Quando la vendita della fattoria fu conclusa, presero l’abitudine di venire a sedersi intorno alla mia casa, dall’alba fino a notte alta; non volevano tanto parlare con me quanto seguire i miei movimenti. C’è un momento paradossale nel rapporto fra il capo e i seguaci: il momento in cui essi, scorgendo chiaramente la sua debolezza e il suo fallimento, sarebbero in grado di giudicarlo con chiarezza e imparzialità, eppure continuano a rivolgersi a lui, quasi che nella vita non abbiano altra
strada da seguire. Lo stesso sentimento prova forse il gregge verso il pastore; conosce infinitamente meglio della sua guida i luoghi e il clima, eppure continuerà a seguirlo, se necessario,
fin nell’abisso. I kikuyu avevano accettato la situazione meglio di me, per la loro maggiore dimestichezza con Dio e con il Diavolo. Malgrado ciò sedevano intorno a casa mia, aspettando i miei ordini; probabilmente non parlavano d’altro, tutto il tempo, che della mia ignoranza e della mia incredibile incapacità.
Si penserà che fosse duro averli sempre là dinanzi, sapendo di non poterli aiutare e sentendomi sulla coscienza il peso del loro destino. Ma non era cosí. Sia io che loro, al contrario, trovavamo uno strano conforto e sollievo nello star vicini. La comprensione che ci legava aveva radici piú profonde di ogni ragionamento. Pensavo spesso, in quei mesi, alla ritirata di Napoleone da Mosca. Si crede in genere che egli abbia passato giorni di
disperazione, vedendo i suoi soldati soffrire e morire intorno a lui; ma, forse, senza di loro non avrebbe potuto sopravvivere. La notte contavo le ore aspettando il momento in cui i kikuyu sarebbero tornati a sedere davanti alla mia casa.
K. Blixen, La mia Africa, parte IV, 1
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