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Perdonare

Il lavoro del perdono può diventare — come talvolta diventa — un’occasione per provare a fare un passo al di fuori delle sabbie mobili del narcisismo. L’orgoglio dell’Io tenderebbe a rendere impossibile questo lavoro, a respingere la violenza dell’offesa, ma proprio per questo nulla come l’esperienza del perdono — quando davvero avviene — mostra il limite della visione freudiana dell’amore come accecamento e come pura illusione immaginaria. L’Altro non è qui lo specchio buono che riflette le parti migliori di me stesso offrendo un rifornimento libidico che arricchisce il mio narcisismo, né è ridotto, come quando se ne va, a uno specchio infranto che non restituisce più nulla e che diviene oggetto d’odio e di ripulsa. L’innamoramento come “concupiscenza mentale”, secondo una definizione di Lacan, che ci lega alle virtù illusionistiche e persecutorie dello specchio, lascia il posto a un altro amore. Il lavoro del perdono non si nutre dell’infatuazione narcisistica della propria immagine ideale, ma viene dall’abisso del trauma dell’abbandono; non confronta il soggetto con l’immagine ideale dell’Altro, ma con la sua alterità più spigolosa, con il reale più reale dell’Altro. Se l’innamoramento si soddisfa del potenziamento dell’Io, il perdono conduce al di là dell’Io, ci accosta al mistero della totale ingovernabilità dell’Altro, del suo essere irriducibilmente straniero, eteros.

M. Recalcati, Non è più come prima, 100

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Abbandoni

La promessa degli amanti non ha alcun fondamento se non quello del patto di parola. Nessun Dio, nessun padre, nessun grande Altro potrà garantire l’indissolubilità di questo patto. Lo abbiamo visto: è il mistero e il dramma dell’amore. Questo assoluto — questa sospensione del tempo storico che si traduce nell'”ancora” infinito della domanda d’amore — può spegnersi, può non esistere più, può conoscere la sua fine. L’esperienza traumatica dell’abbandono è l’esperienza di questo cataclisma reale. Il tempo fa la sua riapparizione sulle ceneri di quello che non è più come prima, inesorabile, infrangendo la promessa del “per sempre”. Adesso l’Altro non è più colui che ci salva, non ha più il volto dell’Altro-soccorritore, ma è colui che ci affonda spietatamente.

M. Recalcati, Non è più come prima, 74

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L’abbandono

Il traumatismo dell’abbandono, come la clinica psicoanalitica mostra, riaccende traumatismi più antichi, primari, riporta il soggetto alle sue ferite più lontane nel tempo. Il trauma non invade solo il corpo ma innanzitutto la vita psichica. È un evento che coinvolge la rottura degli argini della nostra identità, che infrange la certezza sulla quale poggia la nostra vita.

M. Recalcati, Non è più come prima, 3

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Precipitare nel non-senso

La promessa degli amanti non ha alcun fondamento se non quello del patto di parola. Nessun Dio, nessun padre, nessun grande Altro potrà garantire l’indissolubilità di questo patto. Lo abbiamo visto: è il mistero e il dramma dell’amore. Questo assoluto — questa sospensione del tempo storico che si traduce nell’«ancora» infinito della domanda d’amore — può spegnersi, può non esistere più, può conoscere la sua fine. L’esperienza traumatica dell’abbandono è l’esperienza di questo cataclisma reale. Il tempo fa la sua riapparizione sulle ceneri di quello che non è più come prima, inesorabile, infrangendo la promessa del “per sempre”. Adesso l’Altro non è più colui che ci salva, non ha più il volto dell’Altro-soccorritore, ma è colui che ci affonda spietatamente.

M. Recalcati, Non è più come prima, 74

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In relazione

Nulla, infatti, come l’esperienza dell’abbandono mostra quanto la vita umana non consista di sé stessa, ma sia integralmente sospesa alla risposta dell’Altro.

M. Recalcati, Non è più come prima, 2

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