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Invidia, ammirazione: ingredienti dell’amore

L’invidia della vita dell’Altro che spesso opprime i soggetti nevrotici — l’invidia come l’amore non ha come oggetto una qualità dell’Altro, ma è pura “invidia della vita”‘ dell’Altro —, viene sostituita dalla contemplazione ammirata di quella vita. Per questo, giustamente, Freud notava come molti pazienti oscillano spesso dai sentimenti di amore a quelli di odio e viceversa. L’invidia e l’ammirazione sono infatti due sentimenti molto prossimi. Ma mentre nell’invidia l’invidioso vive come un dolore l’esistenza libera e vitale dell’Altro, nell’ammirazione questa stessa esistenza procura soddisfazione e accresce il desiderio.

M. Recalcati, Non è più come prima, 121

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I tre grandi veleni della mente

Da questo punto di vista buddhista il male, tutti i mali, quelli psichici come quelli fisici. hanno un’unica radice: l’ignoranza. L’ignoranza dell’lo causa la sofferenza che affligge l’uomo dalla nascita alla morte; la stessa ignoranza causa «i tre grandi veleni della mente» — il desiderio, la rabbia e l’ottusità — che scatenano le malattie nel corpo. Solo una continua pratica di moralità e di meditazione può condurre alla libertà da ogni male.

T. Terzani, Un altro giro di giostra,221

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La buona educazione

È meglio allora procurare al bambino una « buona » educazione capace innanzi tutto di permettergli una rispettabile « carriera » professionale. Gli insegnano a « servire », in altri termini gli insegnano la servitù nei confronti delle strutture gerarchiche di dominanza. Gli fanno credere che agisce per il bene della comunità, una comunità istituzionalizzata gerarchicamente che lo ricompensa di ogni sforzo compiuto verso la servitù all’istituzione. La servitù diventa allora gratificante. L’individuo è convinto della propria dedizione, del proprio altruismo mentre agisce solo per il proprio appagamento, un appagamento però deformato dal fatto di aver assimilato i dettami della sociocultura.

H. Laborit, Elogio della fuga, 58

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Legami

Per questa ragione la vera libertà non è — come pensa la nevrosi — evitare il legame con l’Altro affermando la nostra autonomia, ma è saper riconoscere la nostra insufficienza e la nostra dipendenza dall’Altro. Non consiste nel vivere senza l’Altro perché questo è il sogno profondamente narcisistico e perverso di ogni nevrotico. Piuttosto la vera libertà implica il legame con l’Altro come ciò che apre la mio vita all’incognita ingovernabile del desiderio. Invocare la libertà come realizzazione di se stessi in alternativa a ogni legame traduce invece solo un fantasma di autoconsistenza totalmente sterile. Cancellare la dipendenza simbolica dall’Altro non rende la vita indipendente ma la mutila, la arrocca su se stessa, la riduce a una fortezza vuota. È quello che molti nevrotici non vogliono vedere: restare soli non è — come spesso lamentano — una sofferenza, ma il loro modo inconscio di scansare il pericolo angosciante dell’esposizione assoluta al desiderio dell’Altro che ogni incontro d’amore impone.

M. Recalcati, Non è più come prima, 116

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La ricerca del perdono

Né il perdonare, né l’impossibilità del perdono possono però essere il frutto di un calcolo della coscienza. Questo vuol dire che nel suo significato più radicale sia il gesto del perdono sia quello dell’impossibilità di perdonare non dipendono mai dai comportamenti dell’altro, ma da un raccoglimento e da una decisione del soggetto. Il gesto del perdono esorbita da ogni calcolo sull’oggetto. Non può dipendere dalla preoccupazione di non disperdere al vento una storia fatta di memoria e di desideri, né può dipendere dall’atto del pentimento di chi ha tradito. Diciamolo chiaramente: non sarà mai quello che farà l’Altro a rendere possibile il nostro perdono.

M. Recalcati, Non è più come prima, 90

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Conversioni

La disposizione circolare delle capanne attorno alla casa degli uomini è di una tale importanza per quanto concerne la vita sociale e la pratica del culto, che i missionari salesiani della regione del Rio das Garças hanno capito subito che il mezzo più sicuro per convertire i bororo consisteva nel far loro abbandonare il villaggio per un altro in cui le case fossero disposte in ranghi paralleli. Disorientati in rapporto ai punti cardinali, privati del piano sul quale si basavano tutte le loro nozioni, gli indigeni perdono rapidamente il senso delle tradizioni, come se i loro sistemi sociali e religiosi (che, vedremo in seguito, sono indissociabili) fossero troppo complicati per poter fare a meno dello schema reso evidente dalla pianta del villaggio, la cui fisionomia è perpetuamente vivificata dalle loro azioni quotidiane.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 22

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Amarsi

In questo senso Lacan può affermare che “l’amore è dare all’Altro quello che non si ha”. Limitarsi a dare quello che si ha significherebbe rispondere solo sul piano dell’avere e non dell essere. Dare quello che “non si ha” significa invece donare all’Altro la mancanza che la sua vita apre in noi, significa fare segno del posto unico, irripetibile, insostituibile, irrimpiazzabile che la sua vita occupa nella nostra, significa dare all’altro non ciò che si ha, ma la mancanza che la sua vita particolare ha aperto nel nostro essere.

M. Re calcati, Non è più come prima, 40

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A galla in un mare di condizionamenti

La nozione di relatività dei giudizi porta all’angoscia, è vero. È più semplice avere a nostra disposizione, quando si deve agire, una strategia già pronta, o le istruzioni per l’uso. Le nostre società che esaltano tanto spesso, almeno a parole, la responsabilità, si industriano di non lasciarne affatto all’individuo, per paura che agisca in modo non conforme alla struttura gerarchica di dominanza. E il bambino, per sfuggire all’angoscia, per rassicurarsi, cerca l’autorità delle regole imposte dai genitori. Da adulto farà lo stesso con l’autorità imposta dalla sociocultura in cui è inserito. Si aggrapperà ai giudizi di valore di un gruppo sociale, come un naufrago si aggrappa disperatamente alla ciambella di salvataggio.

H. Laborit, Elogio della fuga, 57

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Il tradimento di se stessi

L’imperdonabile nella vita amorosa non sarebbe tanto il tradimento tenuto nascosto, ma il tradimento del proprio desiderio, il venire meno del soggetto alla sua Legge. La verità più profonda che la psicoanalisi ci insegna è, infatti, che non c’è tradimento se non del proprio desiderio. Per questa ragione, quando un amante persiste nell’inganno di se stesso, quando si allontana irreversibilmente dal proprio desiderio l’amore, fatalmente, non lo segue più.

M. Recalcati, Non è più come prima, 89

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Che cultura

In una società commerciale, esser colti significa appartenere a quella parte privilegiata della società che può permettersi di diventarlo. Concedere a coloro che non hanno questa fortuna di partecipare alla cultura è in qualche modo permettergli un’ascesa sociale. È un modo di gratificarli narcisisticamente, di migliorare il loro livello di vita, di arricchire l’immagine che di sé possono dare agli altri. È probabile che questo processo derivi direttamente dal rammarico del borghese di non appartenere a un’aristocrazia inutile, non produttiva e colta.

H. Laborit, Elogio della fuga, 48

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