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I tre grandi veleni della mente

Da questo punto di vista buddhista il male, tutti i mali, quelli psichici come quelli fisici. hanno un’unica radice: l’ignoranza. L’ignoranza dell’lo causa la sofferenza che affligge l’uomo dalla nascita alla morte; la stessa ignoranza causa «i tre grandi veleni della mente» — il desiderio, la rabbia e l’ottusità — che scatenano le malattie nel corpo. Solo una continua pratica di moralità e di meditazione può condurre alla libertà da ogni male.

T. Terzani, Un altro giro di giostra,221

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Rimedio per la depressione… di un vecchio medico indiano

Gli chiesi però se aveva qualche suggerimento contro la depressione, e quella domanda provocò qualcosa di strano che ancora oggi non so spiegarmi. Choe-drak rispose che la depressione è una malattia soprattutto occidentale. «E la ragione », aggiunse, «è che voi occidentali siete troppo attaccati alle cose. Siete fissati sulle cose. Uno perde, ad esempio, la sua penna e da allora non fa che pensare alla penna persa, senza dirsi che la penna non ha alcun valore, che si può scrivere anche con un lapis. In Occidente vi preoccupate troppo delle cose materiali.»
Lo ascoltavo e automaticamente prendevo appunti con la mia vecchia Montblanc nera. Parlammo ancora della sua prigionia, delle pillole preziose, dei mantra, le formule magiche, che debbono essere recitate durante la loro preparazione, e io continuavo a prendere appunti con la mia Montblanc. Alla fine ringraziammo, passammo dalla farmacia a ritirare le pillole, tornammo al Kashmir Cottage e li mi accorsi che… non avevo più la mia penna! Rimandai immediatamente l’interprete dal medico, chiesi al fratello del Dalai Lama di telefonare all’Istituto. Niente da fare. La penna era scomparsa. E io non feci che pensarci. Non tanto perché c’ero affezionato, ma perché m’era venuto il sospetto che il vecchio medico, sentendo nelle mie domande un fondo di scetticismo, avene voluto dimostrarmi i suoi « poteri » e darmi una lezione.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 211

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La sconfitta del dolore

E poi: eliminando la sofferenza al suo primo insorgere, l’uomo moderno si nega la possibilità di prendere coscienza del dolore e della straordinaria bellezza del suo contrario: il non-dolore. Perché in tutte le grandi tradizioni religiose il dolore è visto come una cosa naturale, come una parte della vita? C’è forse nel dolore un qualche significato che ci sfugge? che abbiamo dimenticato? Se anche ci fosse, non vogliamo saperne. Siamo condizionati a pensare che il bene deve eliminare il male, che nel mondo deve regnare il positivo, e che l’esistenza non è l’armonia degli opposti. In questa visione non c’è posto né per la morte, né tanto meno per il dolore. La morte la neghiamo non pensandoci, togliendola dalla nostra quotidianità, relegandola, anche fisicamente, là dove è meno visibile. Col dolore abbiamo fatto anche di meglio: lo abbiamo sconfitto. Abbiamo trovato rimedi per ogni male e abbiamo eliminato dall’esperienza umana anche il più naturale, il più antico dei dolori: quello del parto, sul quale da che mondo è mondo si è fondato l’orgoglio della maternità e l’unicità di quel rapporto forse saldato proprio dalla sofferenza. Ma questa è la nostra civiltà. Ci abituiamo sempre più a risolvere con mezzi esterni i nostri problemi e con ciò perdiamo sempre più i nostri poteri naturali. Ricorriamo alla memoria del computer e perdiamo la nostra. Ingurgitiamo sempre più medicine e con ciò riduciamo la capacità del corpo a produrre le sue.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 102

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Medici, massaie, recipienti di rame…

Nonostante la nostra pretesa di capire e il nostro altezzoso disprezzo per tutto quel che non è scientifico, continuiamo a sfruttare ciò che ci serve anche se non capiamo come funziona. I medici-scienziati, ad esempio, sono tornati a usare l’elettroshock nel trattamento di certe malattie mentali, pur non avendo ancora un’idea di che cosa provochi gli effetti desiderati. Eppure Io fanno con la stessa fiducia con cui le massaie stendono i lenzuoli sui prati nelle notti di luna piena perché sanno che s’imbiancano meglio che con un detersivo. Allo stesso modo gli indiani continuano a bere al mattino un bicchiere d’acqua che durante la notte è stata in un recipiente di rame dal quale avrebbe tratto una benefica «energia ». Cominciarono a farlo secoli e secoli fa, quando forse ne sapevano meglio il perché.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, cap. 4

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Antica sapienza medica

Mi addormentai ridendo fra me e me della situazione in cui mi ero cacciato, pensando alle erbe e a come ancora i miei nonni, che venivano da famiglie contadine, avevano una grande familiarità con quello che nella natura serve alla salute. Avevi il mai di pancia, il raffreddore o la diarrea? Qualcuno andava nel campo e tornava con un’erba dicendo: « Bollila e bevila stasera». La natura era il primo medico a cui tutti ricorrevano. Bastava saper riconoscere le foglie, i fiori, i semi, la scorza di una pianta. Tutta quella sapienza l’ho vista scomparire sotto i miei occhi. nei corso della vita. Già mia madre rifiutava gli impiastri che mia nonna preparava da mettermi sul peno quando avevo la tosse. Lei preferiva andare in farmacia a farsi dare qualcosa di più moderno, di chimico. Costava di più, quindi doveva essere per forza migliore.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, cap. 5

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