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Un’udienza dal Swami

Sentivo la pressione di quei suoi fedelissimi, delusi, e mi venne da chiedergli come faceva a essere sempre così paziente, cosi disponibile con tutti. Avevo osservato, dissi, come passava ore a riceverli, ad ascoltarli. Ognuno voleva la sua attenzione, il suo tempo. Il Swami rispose con una frase che fu determinante nel mio rapporto con lui: «Io non ho più bisogno di tempo», disse. «Ho già fatto tutto quel che volevo fare. Il tempo che mi resta è tempo pubblico. Anche tu ti stai avvicinando all’età in cui il tempo che hai puoi dedicarlo agli altri.» Dio mio, se mi sarebbe piaciuto! Ma ne ero così lontano… Lo sentii ancora dire: «Vedrai, sarà così anche per te. È una questione matematica. Quando avrai scoperto che tu sei la totalità, niente più ti potrà essere tolto». Lui poteva insegnarmi questo? Allora avevo davvero trovato «il mio maestro»!

T.Terzani, Un altro giro di giostra, 309

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Quelle debolezze fatali

Niente è più terribile che osservare un uomo colto nel mezzo non di un crimine, ma di una debolezza più che criminale. Una saldezza d’animo assai comune ci impedisce di diventare criminali in senso legale; è da queste debolezze che non ci si può salvare — dalle debolezze sconosciute, ma forse sospettate, come in certe parti del mondo si sospetta la presenza di serpenti in ogni cespuglio — da debolezze che possono rimanere annidate in noi, visibili o invisibili, temute o virilmente disprezzate, represse o magari ignorate per più di metà della nostra vita. Cediamo alla tentazione di fare cose per le quali ci coprono di insulti e cose per le quali veniamo condannati alla forca, e tuttavia lo spirito può sopravvivere — sopravvivere alla condanna, sopravvivere al capestro, per Giove! E ci sono cose — che sembrano insignificanti a volte — che invece segnano la nostra fine assoluta.

J. Conrad, Lord Jim, V

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Come ostriche

lo credo che abbiamo preso un grosso abbaglio in questa faccenda della Vita e della Morte. Credo che ciò che chiamano la mia ombra sulla terra sia la mia sostanza vera. Credo che nel guardare alle cose spirituali noi siamo come ostriche che osservano il sole attraverso l’acqua e ritengono quell’acqua densa la più sottile delle atmosfere. Credo che il mio corpo sia soltanto la feccia del mio essere migliore. Di fatto, prenda il mio corpo chi vuole: prendetelo, non sono affatto io. E allora tre evviva a Nantucket, e venga la lancia sfondata, e il corpo sfondato, quando vogliono, poiché, di sfondarmi l’anima, nemmeno Giove è capace.

H. Melville, Moby Dick, 66

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Oline nella latrina col pesce

e lei non può restare qui seduta sul bordo, dentro la casetta, perlomeno si sieda bene, pensa Oline, e no, mica può restare seduta così senza nemmeno tirare su le gonne, anche se Io sa che qualcosa di piccolo nelle mutande ormai ci è già arrivato, non può stare così lo stesso, pensa Oline, adesso deve prepararsi e sistemarsi come si deve sulla latrina, sì, ché mica può stare così seduta a guardare gli scarabocchi che ha fatto una volta Lars e quel pesce li che penzola e non dovrebbe stare lì appeso, bensì in cucina sul ripiano, senza le viscere e ben pulito in acqua fresca, e invece il pesce è lì appeso alla porta e poi gli occhioni di questo pesce! Oh come la fissano questi occhioni, rigidi e neri, senza luce la fissano gli occhi del pesce e riescono a vederla fino in fondo, sembrerebbe, pensa Oline, questi occhi di pesce le leggono l’anima dentro, fino in fondo, e nonostante ciò la loro espressione non muta, fissano uguale, vedono qualcosa, ma figurati se rivelano qualcosa di quello che vedono, no, in questo modo ti fissano, guardano e guardano, gli occhi di questo pesce, vedono, vedono e vedono, e cosa sarà mai quello che vedono? Fino in fondo, la sua anima? Cosa vedranno mai questi occhi di pesce in fondo alla sua anima? Ci vedono qualcosa? Potranno davvero vedere qualcosa giù, dentro la sua anima questi occhi di pesce? Ed è forse Lars che la guarda attraverso gli occhi del pesce senza farsi riconoscere? È Lars che da un luogo lontano lontano attraverso questi occhi di pesce neri e rigidi guarda verso di lei? Dentro di lei? Che vede nel suo profondo? Sempre che ce l’abbia un’intimità profonda? Ce l’ha un intimità profonda? O è solo esteriore quello che ha? Ma c’è davvero un’intimità dentro di lei?

J. Fosse, Melancholia, 389

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L’arte per l’anima

Per questo l’arte, quella vera, quella che viene dall’anima, è così importante nella nostra vita. L’arte ci consola, ci solleva, l’arte ci orienta. L’arte ci cura. Noi non siamo solo quel che mangiamo e l’aria che respiriamo. Siamo anche le storie che abbiamo sentito, le favole con cui ci hanno addormentati da bambini, i libri che abbiamo letto, la musica che abbiamo ascoltato e le emozioni che un quadro, una statua, una poesia ci hanno dato.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 138

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Momenti

Là a Ginevra dove il Monte Bianco sorgeva sul lago
bluastro, come una nuvola, quando la brezza spirava
da un libero cielo azzurro, e il Rodano mugghiava
precipitando dal ponte tra le voragini della roccia;
e la musica dai caffè contribuiva allo splendore
dell’acqua danzante sotto un torrente di luce;
e la parte piú pura del genio di Jean Rousseau
era la musica silenziosa di tutto ciò che si vedeva o si udiva —
là a Ginevra, dico, fu forse minore il rapimento
perché non potevo riallacciarmi a quell’io di un tempo,
quando vent’anni prima vagavo per Spoon River,
né ricordare ciò che ero e sentivo?
Noi viviamo al momento, liberi dei momenti passati.
Perciò, o anima, se perdi te stessa nella morte,
e ti risvegli in una Ginevra accanto a un Monte Bianco,
che cosa t’importa se non riconosci te stessa come quella
che visse ed amò in un cantuccio della terra
noto come Spoon River, secoli e secoli fa?

E. Lee-Masters, Wallace Ferguson

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Le vie del vento

Il fiore della mia vita avrebbe potuto sbocciare da ogni Iato
se un vento crudele non avesse intristito i miei petali
dal lato di me che potevate vedere nel villaggio.
Dalla polvere io innalzo una voce di protesta:
voi non vedeste mai il mio lato in fiore!
Voi che vivete, siete davvero degli sciocchi,
voi che non conoscete le vie del vento
né le forze invisibili
che governano i processi della vita.

E. Lee-Masters, Serepta Mason

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Lampi improvvisi dell’anima

Dapprima non potrai sapere che cosa significano,
e non lo saprai forse mai,
e noi non potremo mai dirtelo:
questi lampi improvvisi dell’anima,
come folgore fioca su nuvole candide
a mezzanotte quando c’è la luna.
Vengono in solitudine, o forse
sei seduto con un amico e d’improvviso
cade un silenzio nel discorso, e i suoi occhi
senza un guizzo ti guardano:
avete visto insieme il segreto,
egli lo vede in te, tu in lui.
E così palpitate, seduti, per timore che il Mistero
vi sorga di fronte e vi fulmini
con un fulgore come quello del sole.
Siate coraggiose, anime che avete simili visioni!
Mentre il vostro corpo è vivo, come il mio è morto,
voi avete afferrato un sentore dell’etere
riserbato a Dio stesso.

E. Lee-Masters, Faith Matheny

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Fate la vostra parte verso l’eternità

Fate la vostra parte verso l’eternità,
Piccola o grande che sia, fate la vostra parte verso l’anima.

W. Whitman, da Sul ferry di Brooklyn,8

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Lo scemo del villaggio

Ero Io zimbello del villaggio,
soprattutto della gente di buon senso, come da sé si chiamano —
e anche delle persone colte come il reverendo Peet, che leggeva
il greco come l’inglese.
Perché, invece di parlare del libero scambio,
o predicare qualche forma di battesimo;
invece di credere nell’efficacia
di camminare in un modo, di raccogliere gli spilli in un altro,
di guardare la luna sopra la spalla destra,
di curare i reumatismi col vetro turchino,
io asserii la sovranità della mia anima.
Prima che Mary Baker Eddy cominciasse
con ciò che lei chiamava la scienza,
io ero padrone del Bhagavad Gita,
e l’anima me l’ero curata prima che Mary
incominciasse a curare i corpi con le anime.
A tutti i mondi pace!

E. Lee-Masters, Tennessee Claflin Shope

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