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Uno scopo nella vita II

L’angoscia l’opprimeva: avrebbe voluto fermare uno di quei passanti, prenderlo per il bavero, domandargli dove andasse, perché corresse a quel modo, avrebbe voluto avere uno scopo qualsiasi, anche ingannevole, e non scalpicciare così, di strada in strada, fra la gente che ne aveva uno. “Dove vado?”; un tempo, a quel che pareva, gli uomini conoscevano il loro cammino dai primi fino agli ultimi passi; ora no; la testa nel sacco; oscurità; cecità; ma bisognava pure andare in qualche luogo; dove? Michele pensò di andare a casa sua.

A. Moravia, Gli indifferenti, 111

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A galla in un mare di condizionamenti

La nozione di relatività dei giudizi porta all’angoscia, è vero. È più semplice avere a nostra disposizione, quando si deve agire, una strategia già pronta, o le istruzioni per l’uso. Le nostre società che esaltano tanto spesso, almeno a parole, la responsabilità, si industriano di non lasciarne affatto all’individuo, per paura che agisca in modo non conforme alla struttura gerarchica di dominanza. E il bambino, per sfuggire all’angoscia, per rassicurarsi, cerca l’autorità delle regole imposte dai genitori. Da adulto farà lo stesso con l’autorità imposta dalla sociocultura in cui è inserito. Si aggrapperà ai giudizi di valore di un gruppo sociale, come un naufrago si aggrappa disperatamente alla ciambella di salvataggio.

H. Laborit, Elogio della fuga, 57

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Scienza moderna, come una nuova fede

Anche spalancando gli occhi, l’Uomo non vede niente. Procede a tentoni vacillando sull’oscura strada della vita che non sa da dove viene né dove va. È angosciato come il bambino chiuso in una stanza buia. Per questo, religioni, miti, oroscopi, guaritori, profeti, chiaroveggenti, magia e scienza odierna, hanno sempre avuto tanto successo nel corso dei secoli. Grazie a queste cianfrusaglie esoteriche, l’Uomo può agire. O almeno vuole crederlo, per calmare l’angoscia.

H. Laborit, Elogio della fuga, 44

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