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Ieri e oggi

Accendeva il fiammifero sfregandolo velocemente – e il suo modo di accendere la sigaretta, di spegnere il fiammifero, tutto succedeva senza sforzo, con movimenti eleganti e fluidi. Fumava tenendo la sigaretta fra il medio e l’indice, leggermente aperti. Al mignolo portava l’anello con il topazio bruciato. 
Era il suo orgoglio, lavorare in proprio. 
Un buon intrattenitore, ricercato e benvisto, stimolante e gradevole, questo era mio padre. 
Ma c’era anche l’altro padre, quello che la sera sedeva chino sui libri a fare i conti. Il sospirare, lo scuotere la testa, il muto torcersi le mani – sì, si sfregava lentamente le mani, le stropicciava come se potesse schiacciare, stritolare le preoccupazioni. L’angoscia sempre palpabile di mio padre, e anche di mia madre, di finire estromessi dalla vita borghese, l’angoscia dell’inconcepibile declassamento. Quella paura di perdere l’indipendenza, un’indipendenza che tuttavia era garantita sempre e solo dalle banche. 

U. Timm, Come mio fratello, 73

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Élite sul tram

La madre sedeva in un angolo presso il finestrino, voltava più che poteva il dorso al popolo del tram e guardava nella strada; i marciapiedi erano affollati di una viva moltitudine di lavoratori di ogni specie che tornavano alle loro case; il freddo sole di febbraio illuminava le loro facce arrossate dal vento diaccio sotto le falde usate dei cappelli scoloriti e deformi, e le loro persone chiuse nei pastrani inverditi dal tempo; era un solicello bianco e senza calore che si diffondeva generosamente su tutti quegli stracci quasi avesse voluto benedirli; una dopo l’altra sfilavano le brillanti botteghe con quelle scritte dipinte in rosso, in bianco o in blu sulle vetrine; le insegne luminose sospese ai cornicioni, grigie e spente, parevano delle larve incenerite; il tram avanzava lentamente, multicolore, volgare e pieno come un carosello, fremeva, tintinnava… Ogni tanto, sotto gli occhi della madre, con un rapido movimento, il cofano lucido e oblungo di una automobile avanzava, si fermava quasi cercando un varco coi suoi grossi fanali, balzava avanti… ella vedeva dietro una lastra di vetro, fermo al suo posto, con le mani guantate posate sul volante, un autista tutto vestito di cuoio e poi, adagiato sopra i cuscini di pelle, soddisfattissimo, con l’occhio semiaperto abbassato sulla folla, un personaggio panciuto, oppure, avvolta nelle sue gonfie pellicce, qualche signora dal volto delicato e dipinto… Allora, senza volerlo, la madre sospirava: ella non avrebbe potuto mai passare tra la folla malvestita in un’imponente e poderosa macchina, i suoi anni erano svaniti, la sua giovinezza si era dileguata nella lucida automobile dei suoi sogni; a poco a poco le figure della sua invidia, quei personaggi effimeri passati via con la rapidità delle frecce nei loro carri rombanti si erano allontanati anche dalla sua fantasia e dalla sua speranza, rassegnata ella continuava il suo cammino, non senza una specie di disgustata dignità, in quel colorato carrozzone di ferro e di vetro.

A. Moravia, Gli indifferenti, 182

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Che cultura

In una società commerciale, esser colti significa appartenere a quella parte privilegiata della società che può permettersi di diventarlo. Concedere a coloro che non hanno questa fortuna di partecipare alla cultura è in qualche modo permettergli un’ascesa sociale. È un modo di gratificarli narcisisticamente, di migliorare il loro livello di vita, di arricchire l’immagine che di sé possono dare agli altri. È probabile che questo processo derivi direttamente dal rammarico del borghese di non appartenere a un’aristocrazia inutile, non produttiva e colta.

H. Laborit, Elogio della fuga, 48

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Mariagrazia

Anche la madre guardava attraverso il finestrino, ma piuttosto che per vedere, per farsi vedere: quella grande e lussuosa macchina le dava un senso di felicità e di ricchezza, e ogni volta che qualche testa povera o comune emergeva dal tenebroso tramestio della strada e trasportata dalla corrente della folla passava sotto i suoi occhi, ella avrebbe voluto gettare in faccia allo sconosciuto una smorfia di disprezzo come per dirgli: “Tu brutto cretino vai a piedi, ti sta bene, non meriti altro… io, invece, è giusto che fenda la moltitudine adagiata su questi cuscini.”

A. Moravia, Gli indifferenti, 105

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Di città in città

Dopo quattro o cinquemila anni di storia ci piace immaginare che un ciclo si sia concluso; che la civiltà urbana, industriale e borghese, inaugurata dalle città dell’Indo, non fosse così diversa nella sua ispirazione profonda da quella che, dopo una lunga involuzione nella crisalide europea, avrebbe raggiunto la pienezza dall’altro lato dell’Atlantico. Quando era ancora giovane, il mondo antico abbozzava già il volto del Nuovo.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 14

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Dotte esibizioni

Ma in realtà la ragione principale, secondo me, del sedicente liberalismo culturale dei paesi occidentali deriva dal fatto che la cultura autorizzata, o addirittura favorita, è un groviglio indescrivibile che permette di infiorare la conversazione con citazioni latine o straniere e di issare sulle drizze le bandiere di riconoscimento della società borghese. É una cultura per uso esterno, come il bottoncino di metallo che adorna l’occhiello dei membri di un rotary. Facilita, come i gradi, il comportamento altrui nei confronti del livello gerarchico che abbiamo raggiunto, oppure permette, se la vita non ci è stata propizia, di mantenere la nostra appartenenza, pur senza avere un’attività produttiva ricompensata dalla promozione sociale.

H. Laborit, Elogio della fuga, 51

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Differenze di classe…

“Questo significa” disse Carla “che dovremo lasciare la villa e andare ad abitare in un appartamento di poche stanze?”
“Già,” rispose Michele “proprio così.”
Silenzio; la paura della madre ingigantiva; non aveva mai voluto sapere di poveri e neppure conoscerli di nome, non aveva mai voluto ammettere l’esistenza di gente dal lavoro faticoso e dalla vita squallida. “Vivono meglio di noi” aveva sempre detto; “noi abbiamo maggiore sensibilità e più grande intelligenza e perciò soffriamo più di loro…”

A. Moravia, Gli indifferenti, III

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