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Deriva

Per i bianchi che lavoravano nei porti e per i capitani delle navi lui era solo Jim — null’altro. Naturalmente aveva anche un cognome, ma faceva di tutto per evitare che fosse pronunciato. Questa corazza di riserbo, che in realtà presentava larghe crepe, non aveva lo scopo di proteggere una personalità, ma di nascondere un fatto. E quando questo filtrava egli lasciava improvvisamente il porto nel quale si trovava e andava in un altro — di solito più a est del precedente.

J. Conrad, Lord Jim, I

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Fuga nell’immaginazione

Il creatore deve essere motivato a creare. Per far questo deve, in generale, non trovare sufficiente gratificazione nella società a cui appartiene. Deve aver difficoltà a inserirsi in una scala gerarchica basata sulla produzione di beni di consumo. Poiché questa esige, da parte di chi vuole garantirsi la promozione sociale, una certa facoltà di adattamento all’astrazione fisica e matematica, molti, a cui manca questa facoltà di adattamento, disgustati però anche dalla forma « insignificante » che ha preso il lavoro manuale nella nostra epoca, si orientano verso le scienze umane e verso le attività artistiche, « culturali ». Ma queste scelte sono meno « remunerative » in una società definita produttiva, e offrono meno numerosi sbocchi. In compenso essendo praticamente impossibile giudicare il valore dell’opera, poiché il criterio di valutazione è mobile, affettivo, non logico, l’artista dispone di un vasto territorio in cui agire e soprattutto di una possibilità di consolazione narcisistica. Se non è stimato, non esistendo alcun criterio oggettivo valido che dimostri che hanno ragione gli altri, può sempre considerarsi incompreso. Vista sotto questo aspetto la creazione è una vera e propria fuga dalla vita quotidiana, una fuga dalle realtà sociali, dalle scale gerarchiche, una fuga nell’immaginazione.

H. Laborit, Elogio della fuga, 46

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Se lottare

Nel nostro mondo molto spesso non si incontrano uomini, ma agenti di produzione, professionisti che non vedono più in noi l’Uomo, ma il concorrente, e appena il nostro spazio gratificante interagisce con il loro cercano di prendere il sopravvento, di sottometterci. Allora se non siamo disposti a trasformarci in hippies o in drogati dobbiamo fuggire, rifiutare, se possibile, la lotta, perché quegli avversari non ci affronteranno mai da soli ma si appoggeranno sempre a un gruppo o a una istituzione. È finita l’epoca della cavalleria, quando si gareggiava a uno a uno in torneo. Oggi sono intere consorterie che attaccano l’uomo solo, e se per disgrazia quest’ultimo accetta il confronto, sono sicure di vincere, perché sono l’espressione del conformismo, dei pregiudizi, delle leggi socioculturali del momento. Se ci avventuriamo da soli in una via non incontriamo mai un altro uomo solo ma sempre una compagnia di trasporti collettivi.

H. Laborit, Elogio della fuga, 29

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Il bisogno di fuggire

Il mattino seguente, mentre da una collina guardavo in lontananza il fumo degli accampamenti indiani sollevarsi al di sopra del bosco, provai l’intenso desiderio di fuggire dalla mia vita monotona e di unirmi agli ona nelle loro cacce senza fine. Non sapevo nulla dei loro tradimenti e delle loro cruente lotte intestine, e nel mio cuore di ragazzo avrei voluto raggiungerli con una buona scorta di fucili per condividere la battaglia contro l’avanzare della cosiddetta civiltà, nella romantica terra di cui erano i signori. Cosi sono i giovani!

E. L. Bridges, Ultimo confine del mondo, XXI

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Laurene Daguerne

Era uno di quegli uomini che si sentono a proprio agio solo nell’astrazione, nella meditazione, nelle speculazioni intellettuali; la lettura gli procurava quello che ad altri dà l’alcol: l’oblio della vita.

I. Némirovsky, La preda, I

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