Archivio dell'autore: Elena Della Rosa

Conosco delle barche

Conosco delle barche
che restano nel porto per paura
che le correnti le trascinino via con troppa violenza.

Conosco delle barche che arrugginiscono in porto
per non aver mai rischiato una vela fuori.

Conosco delle barche che si dimenticano di partire
hanno paura del mare a furia di invecchiare
e le onde non le hanno mai portate altrove,
il loro viaggio è finito ancora prima di iniziare.

Conosco delle barche talmente incatenate
che hanno disimparato come liberarsi.

Conosco delle barche che restano ad ondeggiare
per essere veramente sicure di non capovolgersi.

Conosco delle barche che vanno in gruppo
ad affrontare il vento forte al di là della paura.

Conosco delle barche che si graffiano un po’
sulle rotte dell’oceano ove le porta il loro gioco.

Conosco delle barche
che non hanno mai smesso di uscire una volta ancora,
ogni giorno della loro vita
e che non hanno paura a volte di lanciarsi
fianco a fianco in avanti a rischio di affondare.

Conosco delle barche
che tornano in porto lacerate dappertutto,
ma più coraggiose e più forti.

Conosco delle barche straboccanti di sole
perché hanno condiviso anni meravigliosi.

Conosco delle barche
che tornano sempre quando hanno navigato.
Fino al loro ultimo giorno,
e sono pronte a spiegare le loro ali di giganti
perché hanno un cuore a misura di oceano.

Jacques Brel

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La vita

La vita – è il solo modo
Per coprirsi di foglie,
Prendere fiato sulla sabbia,
Sollevarsi sulle ali;

Essere un cane,
O carezzarlo sul suo pelo caldo;

Distinguere il dolore
Da tutto ciò che dolore non è;

Stare dentro gli eventi,
Dileguarsi nelle vedute,
Cercare il più piccolo errore.

Un’occasione eccezionale
Per ricordare per un attimo
Di che si è parlato
A luce spenta;

E almeno per una volta 
Inciampare in una pietra,
Bagnarsi in qualche pioggia,
Perdere le chiavi tra l’erba;
E seguire con gli occhi una scintilla nel vento;

E persistere nel non sapere
Qualcosa di importante.

Wisława Szymborska

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Paura di cadere

Resto in allerta per paura di cadere. Ancora mi protendo verso la vita e la gente, ma devo tornare sul sentiero lungo il precipizio. E’ il mio sentiero, fino a quando precipiterò nell’abisso.

E. Munch, Framenti sull’Arte, pag 52Image</

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Gli altri

Quanto accade in una coscienza altrui è per noi in sé, indifferente; e noi stessi finiamo per disinteressarcene a mano a mano che giungiamo a conoscere abbastanza la superficialità dei pensieri che albergano nella grande maggioranza dei cervelli, la limitatezza delle loro idee, la moltitudine dei loro errori, la meschinità degli animi e la falsità delle opinioni; e che impariamo, per esperienza personale, con quanto disprezzo, occasionalmente, si parla di ognuno non appena non si ha più motivo di temerlo, o quando si crede che non lo verrà più a sapere; soprattutto, poi, dopo che abbiamo sentito una mezza dozzina d’imbecilli parlare sprezzantemente del più grand’uomo. Capiremo, allora, che fa troppo onore agli uomini chi attribuisce un grande valore alla loro opinione

A. Schopenhauer, Il giudizio degli altri, Bur 2004, pag 17

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Le parole.

Le parole pure e semplici da noi usate saranno vuote e senza valore. Esse prenderanno vita e significato solo se cercheremo di afferrare la loro numinosità, cioè il loro rapporto specifico con l’individuo vivente. Solo allora cominceremo a capire che i termini in sé significano ben poco e che ciò che più conta è il modo in cui essi sono in rapporto con noi.

 

C. G. Jung, L’uomo e i suoi simboli, Cortina editore, pag 98

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Lo specchio.

Chi guarda nello “specchio” dell’acqua vede per prima cosa, è vero, la propria immagine. Chi va verso sé stesso rischia l’incontro con sé stesso. Lo specchio non lusinga; mostra fedelmente quel che in lui si riflette, e cioè quel volto che non mostriamo mai al mondo, perché lo veliamo per mezzo della “persona”, la maschera dell’attore.
Ma dietro la maschera c’è lo specchio che mostra il vero volto. Questa è la prima prova di coraggio da affrontare sulla via interiore, una prova che basta a far desistere, spaventata, la maggioranza degli uomini. Infatti l’incontro con sé stessi è una delle esperienze più sgradevoli, alle quali si fugge proiettando tutto ciò che è negativo sul mondo circostante.

C. G. Jung, Gli archetipi dell’inconscio collettivo, Bollati Boringhieri, pag 122

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Un “si” disperato.

M’imprigioni insonnia e ti ripeto:

lasciami dormire. Che io dorma

senza l’angoscia di svegliarmi.

O poeta spezzati. Travestiti

da insano. Vai dal nemico

a chiedergli perdono. Il tradimento

dell’amante non ti tocchi più

di quanto non ti abbia toccato

la solitudine.

Non giungere a congiungere

le labbra. Il tuo “no”

sia l’unico “si” disperato.

D. Bellezza, Poesie 1971-1996, Mondadori, pag 24

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Il riverbero delle stelle.

Come le stelle da secoli spente

ancor inviano lor luce splendente

ai nostri casti occhi che guardano

la luna e le stelle e tutto

il firmamento remoto,

amore solitario

il tuo pallido ricordo

arriva in ritardo all’appuntamento

sperduto nella vastità

della mia solitudine.

Arriverà la notte suicidale

a ricoverarci lo spremuto

cervello che s’accende ancora

di questo deserto e spaventoso

“A presto!”.

D. Bellezza, Poesie 1971-1996, Mondadori pag, 68

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La follia.

I folli descrivono la condizione umana caratterizzata da quella “totale assenza di protezione” che la ragione tenta invano di mascherare col calcolo e col progetto, con la previsione e con l’anticipazione, per cui l’uomo occidentale, educato da quel tipo di “ragione”, non osa più sporgersi all’Aperto e rischiare sensi imprevisti. Solo i folli “abitati dal dio” ne sono capaci, e allora qui, e non altrove, si scorge il nesso tra follia e creazione artistica, naturalmente con il sacrificio dell’artista che, con la sua catastrofe biografica, segnala la condizione, a tutti comune, che è la vita come assenza di protezione, da cui noi ci difendiamo non oltrepassando il recinto chiuso della nostra ragione, che abbiamo inventato come rimedio all’angoscia.

U.Galimberti, prefazione al libro di K. Jasper, Genio e Follia, Cortina Editore

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Piccole cose.

“Vedi, alcuni anni fa ero veramente, veramente giù, e ho pensato sul serio… bè dai, quello che immagini possa pensare Fiona. E mi sono davvero sentita in colpa, per Ali perchè sapevo che non dovevo sentirmi così, ma così era, e… sempre, sai; oggi invece no. Forse domani, ma oggi no. Dopo alcune settimane ho però capito che non l’avrei mai fatto, e il motivo per cui non lo avrei mai fatto era che non volevo perdermi qualcosa. Non che la vita fosse splendida ma che per me fosse impossibile prendervi parte. E’ solo che c’erano sempre una o due cose che sembravano incompiute, cose che volevo portare a termine. Se avevo appena finito un libro, volevo vederlo uscire. Se stavo uscendo con qualcuno, volevo uscirci ancora una volta. Se c’era ricevimento, volevo parlare con gli insegnanti di Ali. Piccole cose, ma c’era sempre qualcosa. E alla fine mi sono resa conto che ci sarebbe sempre stato qualcosa, e che quei qualcosa sarebbero sempre bastati.” Alzò lo sguardo dai resti del suo biscotto e rise, imbarazzata. “Questo è quello che penso, comunque.”
Era davvero tutto qui? probabilmente no, pensava Will. Probabilmente c’era una serie di altre cose, come il fatto che quando eri depresso tutto ti stufava, tutto, indipendentemente da quanto ti piacesse; e la solitudine, e il panico, e il disorientamento puro. Ma l’atteggiamento positivo di Rachel verso la vita, nella sua semplicità, era un buon inizio.

N. Hornby, Un ragazzo, Tea pag 218

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