Lee-Masters, Edith Conant

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Le cose che non hai fatto

Ricordi il giorno che presi a prestito la tua macchina nuova e l’ammaccai?
Credevo che mi avresti uccisa, ma tu non l’hai fatto.
E ricordi quella volta che ti trascinai alla spiaggia, e tu dicevi che sarebbe piovuto, e piovve?
Credevo che avresti esclamato: «Te l’avevo detto!». Ma tu non l’hai fatto.
Ricordi quella volta che civettavo con tutti per farti ingelosire, e ti eri ingelosito?
Credevo che mi avresti lasciata, ma tu non l’hai fatto.
Ricordi quella volta che rovesciai la torta di fragole sul tappetino della tua macchina?
Credevo che mi avresti picchiata, ma tu non l’hai fatto.
E ricordi quella volta che dimenticai di dirti che la festa era in abito da sera e ti presentasti in jeans?
Credevo che mi avresti mollata, ma tu non l’hai fatto.
Si, ci sono tante cose che non hai fatto.
Ma avevi pazienza con me, e mi amavi, e mi proteggevi.
C’erano tante cose che volevo farmi perdonare quando tu saresti tornato dal Vietnam.
Ma tu non sei tornato.

Anonimo, cit. in L. Buscaglia, Vivere amare capirsi, cap. 3

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