Sulle orme del collasso?

Questo grande fallimento dell’India comporta un insegnamento: diventando troppo numerosa, e malgrado il genio dei suoi pensatori, una società non si perpetua che generando la servitù. Allorché gli uomini cominciano a sentirsi stretti nel loro spazio geografico, sociale e mentale, una facile soluzione rischia di sedurli: negare la qualità umana a una parte della specie. Per qualche decennio essi avranno mano libera. In seguito bisognerà procedere a una nuova espulsione. In questa luce, gli avvenimenti di cui l’Europa è stata teatro per vent’anni, e che riassumono un secolo nel corso del quale la sua popolazione si è raddoppiata, non mi appaiono più come il risultato dell’aberrazione di un popolo, d’una dottrina o di un gruppo di uomini. Ci vedo piuttosto l’indizio di una evoluzione verso una fine di cui l’Asia del Sud ha fatto l’esperienza mille o duemila anni prima di noi, e a cui, a meno di grandi decisioni, non riusciremo forse a sfuggire. Questa grande svalorizzazione sistematica dell’uomo da parte dell’uomo si va estendendo, e sarebbe ipocrita e incosciente voler evitare il problema con la scusa che si tratta di un fenomeno passeggero. Ciò che mi atterrisce in Asia è l’immagine del nostro futuro, che essa ci anticipa. Nell’America indiana invece vagheggio il riflesso, fugace anche laggiù, di un’età in cui la specie era proporzionata al suo universo, e in cui persisteva un rapporto valido tra l’esercizio della libertà e le sue leggi.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 16

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