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La degradazione dei padri

Colonne di automezzi si spingevano attraverso la città, jeep, camion, blindati, mentre i soldati tedeschi prigionieri avanzavano stracciati. La grande disponibilità ad accogliere le forme di vita americane, il cinema, la letteratura, la musica, l’abbigliamento, quella marcia trionfale veniva dal fatto che i padri non avevano capitolato solo militarmente, ma avevano capitolato anche con il loro sistema di valori e il loro stile di vita. Gli adulti sembravano ridicoli, già all’epoca in cui il bambino non era ancora in grado di trovare per questo una motivazione concettuale, ma si avvertiva – quella degradazione dei padri. C’era l’obbligo del saluto. Gli uomini dovevano togliersi il cappello davanti alle truppe di occupazione inglesi, davanti ai vincitori. Il bambino osservava gli adulti, donne comprese, che si piegavano a raccogliere i mozziconi gettati a terra dai GI. 

U. Timm, Come mio fratello, 62

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I nostri tempi

A un semaforo, aspettando il verde, mi colpì la scena al mezzanino dell’edificio che avevo dinanzi: decine di uomini e donne nel riquadro di grandi finestre correvano, correvano, restando però lì dov’erano, sudati e paonazzi, rivolti verso la strada. Non era la prima volta che vedevo una palestra, ma l’immagine di tutti quei giovani che, finito l’orario d’ufficio, erano corsi a smaltire frustrazioni e grasso mi pareva riassumere tutto il senso di quella civiltà: correre per correre, andare per non arrivare da nessuna parte.

T. Terzani, Un altro giro di giostra, 147

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Sulle orme del collasso?

Questo grande fallimento dell’India comporta un insegnamento: diventando troppo numerosa, e malgrado il genio dei suoi pensatori, una società non si perpetua che generando la servitù. Allorché gli uomini cominciano a sentirsi stretti nel loro spazio geografico, sociale e mentale, una facile soluzione rischia di sedurli: negare la qualità umana a una parte della specie. Per qualche decennio essi avranno mano libera. In seguito bisognerà procedere a una nuova espulsione. In questa luce, gli avvenimenti di cui l’Europa è stata teatro per vent’anni, e che riassumono un secolo nel corso del quale la sua popolazione si è raddoppiata, non mi appaiono più come il risultato dell’aberrazione di un popolo, d’una dottrina o di un gruppo di uomini. Ci vedo piuttosto l’indizio di una evoluzione verso una fine di cui l’Asia del Sud ha fatto l’esperienza mille o duemila anni prima di noi, e a cui, a meno di grandi decisioni, non riusciremo forse a sfuggire. Questa grande svalorizzazione sistematica dell’uomo da parte dell’uomo si va estendendo, e sarebbe ipocrita e incosciente voler evitare il problema con la scusa che si tratta di un fenomeno passeggero. Ciò che mi atterrisce in Asia è l’immagine del nostro futuro, che essa ci anticipa. Nell’America indiana invece vagheggio il riflesso, fugace anche laggiù, di un’età in cui la specie era proporzionata al suo universo, e in cui persisteva un rapporto valido tra l’esercizio della libertà e le sue leggi.

C. Lévi-Strauss, Tristi tropici, 16

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