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La scomparsa dei miti

Il folletto Yohsi era di una pasta meno eterea. Somigliava a un uomo e in casa sua teneva donne e bambini. Era trasparente ma non invisibile e passando sulla neve più soffice poteva lasciare – ma non sempre – una qualche sorta di impronta. Spezzava e raccoglieva rami secchi e pezzi di legna da ardere a cui non sapeva dare fuoco. Il più delle volte appariva ai cacciatori solitari che passavano la notte accanto al falò. Quando il cacciatore dormiva, Yohsi arrivava per agitare le fiamme con il suo lungo dito medio. Quando i ciocchi ardenti si smorzavano, il cacciatore si destava di soprassalto, per trovarsi Yohsi seduto di fronte. Il folletto poteva volar via o svanire all’istante, ma anche restare li a lungo, seminando il terrore in chi gli sedeva dirimpetto. Circolavano storie di nomadi solitari trovati morti e orribilmente mutilati, evidentemente da Yohsi, nel posto che avevano scelto per passare la notte. Una volta mi trovavo in viaggio con due ona. Dopo essere scesi dai monti sul finire del giorno, ci eravamo accampati nella boscaglia vicino al livello superiore della vegetazione, quando un secco spezzarsi di rami nell’aria gelida avvisò i miei compagni della presenza di Yohsi. Erano evidentemente agitati e quando commisi la sciocchezza di farmi beffe della loro superstizione, uno dei due mi rimproverò dicendo che se fossi stato da solo e mi fossi trovato con Yohsi seduto davanti dall’altra parte del fuoco, non sarei stato cosi coraggioso. Per qualche ignota ragione il numero degli yohsi aveva subito un forte calo prima ancora dell’arrivo dell’uomo bianco, e ora si trovavano solo nelle zone piú squallide e inaccessibili del paese.

E. L. Bridges, Ultimo confine del mondo, XLII

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Il continente nero della femminilità

Qualcosa del “continente nero” della femminilità suscita angoscia, viene rigettato, provoca rifiuto in entrambi i sessi. È la dimensione non tutta identificabile, misurabile, padroneggiabile che accompagna la radicale anarchia dell’essere femminile. In particolare, il rifiuto della femminilità investe gli uomini che hanno edificato una intera Civiltà — quella patriarcale — su questo stesso rifiuto: la donna è per ogni maschio una lingua straniera che esige un continuo e mai compiuto sforzo di apprendimento perché questa lingua non può essere codificata. Non esiste un dizionario capace di catalogarne il senso. Non sappiamo nemmeno quante siano le lettere che compongono il suo alfabeto.

M. Recalcati, Non è più come prima, 122

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Il senso del perdono

Il perdono prende senso, trova la sua possibilità di perdono solo laddove esso è chiamato a fare l’impossibile e a perdonare l’imperdonabile. […] il perdono, se ce n’è, deve e può perdonare solo l’imperdonabile, l’inespiabile — e quindi fare l’impossibile. Perdonare il perdonabile, il veniale, lo scusabile, ciò che si può sempre perdonare, non è perdonare.

M. Recalcati, Non è più come prima, 88

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Isole disgiunte e sole

Quel che è sorprendente è che facciamo ormai tutto questo con grande naturalezza, ognuno convinto che quello è il suo diritto. Non ci sentiamo in alcun modo parte del tutto. Al contrario. Ognuno si vede come un’entità separata, a sé; ognuno si sente forte del proprio ingegno, delle proprie capacità e soprattutto della propria libertà. Ma è proprio questo sentirci liberi, disgiunti dal resto del mondo, a causarci un gran senso di solitudine e di tristezza. Diamo per scontato solo quel poco che abbiamo attorno e con questo limitato punto di vista non riusciamo a sentire la grandezza del resto di cui siamo pur parte.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 158

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Ritratto dello snob

Del resto il comportamento dello snob è molto chiaro. Di per sé sterile, può affermare la sua singolarità solo dimostrando di partecipare a ciò che è singolare. Fa sua la singolarità degli altri e finge di capirla e apprezzarla. Fa così parte di un’accorta élite, in mezzo alla calca volgare e omogenea. Se poi dall’accoppiamento del non conformista con Io snob, può nascere un sistema commerciale, potranno abbinarsi il successo sociale, temporaneo per fortuna, e l’inserimento dell’artista, o supposto tale, nella scala consumatrice e gerarchica. Questo sarà tanto più facile, in quanto l’esperienza storica dimostra che l’innovatore è quasi sempre incompreso dalla maggior parte dei suoi contemporanei. Di qui a pensare che ogni artista incompreso è un genio creatore, il passo è breve.

H. Laborit, Elogio della fuga, 47

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Arte e sociocultura

L’artista, fin dal concepimento, è per forza legato alla sociocultura presente nel tempo e nello spazio sociale. La fugge, ma ne rimane più o meno impregnato. Per quanto geniale, appartiene alla sua epoca, ed è la sintesi di coloro che lo hanno preceduto e la reazione alle abitudini culturali da essi imposte. E proprio nella reazione può trovare la sua originalità. Anche se questa è la ragione per cui l’arte può sembrare ambigua ai contemporanei. Il bisogno, che ognuno di noi ha, di essere ammirato, stimato, spinge l’artista all’anticonformismo. Rifiuta il « déjà vu », il « déjà entendu ». Questo è il prezzo della creazione e anche il prezzo dell’ammirazione che essa suscita. Ma l’opera originale si discosta allora dai criteri di riferimento con cui di solito viene giudicata e, dato che l’arte deve essere non oggettiva, deve mantener le distanze dalla sensazione, dal mondo della realtà, diventa difficilissimo dare di essa un giudizio immediato. L’arte, come la vendetta, è un piatto da consumare freddo. Solo l’imprevedibile evoluzione del gusto potrà in seguito consacrare il genio.

H. Laborit, elogio della fuga, 47

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Dice Gesù all’adultera, vai e…

“Non peccare più” è ricordare alla donna la verità del suo desiderio, l’importanza del riconoscimento che la Legge che più conta, che conta di più della Legge ritorsiva del taglione, è la Legge del proprio desiderio, la Legge dell’amore. Decidi, scegli, assumi la tua vita, non lasciarti intrappolare da una soluzione facile, non rinunciare alla tua libertà, non confonderla col capriccio, non vivere più nell’ombra e nello spergiuro! Invece di condannare Gesù invita alla responsabilità di fronte al proprio desiderio. Invita a considerare l’esistenza di un’altra Legge oltre a quella universale invocata dai lapidatori. Questa altra Legge Lacan la nomina come la Legge singolare del desiderio. Non si tratta più di opporre formalmente la Legge al desiderio ma di supporre che nel desiderio abiti una Legge o, se si preferisce, che il desiderio medesimo sia l’unica forma effettiva della Legge.

M. Recalcati, Non è più come prima, 87

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Perdonare

Il lavoro del perdono può diventare — come talvolta diventa — un’occasione per provare a fare un passo al di fuori delle sabbie mobili del narcisismo. L’orgoglio dell’Io tenderebbe a rendere impossibile questo lavoro, a respingere la violenza dell’offesa, ma proprio per questo nulla come l’esperienza del perdono — quando davvero avviene — mostra il limite della visione freudiana dell’amore come accecamento e come pura illusione immaginaria. L’Altro non è qui lo specchio buono che riflette le parti migliori di me stesso offrendo un rifornimento libidico che arricchisce il mio narcisismo, né è ridotto, come quando se ne va, a uno specchio infranto che non restituisce più nulla e che diviene oggetto d’odio e di ripulsa. L’innamoramento come “concupiscenza mentale”, secondo una definizione di Lacan, che ci lega alle virtù illusionistiche e persecutorie dello specchio, lascia il posto a un altro amore. Il lavoro del perdono non si nutre dell’infatuazione narcisistica della propria immagine ideale, ma viene dall’abisso del trauma dell’abbandono; non confronta il soggetto con l’immagine ideale dell’Altro, ma con la sua alterità più spigolosa, con il reale più reale dell’Altro. Se l’innamoramento si soddisfa del potenziamento dell’Io, il perdono conduce al di là dell’Io, ci accosta al mistero della totale ingovernabilità dell’Altro, del suo essere irriducibilmente straniero, eteros.

M. Recalcati, Non è più come prima, 100

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Lacrime dal buio

e sento Lars dire che non ha niente in contrario se qualcuno gli fa del male e capisco bene cosa intende dire e poi Lars mi guarda con quei suoi occhi da pesce e poi vedo che il suo viso si tende e lui non vuole, lui si oppone, lui sta lì e il suo volto si torce e allora vedo le lacrime nei suoi occhi e vedo Lars girarsi dall’altra parte e lo vedo scattare alla porta e apre la porta e poi Lars schizza fuori e io esco e vedo Lars correre oltre la palude, giù verso riva, e non prende il sentiero, corre dritto per la palude e lo vedo che affonda nella fanghiglia e si tira su e corre per la palude e riaffonda giù e tira fuori un piede e l’altro piede gli affonda giù nel fango e vedo Lars che salta giù verso la riva e lo vedo sedersi di colpo su una roccia in mezzo alla palude e gli vedo la schiena e vedo Lars portarsi le mani agli occhi e lo vedo asciugarsi gli occhi, adesso Lars si asciuga le lacrime, penso, ma perché Lars si mette a piangere? Senza preavviso, senza nessun motivo, comincia a piangere Lars così spesso, penso e vedo Lars seduto con la schiena piegata in avanti e si tiene la testa tra le mani, si copre gli occhi con le mani e vedo Lars voltarsi e mi guarda e sento Lars gridarmi che lo devo lasciare in pace!

J. Fosse, Melancholia, 305

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Risvegli

Tutti sono prescelti se, invece di domandarsi: “Che cosa sto facendo qui?”, decidono di fare qualcosa che risvegli nel cuore l’entusiasmo. È nel lavoro fatto con entusiasmo che stanno le porte del Paradiso, l’Amore che trasforma, la Scelta che ci conduce a Dio. È questo entusiasmo che ci mette in contatto con lo Spirito Santo, e non le centinaia, le migliaia di letture dei testi classici. E la voglia di credere che la vita sia un miracolo a far sì che i miracoli avvengono, e non i cosiddetti “rituali segreti” o gli “ordini iniziatici”. Insomma, è la decisione dell’uomo di compiere il proprio destino che gli consente di essere veramente un uomo – e non le teorie che egli elabora intorno al mistero dell’esistenza.

P. Coelho, Il cammino di Santiago, prefazione

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