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I tre grandi veleni della mente

Da questo punto di vista buddhista il male, tutti i mali, quelli psichici come quelli fisici. hanno un’unica radice: l’ignoranza. L’ignoranza dell’lo causa la sofferenza che affligge l’uomo dalla nascita alla morte; la stessa ignoranza causa «i tre grandi veleni della mente» — il desiderio, la rabbia e l’ottusità — che scatenano le malattie nel corpo. Solo una continua pratica di moralità e di meditazione può condurre alla libertà da ogni male.

T. Terzani, Un altro giro di giostra,221

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Mia cara Helene

Vengo da te, tu, mia cara Helene. Perché tu sei in me. Tu sei in me. Io vengo da te. E tu sei in me. Tu sei me. Senza di te io sono solo un movimento, senza di te sono solamente un movimento vuoto, una curva. Una svolta verso di te. Un movimento verso di te. Helene. Verso di te, verso di te. Helene. Da quando mi sveglio a quando mi corico, sempre sono un movimento verso di te. Sono rivolto verso di te, sono un movimento verso di te. Ti vengo incontro, perché tu mi hai chiesto di venire da te, e ora vengo e magari tu non vuoi vedermi, non vuoi che io venga, magari vuoi solo che io sparisca e non venga mai da te, forse non mi vuoi più vedere, magari i tuoi occhioni, così azzurri, così luminosi, non mi vogliono più vedere, magari tu non vuoi più avere niente a che fare con me, magari non mi vuoi più vedere, perché tua madre ti ha detto che non puoi più vedermi, un paesaggista norvegese, uno studente di belle arti, un uomo strano, appena appena un uomo.

J. Fosse, Melancholia, 99

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Le vesti bianche e nere

M giro e guardo da un’altra parte. E vedo le vesti bianche e nere. E le vedo le vesti bianche e nere che cominciano a muoversi verso di me. Tornano ancora da me le vesti nere e bianche, le guardo le vesti nere e bianche. Le fisso. E mentre le guardo sento qualcuno vicino chiedermi cosa c’è. Cos’è che fissi così?, chiede. E io che vedo le vesti nere e bianche avvicinarmisi. Devo alzarmi. Devo andare. Helene! Mi puoi sentire?

J. Fosse, Melancholia, 53

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I frutti dell’albero della conoscenza

I frutti dell’albero della conoscenza fecero perdere all’uomo il paradiso terrestre perché li assaggiò quando non erano ancora maturi. È tuttora non li ha digeriti. Anzi, potremmo affermare che mangiandoli l’uomo si è procurato una specie di colica spirituale, una transizione troppo rapida a tutte le ideologie e a tutti gli ideali, la cui conseguenza è una strana gara in cui l’umanità si è impegnata con sé stessa, una gara che è la nostra maledizione e ci regala l’ipertensione arteriosa, l’atrofia renale, l’infarto e la morte prematura, ma che i più definiscono, paradossalmente, “progresso”. In conclusione, l’uomo è riuscito ad alterare il mondo al punto da rendersi infelice perché è costretto a viverci e si è macchiato di colpa, nel senso letterale della parola. In ultima analisi la storia biblica è rigorosamente vera.

K. Lorenz, introduzione a Gli animali questi peccatori, di W. Wickler.

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Il ritardato

Sono l’unico che lo sente? Viene da lontano, un ululato amorfo e lugubre. Quando mi avvicino non odo parole, ma tozze larve di parole incastrate le une con le altre, suoni che somigliano a parole, ma che hanno l’inizio e la fine consumati, parole ferite, deformi, che vogliono essere parole vere ma non possono perchè sono appiccicate, avvinghiate, e formano un’unica poltiglia lamentosa e inarticolata. Giro un angolo di una stradina e lo vedo, l’unico altro, un giovane ritardato appoggiato a un muro, che si lamenta dell’universo, un cane parlante che vorrebbe ululare ma è impedito dai rimasugli di linguaggio che gli sono rimasti attaccati, così nasce un ibrido, un verso animalesco prodotto da una bocca umana, e mi guarda e non mi vede. Che io ci sia o meno, non fa alcuna differenza nel suo lamento, sono trasparente come l’aria, io suo guaito è rivolto all’istanza stessa della vita, perchè lei non lo può sentire.

Cees Nooteboom, Verso Santiago, pag. 225.

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