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Uomini primitivi

Non è soltanto per ingannare i nostri bambini che vogliamo che continuino a credere a Babbo Natale: il loro fervore ci riscalda, ci aiuta a ingannare noi stessi e a credere, poiché essi ci credono, che un mondo di generosità senza contropartita è compatibile con la realtà.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 23

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Legami

Per questa ragione la vera libertà non è — come pensa la nevrosi — evitare il legame con l’Altro affermando la nostra autonomia, ma è saper riconoscere la nostra insufficienza e la nostra dipendenza dall’Altro. Non consiste nel vivere senza l’Altro perché questo è il sogno profondamente narcisistico e perverso di ogni nevrotico. Piuttosto la vera libertà implica il legame con l’Altro come ciò che apre la mio vita all’incognita ingovernabile del desiderio. Invocare la libertà come realizzazione di se stessi in alternativa a ogni legame traduce invece solo un fantasma di autoconsistenza totalmente sterile. Cancellare la dipendenza simbolica dall’Altro non rende la vita indipendente ma la mutila, la arrocca su se stessa, la riduce a una fortezza vuota. È quello che molti nevrotici non vogliono vedere: restare soli non è — come spesso lamentano — una sofferenza, ma il loro modo inconscio di scansare il pericolo angosciante dell’esposizione assoluta al desiderio dell’Altro che ogni incontro d’amore impone.

M. Recalcati, Non è più come prima, 116

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La lezione della volpe

«Addio», disse la volpe. «Ecco il mio segreto. È molto semplice: non si vede bene che col cuore. L’essenziale è invisibile agli occhi».
«L’essenziale è invisibile agli occhi», ripeté il piccolo principe, per ricordarselo.
«È il tempo che tu hai perduto per la tua rosa che ha fatto la tua rosa così importante».
«È il tempo che ho perduto per la mia rosa…» sussurrò il piccolo principe per ricordarselo.
«Gli uomini hanno dimenticato questa verità. Ma tu non la devi dimenticare. Tu diventi responsabile per sempre di quello che hai addomesticato. Tu sei responsabile della tua rosa…»
«Io sono responsabile della mia rosa…» ripeté il piccolo principe per ricordarselo.

A. De Saint-Exupéry, Il piccolo principe, XXI

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Smobilitazione

Quando la vendita della fattoria fu conclusa, presero l’abitudine di venire a sedersi intorno alla mia casa, dall’alba fino a notte alta; non volevano tanto parlare con me quanto seguire i miei movimenti. C’è un momento paradossale nel rapporto fra il capo e i seguaci: il momento in cui essi, scorgendo chiaramente la sua debolezza e il suo fallimento, sarebbero in grado di giudicarlo con chiarezza e imparzialità, eppure continuano a rivolgersi a lui, quasi che nella vita non abbiano altra
strada da seguire. Lo stesso sentimento prova forse il gregge verso il pastore; conosce infinitamente meglio della sua guida i luoghi e il clima, eppure continuerà a seguirlo, se necessario,
fin nell’abisso. I kikuyu avevano accettato la situazione meglio di me, per la loro maggiore dimestichezza con Dio e con il Diavolo. Malgrado ciò sedevano intorno a casa mia, aspettando i miei ordini; probabilmente non parlavano d’altro, tutto il tempo, che della mia ignoranza e della mia incredibile incapacità.
Si penserà che fosse duro averli sempre là dinanzi, sapendo di non poterli aiutare e sentendomi sulla coscienza il peso del loro destino. Ma non era cosí. Sia io che loro, al contrario, trovavamo uno strano conforto e sollievo nello star vicini. La comprensione che ci legava aveva radici piú profonde di ogni ragionamento. Pensavo spesso, in quei mesi, alla ritirata di Napoleone da Mosca. Si crede in genere che egli abbia passato giorni di
disperazione, vedendo i suoi soldati soffrire e morire intorno a lui; ma, forse, senza di loro non avrebbe potuto sopravvivere. La notte contavo le ore aspettando il momento in cui i kikuyu sarebbero tornati a sedere davanti alla mia casa.

K. Blixen, La mia Africa, parte IV, 1

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La rosa addomesticata

Così il piccolo principe addomesticò la volpe. E quando l’ora della partenza fu vicina:
«Ah!» disse la volpe, «… piangerò».
«La colpa è tua», disse il piccolo principe, «io non ti volevo far del male, ma tu hai voluto che ti addomesticassi…»
«È vero», disse la volpe.
«Ma piangerail» disse il piccolo principe.
«È certo», disse la volpe.
«Ma allora che ci guadagni?»
«Ci guadagno», disse la volpe, «il colore del grano».
Poi soggiunse:
«Va’ a rivedere le rose. Capirai che la tua è unica al mondo.
«Quando ritornerai a dirmi addio, ti regalerò un segreto».
Il piccolo principe se ne andò a rivedere le rose.
«Voi non siete per niente simili alla mia rosa, voi non siete ancora niente», disse. «Nessuno vi ha addomesticato, e Voi non avete addomesticato nessuno. Voi siete come era la mia volpe. Non era che una volpe uguale a centomila altre. Ma ne ho fatto il mio amico ed ora è per me unica al mondo».
E le rose erano a disagio.
«Voi siete belle, ma siete vuote», disse ancora.
«Non si può morire per voi. Certamente, un qualsiasi passante crederebbe che la mia rosa vi rassomigli, ma lei, lei sola, è più importante di tutte voi, perché è lei che ho innaffiata. Perché è lei che ho messa sotto la campana di vetro. Perché è lei che ho riparata col paravento. Perché su di lei ho ucciso i bruchi (salvo i due o tre per le farfalle). Perché è lei che ho ascoltato lamentarsi o vantarsi, o anche qualche volta tacere. Perché è la mia rosa».
E ritornò dalla volpe.
«Addio». disse.

A. De Saint-Exupéry, Il piccolo principe, XXI

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Del ritorno ai luoghi

Ora non ricordo quando sono stato qui, ma avverto una falsa sensazione d’infinito a riconoscere gli alberi come fossero persone, a pensare che le palme per tutto questo tempo non hanno interrotto il loro colloquio con le nubi e il vento. Solo io sono stato spazzato via e poi sono tornato, se così non fosse, sarebbe tutto identico. Il viaggio è fugacità, per questo mi piace, ogni addio è una naturale preparazione, non bisogna legarsi, non è questo che vuole il destino.

Cees Nooteboom, Verso Santiago, pag. 273.

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